Il 26 novembre 2014 il ministro degli
esteri Gentiloni spiegava a Gad Lerner, in una intervista televisiva
pubblicata anche da Repubblica:
“..Se
anche, semplificando, descrivessimo una Libia spaccata in due fra
Cirenaica e Tripolitania, bisogna sapere che nessuna delle due parti
è in grado di prevalere militarmente sull’ altra. La Banca
centrale libica continua a funzionare, paga gli stipendi ai
dipendenti pubblici sull’ intero territorio dello stato,
utilizzando i proventi di gas e petrolio che anche l ‘Eni continua
a versarle…”
In Libia, dopo elezioni generali che si
sono tenute nel giugno 2014, hanno governato, fino a questi giorni, due
esecutivi e due parlamenti, combattendosi violentemente. Uno da
Tobruk, sostenuto da Arabia saudita, Egitto e paesi occidentali, l'
altro da Tripoli, appoggiato dal Qatar e dalla Turchia. Tra le altre
cose, a fine 2014, nonostante l' intensificarsi dei conflitti armati,
la produzione petrolifera era cresciuta di nuovo fino a circa 1
milione di barili il giorno, la più alta dall' inizio della guerra
nel marzo 2011.
Sul Corriere della Sera il 12 novembre
2014, Franco Venturini aveva proposto per fermare la guerra civile un
embargo al petrolio e gas libico. Di seguito alcune frasi del suo
scritto:
“…due
governi e due parlamenti che si delegittimano a vicenda, milizie
armate che si spartiscono territori ed aeroporti, tentazioni
separatiste, lotte feroci sui proventi petroliferi,…
…la
nostra ambasciata a Tripoli è l’ unica delle “grandi” rimasta
aperta. L’ Eni continua ad operare, seppur tra mille difficoltà…
…..ma
esiste una terza possibilità. La Libia, anche oggi vive delle sue
esportazioni di petrolio e gas. E’ quella la “cassa” attorno
alla quale ci si massacra……..un embargo energetico della Comunità
internazionale potrebbe costringere le milizie alla ragione, per
sopravvivere…”
Il 14 novembre avevo citato l’articolo
del Corriere della Sera sul sito Sibialiria in un pezzo intitolato “
Libia, Eni che finanzia? ”. In verità avrei voluto mettere il
titolo “Libia, l’ Eni finanzia gli integralisti (o i terroristi)
islamici? “. Ero infatti convinto che l' Eni, avendo impianti di
produzione di petrolio nei territori di entrambi i governi, pagasse
anche al governo di Tripoli, sostenuto da milizie islamiste, alleate
anche a gruppi vicini all' Isis, una sorta di pizzo che i gruppi
armati utilizzavano poi per la loro attività militare.
Poi, come abbiamo visto all’ inizio,
il 26 novembre Gentiloni precisava nell' intervista a Repubblica che
era la Banca libica a gestire i fondi pagati dall’ Eni, rispondendo
così involontariamente al dubbio che avevo espresso e dando una
interpretazione dell’operato Eni compatibile con la legalità. Io
ritengo ugualmente immorale l' atteggiamento tenuto dall' Eni,
perché comunque alimentava una guerra sanguinosa. Non basta che
questo possa anche essere stato fatto in un modo legale. Come diceva
Martin Luther King, tutto quello che hanno fatto i nazisti era
legale, mentre gli operai ungheresi nel 1956 avevano infranto le
leggi. *
Tuttavia, il 2 gennaio 2015, anche lo
stesso Gad Lerner, che aveva intervistato Gentiloni nel novembre
precedente, scriveva perplesso sul suo blog:
“Da
paura….guardate chi “protegge” la base Eni e la nostra
ambasciata in Libia”
“Inquietante
lettura l’ intervista rilasciata a Nancy Persia per il “Fatto”,
dal capo della milizia libica Fayr, giunta a controllare Tripoli
dalla sua roccaforte di Misurata. Salah Badi, questo è il nome del
signore della guerra libico che si contrappone al generale
filo-egiziano Haftar e ai suoi alleati della regione di Bendasi, si
presenta con un biglietto da visita che non può lasciare insensibile
l’ Italia: il compound oil&gas dell’ Eni, sito a Mellita, da
dove parte il gasdotto sottomarino che arriva fino a Gela “…è
protetto oggi dai nostri uomini”, dichiara Salah Badi “ proprio
come l’ ambasciata a Tripoli”
“Per
noi l’ Italia è sempre la benvenuta perché abbiamo interessi in
comune”, aggiunge il nostro prima di compiacersi di un paragone
storico: “ Gli Italiani hanno riservato a Mussolini lo stesso
trattamento che i libici hanno riservato a Gheddafi. Noi abbiamo
esposto il corpo di Gheddafi per cinque giorni, gli italiani hanno
tenuto in piazza il corpo martoriato del Duce.”
Orbene,
al di là di queste suggestive reminiscenze, la notizia è che l’
Eni e l’ ambasciata italiana si trovano sotto la “protezione”
di una fazione, Fayr, il cui comandante non smentisce l’ alleanza
con fazioni jihadiste vicine all’ Isis, e ammonisce l’ ONU: se
non vi sbrigate ad accogliere le nostre richieste, vi toccherà fare
i conti direttamente con i fondamentalisti.”
Quanto succede in Libia è la conferma
di quanto scrisse nel 2004 Richard Heinberg nel suo “La festa è
finita.” La scomparsa del petrolio, le nuove guerre, il futuro
dell’ energia. Concludendo poi amaramente: “Pietà per il paese a
cui restano ancora molte risorse…”.
“E’
più probabile lo scoppio di guerre civili nei paesi meno
industrializzati che dispongono di risorse abbondanti, preziose e
accessibili come petrolio, gas naturale e diamanti, che in quelli
poveri di risorse. Questa conclusione si basa su uno studio
comparativo di Indra de Soya, dell’ Università di Bonn, sul valore
delle risorse naturali in 139 paesi e la frequenza delle guerre
civili dal 1990 in poi. La scoperta va contro l’ ipotesi inveterata
secondo cui la guerra intestina è più probabile nei paesi poveri di
risorse. Spesso gruppi rivali di paesi non industrializzati usano la
ricchezza ricavata dalla vendita di risorse – o dalle concessioni a
società straniere per sfruttare le risorse – per finanziare la
lotta armata. Pietà per il paese a cui restano ancora molte
risorse…”
Si può contrastare la guerra civile
anche senza la violenza
Per finire, come suggeriva nel novembre
2014 il Corriere della Sera, ci sono anche strade senza violenza per
contrastare la guerra civile libica, così come tutti gli altri
conflitti che stanno devastando il Medio Oriente. Interrompere i
rapporti economici con i gruppi armati, quasi tutti assolutamente
irregolari, potrebbe indurre le parti combattenti a trovare soluzione
pacifiche. L'Unione europea, insieme agli Stati Uniti, ha fomentato i
conflitti in corso in questi anni nel M.O. ed ora si trova in enorme
difficoltà, molto più degli USA, per i profughi e il terrorismo che
questi conflitti hanno causato. Fermare i flussi finanziari verso i
gruppi armati dovrebbe essere il primo passo per costruire un futuro
meno violento e, per l' Unione Europa, una situazione senza
drammatiche emergenze.
Ne riparleremo, anche a proposito del
referendum del 17 aprile, insieme al tema della produzione di
petrolio al di fuori del controllo degli Stati nazionali e del ruolo
determinante dell' Arabia saudita nel fissare le condizioni di tutto
il mercato petrolifero mondiale.
Marco Palombo.
* Mi scuso per la citazione con molti
amici comunisti (excusatio non petita accusatio manifesta?). Anch’
io, a mio modo, mi sono sentito comunista, ma credo che nel 1956
avessero ragione coloro che criticarono il PCI, tra questi Di
Vittorio, partito che giustificò l’ invasione sovietica e lo fece
fino agli anni ’80. Come ci ha ben spiegato Giorgio Gaber, ognuno
di noi aveva un suo modo particolare di sentirsi comunista. Inoltre
anch’ io, leggendo il capitolo “Come dovrebbe un cristiano
considerare il comunismo? ” in “La forza di amare”, titolo
bellissimo, ho trovato fastidioso l’ anticomunismo di M.L. King. Ma
la citazione è molto utile per spiegare che la cultura legalitaria,
tipo Don Ciotti e Caselli, non ha niente a che fare con la cultura
della nonviolenza, che ha sempre fatto riferimento alla disobbedienza
civile verso le leggi ingiuste, non sfuggendo però alle sue
conseguenze giudiziarie.