domenica 25 novembre 2018

Bombe Yemen, Rete Disarmo incontra la ministra della Difesa Trenta e salta un' iniziativa con altre associazioni ?




Un appello per la cessazione delle vendita di armi italiane all’ Arabia Saudita, pubblicato dal sito di Amnesty International il 12 novembre, annuncia una iniziativa comune per il 22 novembre di varie associazioni:

Amnesty International Italia, Fondazione Finanza Etica, Movimento dei Focolari, Rete della Pace, Rete Italiana Disarmo, Oxfam Italia, Save the Cildren Italia,

Nel pomeriggio del 12 novembre si è poi svolto un incontro con la ministra Trenta di quattro esponenti della Rete Disarmo dove sono stati toccati anche altri temi che stanno a cuore alla Rete, per il coordinamento erano presenti:

Lisa Clark (Beati costruttori di Pace), Martina Pignatti Morano (UN Ponte per), Francesco Vignarca (coordinatore della Rete Disarmo), Mauro Simoncelli   (Archivio Disarmo)

Questo l’inizio dell’ articolo che si può leggere integralmente al link

Rete Disarmo: confronto aperto e positiva interlocuzione istituzionale con la Ministro della Difesa Elisabetta Trenta
Oltre un’ora di scambio di valutazioni e proposte sui temi di competenza della RID, che ritiene positiva l’attenzione dimostrata dal Dicastero di via XX Settembre alle istanze della società civile italiana su disarmo, spese militari e controllo degli armamenti.
12 novembre 2018
Fonte: Rete Italiana per il Disarmo - 12 novembre 2018

Questo pomeriggio una Delegazione della Rete italiana per il Disarmo si è incontrata a Roma con la Ministro della Difesa Elisabetta Trenta. In oltre un’ora di confronto aperto e concreto si sono affrontati e discussi, pur nella diversità dei ruoli e delle prospettive, i diversi temi che sono oggetto delle azioni e delle campagne della Rete e di tutte le sue organizzazioni aderenti.
In particolare gli esponenti di RID hanno sottolineato la necessità di mettere fine alle irresponsabili e problematiche esportazioni italiane di armamenti, prime fra tutte quelle dirette alla Coalizione a guida Saudita che sta intervenendo militarmente nel conflitto sanguinoso in Yemen. Una decisione che sarebbe necessaria non solo da un punto di vista della protezione dei civili yemeniti e per poter avviare un intervento umanitario e di di pacificazione della regione, ma anche per evitare problemi alla nostra stessa sicurezza. Continuare infatti, come nel recente passato, a rilasciare autorizzazioni all’esportazione di armamenti solo sulla base di motivazioni legate al sostegno dei produttori di armi è controproducente per il nostro Paese e non rispondente anche allo stesso mandato del Ministero della Difesa che non può essere considerato un mero “mediatore di affari” armati.


Dell’ iniziativa del 22 novembre non ho invece trovato alcuna traccia sul web.

Che sia saltata dopo l’ incontro con la ministra Trenta ?

Sicuramente no, è un mio dubbio senza alcuna prova e in questo momento c’è anche un’ apertura dell’ Arabia Saudita al negoziato ONU per la guerra yemenita,

ma sarei contento che qualcuno mi spiegasse i motivi per cui è saltata, per ora, l’ iniziativa del 22 novembre.

Marco Palombo

sabato 24 novembre 2018

Il prezzo del greggio perde il 9% in 5 giorni solo per una mossa dell' amministrazione Trump


La scelta dell' amministrazione Trump di tornare alle sanzioni all' Iran e di esentare da queste 8 paesi, comunicando questa seconda mossa in modo quasi improvviso dopo che erano molto salite le quotazioni del greggio,

ha provocato una rapida discesa del prezzo del petrolio, e questa settimana il calo è stato del 9%, sostanzialmente identico per il Brent del Mare del Nord e per il WTI statunitense.

L' oscillazione di prezzo ha portato lo spostamento di enormi risorse finanziarie in tutto il mondo. Qualcuno avrà guadagnato molto, altri avranno perso, a seconda dei tempi erano stati effettuati i loro investimenti sul petrolio o le loro dismissioni.

Tutto questo sta succedendo solo per la mossa del governo di un paese che rappresenta circa il 5% della popolazione mondiale.

Non azzardo davvero ipotesi di nessun tipo, segnalo però la vicenda, che comunque dimostra che negli ultimi anni si è rotto l' equilibrio nel mercato del greggio che sta oscillando moltissimo.

Di seguito un articolo di Sissi Bellomo sul Sole24ore.

M.P.




Il Black Friday del petrolio: Brent sotto 60 dollari
·         –di Sissi Bellomo

·         24 novembre 2018

È stato un Black Friday davvero. Per il petrolio la settimana si è chiusa con un’altra seduta nera, anzi nerissima. E come nei negozi si sono visti prezzi da super-saldi:il Brent è scivolato addirittura sotto 60 dollari al barile, mentre l’americano Wti vede ormai vacillare la soglia dei 50 dollari.
Entrambi sono ai minimi da ottobre dell’anno scorso, dopo aver di nuovo subito un tonfo di circa il 7%, come era già successo martedì scorso e anche il martedì precedente. Sedute di volatilità estrema, che sembrano fatte con lo stampino e che fanno sospettare forti riposizionamenti da parte di soggetti finanziari:forse non più fondi o Cta (Commodity Trading Advisors), che hanno ormai finito di liquidare le posizioni rialziste, ma piuttosto banche, che hanno fatto da controparte alle operazioni di hedging di compagnie petrolifere e governi
Non sono molti i Paesi produttori di petrolio che si proteggono dal rischio di ribassi attraverso contratti derivati, ma il Messico e il Brasile l’hanno certamente fatto, entrambe utilizzando opzioni put (che danno diritto a vendere al raggiungimento di un certo livello di prezzo). Ein gioco non ci sono solo quattro spiccioli.
Il programma messicano, soprannominato Hacienda Hedge, di solito copre 200-300 milioni di barili di greggio l’anno. Nel 2018 il “paracadute” è costato 1,3 miliardi di dollari, aveva dichiarato il ministero delle Finanze, e in media proteggeva da una caduta dei prezzi sotto 46 dollari al barile. Più o meno ci siamo.
Le forze ribassiste sui mercati petroliferi – ormai in discesa per sette settimane consecutive – sono comunque tante. Indubbiamente il quadro dei fondamentali giustifica l’inversione di tendenza (se non la forza del crollo), dopo la corsa che aveva portato le quotazioni del barile al record da 4 anni a ottobre, oltre 86 $ nel caso del Brent.
Le prospettive di crescita dell’economia mondiale sono peggiorate, anche sull’onda delle tensioni commerciali Usa-Cina. Ma soprattutto l’allarme per le sanzioni Usa contro l’Iran è scomparso dopo la decisione a sorpresa di concedere esoneri a otto Paesi importatori, sia pure solo parziali e temporanei. Nel frattempo l’offerta è cresciuta moltissimo, soprattutto negli Usa, in Russia e in Arabia Saudita:in tutti e tre i Paesi la produzione è ai massimi da decenni.
Riad in particolare, cedendo alle pressioni di Trump, non solo ha aperto i rubinetti dalla primavera scorsa, ma a giugno era anche riuscita a convincere tutta l’Opec Plus ad avallare una riduzione dei tagli. Ora si rende conto dell’errore, ma fare marcia indietro al prossimo vertice del 6 dicembre rischia di non essere facile.
https://i2.res.24o.it/art/finanza-e-mercati/2018-11-22/ecco-perche-borse-hanno-perso-15mila-miliardi-2018-170912/images/fotohome6.jpg
·         GRAFINOMIX


·         23 novembre 2018
Il ministro saudita Khalid Al Falih ieri ha confermato le indiscrezioni secondo cui Riad sta producendo a livelli senza precedenti: «Eravamo intorno a 10,7 milioni di barili al giorno a ottobre e ora siamo al di sopra», ha detto Al Falih, assicurando però di essere pronto a tirare il freno. «Non inonderemo il mercato, non manderemo petrolio a clienti che non ne hanno bisogno. Abbiamo già iniziato a diminuire a dicembre e mi aspetto che continueremo nell’anno nuovo».
Nel frattempo le compagnie petrolifere cercano di tenere duro. «Tra i 50 e i 55 dollari al barile abbiano neutralità di cassa con tutti i costi inclusi», ha rassicurato Claudio Descalzi, ceo dell’Eni. Dall’Opec «vedremo se ci sarà un taglio e che tipo di taglio». Se questo non sarà sufficiente, secondo Descalzi bisognerà attendere sei mesi, ossia la scadenza degli esoneri alle sanzioni, per capire cosa succederà all’export iraniano. «In questo periodo penso che il petrolio oscillerà tra 60 e 70 dollari al barile».






giovedì 22 novembre 2018

Nella Ginatempo: Disarmo e smilitarizzazione. Che fare ?


http://contropiano.org/interventi/2018/11/22/disarmo-e-smilitarizzazione-che-fare-0109754
Ciò che non si vede più nelle piazze e sulla scena della politica è un movimento nazionale di massa contro la guerra. Ma in modo puntiforme, a volte sommerso, a volte visibile, nei punti caldi della militarizzazione, resistono gruppi di lotta, di mobilitazione, di controinformazione. Penso alle aree invase e devastate dalla militarizzazione, ai poligoni di tiro in Sardegna, alle basi militari come Sigonella e il Muos, come Camp Darby in Toscana, le basi atomiche di Aviano e Ghedi, le fabbriche di esplosivi, i gruppi di testimonianza come le DonneinNero, i compagni di Genova con l’ora in sienzio per la pace, e tanti piccoli gruppi sparsi che resistono nell’indifferenza generale o quasi. La maggior parte di questi comitati di lotta sul territorio si sviluppano e durano nel tempo perché sentono la guerra vicina in quanto i processi di militarizzazione sono per loro concreti, visibili, pericolosi e inquinanti.
Io penso a loro come tante perle sparse sul territorio nazionale. Il problema è che tante perle non fanno una collana, perché per fare una collana ci vuole un filo, e un gancio di chiusura per non farle sfilare. Così per un movimento contro la guerra vicina, voglio dire contro la militarizzazione, è necessario un soggetto politico che consapevolmente e responsabilmente costituisca questo filo. Cioè offra organizzazione, messa in rete, iniziative comuni, una agenda, una piattaforma comune, una comune rivendicazione di obiettivi. Penso per esempio a iniziative concrete come una giornata nazionale contro le basi militari, ad una carovana contro la guerra che attraversi tutti i territori militarizzati creando assemblee, controinformazione, presidi. E tante altre idee si potrebbero lanciare ma ci vuole una volontà comune di mettersi insieme. Insieme come movimento nuovo. Senza ripetere gli errori del passato.
Elenco questi errori sinteticamente a partire dalla mia esperienza nei social forum:
-costituire una federazione di partiti e associazioni piccole e grandi con una leadership stile intergruppi che litiga all’infinito e non si integra mai
-delegare la principale soluzione dei problemi a rappresentanti politici che puntino al governo. Vedi la brutta fine delle promesse fatte da rifondazione prima e dai 5stelle poi. F35, missioni militari, spese militari, fedeltà alla Nato: tutto in cenere perché il governo è letale, porta alla cogestione,al tradimento delle aspettative.
-perdere l’autonomia del movimento, frazionarsi in comitati elettorali dei diversi partiti di sinistra, buttare energie nel problema della rappresentanza e non in quello del radicamento sociale. Non ho nessuna soluzione pronta e smetto qui di fare la maestrina.
Spero di avere scritto cose utili.

mercoledì 21 novembre 2018

Nella Ginatempo: una riflessione sul perchè il movimento contro le guerre è sparito

di Nella Ginatempo , articolo uscito su Contropiano il 17/11/2018
Ero tra le persone maggiormente impegnate a organizzare un grande movimento nazionale contro la guerra. Era l’inizio di questo secolo, subito dopo il crollo delle Torri gemelle (11 settembre 2001), i social forum si costituivano in tutte le città d’Italia, dentro la generale tematica “No alla globalizzazione, un altro mondo è possibile”.
Dopo i fatti di Genova e l’uccisione di Carlo Giuliani, un grande movimento di massa era nato in tutta Italia. Le piazze erano piene di lotte per tutte le tematiche economiche sociali e ambientali. In questo clima organizzavo insieme ad un gruppo di compagni in varie città d’ Italia il social forum Bastaguerra che affrontava la tematica generale del sistema di guerra e contribuì a numerose mobilitazioni locali e nazionali tra cui soprattutto la gigantesca manifestazione contro la guerra in Iraq che ebbe luogo a Roma e in tutte le capitali del mondo il 15 febbraio 2003 con milioni di persone in piazza.
Tra gli attivisti del movimento e tra la grande massa di persone che ci seguiva gli obiettivi erano chiari: no alle missioni militari ( ritiro delle truppe), no alle basi militari ( rimozione degli armamenti a partire da quelli atomici e dalle armi di distruzione di massa), no alle spese militari ( riconversione delle spese in spese sociali), no alle fabbriche di armi ed al commercio di armi.
Ma soprattutto era chiaro il sentimento collettivo di ripudio della guerra in quanto tale, e dunque rottura della complicità italiana col sistema di guerra da cui bisognava sganciarsi.
C’erano fattori incoraggianti che motivavano l’attivismo: la partecipazione di massa, la presenza nel movimento dei social forum, di associazioni e partiti di sinistra come Rifondazione .
Quando nel 2016 le sinistre andarono al governo con Prodi e con l’appoggio di Rifondazione si ebbe la battuta di arresto. La prima avvisaglia fu la spilletta arcobaleno sul bavero della giacca di Bertinotti alla parata militare del 2 giugno, parata che per anni i pacifisti avevano contestato come vetrina delle macchine di morte e delle spese militari. Subito dopo i parlamentari eletti col voto dei pacifisti in Parlamento fecero l’esatto contrario di quanto promesso prima del voto nelle numerose manifestazioni che si erano fatte per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Cioè votarono come richiesto dal “governo amico” per la continuazione delle missioni militari, cioè la guerra. Inoltre, mentre una parte delle associazioni presenti nei social forum contestavano il governo amico e protestavano contro le sinistre “con l’elmetto”, viceversa le grandi associazione come Arci, Libera e naturalmente Cgil, Acli e varie, si schierarono a difesa del governo.
Questo ebbe i seguenti effetti a catena: si spezzò l’unità interna ai social forum; si espansero le fratture tra i gruppi piccoli e grandi primi tra tutti Cobas e Disobbedienti; la delusione di massa fu devastante e totale così la partecipazione si spense di colpo; non ci furono più grandi manifestazioni contro la guerra; la generale mancanza di risultati ottenuti dopo anni di mobilitazioni creò sfiducia e disorientamento. Il movimento contro la guerra tornò a inabissarsi nell’indifferenza della società.
Oggi comunemente la guerra non è più sentita come un problema vitale di cui preoccuparsi. La guerra è lontana, il sentimento collettivo prevalente è l’indifferenza o la rassegnazione. Non c’è più un soggetto politico che informi, coinvolga, sveli i nessi tra spese militari e austerity, tra guerra e flussi migratori, tra barbarie in Yemen e Palestina e barbarie domestica tra noi, nelle fabbriche d’armi, nei processi di militarizzazione. Lottare contro la guerra , poi, a molti militanti sembra fuori portata, una prospettiva troppo lontana, troppo generale, troppo utopica, irraggiungibile.
Eppure una volta dicevamo locale è globale e anche UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE.

lunedì 19 novembre 2018

Eni e Russia: cosa manca nei commenti sulla Libia e piano di pace ONU



La Conferenza di pace sulla Libia, che si è svolta a Palermo il 12 e 13 novembre, è stata ormai commentata da tutti i pochi osservatori interessati. Mancano però dalle analisi due elementi fondamentali sul ruolo russo e dell' Eni nella complessa vicenda libica.

Il summit palermitano voluto dal governo italiano ha avuto come filo conduttore il piano di pace che l' incaricato delle Nazioni Unite Ghassan Salamè ha presentato al Consiglio di Sicurezza ONU qualche giorno prima della Conferenza di Palermo
Il piano prevede un percorso politico istituzionale in tempi molto stretti, non più di 12 mesi, e mette a fuoco i due principali ostacoli che questo percorso dovrà superare. Il ruolo delle milizie armate, soprattutto a Tripoli e nella sua regione, e la divisione e l' utilizzo dei proventi petroliferi che sono tornati enormi. Il piano stima 13 miliardi di dollari di entrate nei primi sei mesi del 2018, in un paese di sei milioni di abitanti.

A Palermo lunedì 12 si sono tenuti due tavoli di lavoro: uno sulla sicurezza nella area della capitale, l' altro sulle riforme economiche, che vedono al centro la gestione dell' industria energetica libica.
I passi fondamentali per avviare il percorso di pace sono stati individuati nella istituzione di forze militari regolai dello stato libico e nella unificazione e certificazione internazionale della produzione libica di idrocarburi e dei suoi proventi economici. Riunificando la Compagnia energetica libica e la Banca Centrale ora gestite in modo autonomo dai governi di Tripoli e di Tobrouk nei territori da loro amministrati.

In generale i media e i commenti degli osservatori hanno illustrato queste tematiche, nessuno ha citato però due questioni: il ruolo fondamentale dell' Eni per aiutare l' ONU ad attuare i suoi propositi nell' industria libica degli idrocarburi e l' interesse attuale russo per petrolio del Medio oriente.

Il ruolo fondamentale dell' Eni nella riforma della produzione degli idrocarburi e della Banca centrale libica.

L' Eni è stata, paradossalmente, avvantaggiata dalla guerra libica in corso dal 2011. Lo spiega questo articolo su Lindro, citando il Wall Street Journal:


Negli anni successivi alla caduta di Gheddafi e alla guerra civile che ancora imperversa nel Paese, la più importante azienda energetica italiana – in parte controllata dallo Stato – ,l’ENI ha acquisito di fatto il monopolio della produzione e distribuzione di petrolio e gas in Libiagrazie alle alleanze strette con le milizie islamiche e potentati locali nel vuoto di governo, come rivelato da un servizio del Wall Street JournalL’ENI può contare una presenza di lungo corso in Libia, dove si è installata dal 1959, radicandosi territorialmente attraverso accordi e compromessi con le tribù in grado di fornirle protezione. Nel 2015 l’ENI gestiva un terzo di tutta la produzione di gas e petrolio della Libia, mentre prima della guerra del 2011 e dell’uccisione di Gheddafi il giro di affari si aggirava a un quinto della produzione totale. Secondo i dati forniti dal Sole 24 Ore, ENI adesso fornisce 384 mila barili di petrolio al giorno, corrispondenti a quasi il 70% della produzione del Paese. Nello scorso luglio l’azienda energetica italiana ha avviato la seconda fase della produzione dal giacimento di gas off-shore di Bahr Essalam, il più grande dello Stato africano, con riserve pari a 260 miliardi di metri cubi di gas. Bahr Essalam, così come il gasdotto Greenstream, collegato direttamente a Gela, è situato a 120 chilometri da Tripoli, nel territorio controllato dal governo di al-Sarraj – il cui governo è sostenuto dall’Italia. Lo scorso ottobre la libica National Oil Corporation (Noc), l’ingese British Petroleum (BP), ed ENI, hanno firmato un accordo per l’assegnazione a Eni di una quota del 42,5% nel patto di esplorazione fra BP e Noc in Libia, con l’obiettivo di rilanciare le attività di esplorazione e sviluppo e di promuovere investimenti nel Paese. “

E' evidente quindi che, dato il ruolo dell' Eni nel sistema produttivo libico, l' impresa italiana sarà decisiva per la riuscita dell' riunificazione dell' industria petrolifera e per il ritorno ad una unica Banca Centrale.

L' interesse attuale russo per il petrolio del Medio oriente.

La Russia è vicina alla sua possibile massima produzione di petrolio, nei prossimi anni il greggio prodotto da Mosca inizierà inevitabilmente a diminuire. Nello stesso tempo aumenterà notevolmente l' importanza del petrolio del Medio Oriente. Il petrolio dei paesi Non Opec è sostanzialmente ai suoi massimi, ha margini di aumento di produzione solo lo shale gas USA. Ed anche in caso di sovraproduzione petrolifera rispetto alla domanda mondiale, il greggio mediorientale sarà più importante in futuro, avendo costi di estrazione molto più bassi rispetto al resto del mondo.
Quindi, qualsiasi scenario si verificherà in futuro nel complesso scacchiere petrolifero mondiale, il petrolio del Medio Oriente acquisterà molta più importanza rispetto ad oggi.

Per questo la Russia sarà nei prossimi anni più interessata al Medio Oriente rispetto al passato. E prima in Siria, ora in Libia lo sta dimostrando.

Marco P.

venerdì 16 novembre 2018

Antirazzisti, donne, studenti, contro gli sgomberi: un grande movimento invisibile


Abito a Roma da 7-8 anni, e vedere di persona cortei e manifestazioni è molto diverso da leggere le cronache sui media, anche se si consulta più di una fonte e di tutte le tendenze.

Capita che la manifestazione nella foto che segue, di 4.000 lavoratori, per la quasi totalità di origine straniera, non sia stata neanche sfiorata dalle cronache dei giornali, anche se il percorso è stato tutto nel centro di Roma in un sabato pomeriggio: Piazza Repubblica, vicino a Termini, Via Cavour, via dei Fori Imperiali.


La grande manifestazione, contro il decreto immigrazione e sicurezza, del 10 novembre ha visto in strada almeno 40.000 persone, ma non ha avuto il risalto meritato. I media hanno parlato, e fotografato, soprattutto di Mimmo Lucano che ha aperto il corteo e gli interventi.

Il 24 novembre Roma sarà invasa da donne chiamate a raccolta dal movimento non Una di Meno.

Ed oggi sono stati una scoperta piacevole gli studenti che hanno sfilato numerosi e con uno zoccolo duro molto determinato che ha tenuta in allerta la Polizia in tenuta antisommossa fino alle 14.00.

E' un grande movimento sotterraneo che appare poco sui media e che non ha un filo comune di collegamento. La sinistra storica è ai minimi termini come dimensione e ancor più come cultura politica.

La sinistra antagonista è frammentata e solo Potere al Popolo ha unificato alcuni filoni, tagliando però i collegamenti con alcune correnti importanti del movimento.

Non ho soluzioni, ma vedere meglio come si muove questo enorme movimento invisibile è un passo indispensabile.

Marco Palombo

giovedì 15 novembre 2018

Conferenza Libia: i punti dell' accordo accettati, in modo informale, da Serraj e Haftar


Di seguito i punti accettati dalle parti libiche a Palermo estrapolati dal comunicato finale congiunto dei paesi partecipanti alla Conferenza di Pace per la Libia il 12 e 13 novembre 2018.

I punti sono stati accettati in modo informale, alla presenza di rappresentanti delle Nazioni Unite, Italia, Francia, Russia, Algeria, Tunisia ed Egitto.

Sono contrari all' intesa i turchi, ufficiosamente per non essere stati invitati al summit ristretto della mattina di martedì 13 novembre, ma probabilmente perchè l' accordo di massima suggerito dal piano ONU mette paletti veri al potere delle milizie armate integraliste che Turchia e Qatar sostengono.

M.P.

I Partecipanti hanno accolto con favore l'impegno libico a:

Istituzioni politiche
-  Adottare la legge referendaria volta a completare il processo costituzionale come risultato chiave per la sovranità della nazione libica;
-  Assumere responsabilità istituzionali ai fini di un processo elettorale credibile, pacifico e ben preparato, sottolineando l’importanza di concludere la cornice costituzionale e il processo elettorale entro la primavera del 2019, e di assicurare che tutte le condizioni tecniche, normative, politiche e di sicurezza siano state realizzate con un crescente sostegno da parte della Comunità internazionale da ora in avanti;
-  Rispettare i risultati di queste elezioni quando avverranno, mentre coloro che mineranno la sicurezza della Libia o ostacoleranno il processo elettorale saranno considerati responsabili.

Economia
 - Avviare un dialogo rafforzato sulla trasparenza fiscale e l'esecuzione del bilancio, al fine di rispondere alla richiesta libica di responsabilità, e per una distribuzione delle risorse trasparente ed equa;
- Attuare l'accordo sui termini di riferimento per la revisione finanziaria della Banca Centrale Libica e il suo ramo parallelo orientale e lavorare per la riunificazione delle istituzioni economiche, attraverso il dialogo facilitato da UNSMIL

mercoledì 14 novembre 2018

Libia, la Turchia ha lasciato il summit per l'annunciato controllo ONU sulla Banca Centrale ?






La Turchia ha abbondonato in anticipo e in modo plateale la Conferenza sulla Libia di Palermo.  Era presente con il vicepresidente Oktay , una presenza quindi ad alto livello.
Ankara insieme al Qatar è il grande sponsor in tutto il Medio oriente dei Fratelli Musulmani e di tutte le milizie libiche legate alla Fratellanza che in Libia attualmente si muovono in modo autonomo e sostengono Serraj alleate contro l' attacco di Haftar.



Ho scritto ieri di come la questione più importante per l' ONU, rappresentato dal suo incaricato speciale per la Libia Ghassan Salamè, fosse l' unificazione della Banca Centrale Libica, attualmente separata nella banca di Tripoli e in quella di Tobrouk.

Il piano ONU non prevede solo l' unificazione della Banca ma soprattutto la certificazione dei suoi bilanci, garantita da ONU, Italia, Francia e paesi limitrofi. Ci sarà una gara entro due tre settimane che assegnerà questo controllo probabilmente ad soggetto privato ma sotto il controllo dell' ONU e di altri paesi.


Il controllo della Banca Libica metterà in difficoltà soprattutto le milizie armate che probabilmente gestiscono autonomamente alcuni impianti di produzione petrolifera. Le milizie integraliste sarebbero quindi il principale bersaglio dell' operazione ONU, e le principali sono probabilmente quelle vicine ai Fratelli Musulmani sostenuti a loro volta da Qatar e Turchia.




Il punto interrogativo e il condizionale sono obbligati, ma indubbiamente in Libia le milizie armate si sono finanziate con il petrolio.


Non sarà facile quindi la manovra auspicata da Salamè ma l' incaricato ONU potrebbe aver toccato un punto decisivo della crisi libica.
Dobbiamo seguirlo e ricordare sempre che l' ENI è l' impresa petrolifera estera più presente in Libia, quindi l' operazione dipenderà anche da quanto l' Italia la sosterrà e da quanto l' opinione pubblica italiana avrà chiaro questo meccanismo.



Marco P.

martedì 13 novembre 2018

Conferenza Libia: l' ONU vuole una sola Banca Centrale. Ora il petrolio finanzia la guerra civile


Cristiana Mangani sul Messaggero di martedì 13 novembre scrive che la principale questione al centro della Conferenza di Palermo sulla Libia è il piano ONU per avere una sola Banca Centrale Libica che gestisca tutte le entrate petrolifere. Quelle che arrivano dai territori amministrati da Tripoli e quelle che arrivano dai territori amministrati da Tobrouk.

Gentiloni alcuni anni fa sosteneva che, nonostante la guerra in corso tra due governi libici diversi, le entrate del petrolio, gestite dalla Compagnia Nazionale Libica, spesso socia dell' ENI, confluivano nella Banca Centrale Libica che le divideva poi tra i due governi nemici.

Non so quanto fosse vera la tesi sostenuta da Gentiloni, allora ministro degli Esteri del governo Renzi, ma sicuramente molte delle entrate prodotte da Eni con i soci libici andavano a finanziare la guerra fratricida, tanto che qualcuno anche sul Corriere della Sera proponeva che l' ENI minacciasse l' embargo ai governi guerrafondai nel tentativo di fermare la guerra civile.

Oggi però sicuramente è così. Le entrate che l' Eni assicura alla Compagnia petrolifera libica vanno al governo che gestisce il territorio interessato, cioè in parte a Serraj e in parte ad Haftar, e certamente sostengono gli eserciti in guerra tra loro.

Speriamo che l' ONU riesca ad arginare la guerra libica, è certo però che il disinteresse italiano per la guerra in Libia ha alimentato la sanguinosa guerra in atto dal 2011, sia quando i bombardieri della NATO partivano dalla Sicilia per bombardare le città controllate dalle truppe fedeli a Gheddafi sia quando in Libia, dall' ottobre 2011 ad oggi, si combattono le milizie armate che l' Occidente ha sostenuto per sconfiggere Gheddafi.

Il nostro silenzio continua a uccidere e a creare invalidi e non ci sono segnali di un nostro cambio di atteggiamento.

Marco


domenica 4 novembre 2018

USA esentano l'Italia dalle sanzioni all'Iran in cambio di F-35, Muos e Tap ?

Foto dal sito del M5S siciliano

Secondo l' agenzia di stampa Associated Press L' Italia potrebbe essere esentata dalle sanzioni all' Iran che Trump annuncia il 5 novembre.
In queste settimane, scrive Marco Galluzzo sul Corriere della Sera, c'è una pressione dell' amministrazione Trump verso il governo italiano su alcune scelte che interessano molto gli USA come il  Muos e il Tap.
Questa mattina a Radio Radicale Marco Cappato nella rassegna stampa ha citato un quotidiano del quale non ho colto il nome che avrebbe messo in relazione l' esenzione dell' Italia dalle sanzioni all' Iran con l' allineamento del governo Conte agli USA sulle importanti questioni Muos, F-35, Tap.

Io non credo che l' Italia sarà esentata dalle sanzioni all' Iran, perchè sarebbe una conferma troppo evidente di una avvenuta rottura del governo Conte con gli altri paesi dell' Unione Europea e del legame stretto del governo lega Movimento5Stelle con l' amministrazione Trump, anche a costo di scelte impopolari con l' elettorale grillino come il Muos e gli F-35. Svelerebbe un attuale legame privilegiato del nostro paese con gli Stati Uniti come mai era avvenuto in passato.

Quindi, ripeto, non credo all' esenzione italiana dalle sanzioni USA all' Iran. Ma l' ipotesi che ho riportato è stata fatta ed è considerata quindi verosimile dagli osservatori. Allora è giusto  diffonderla  anche se domani potrebbe essere già smentita.

Perchè in ogni modo il governo Conte attacca l' Unione Europea, dialoga con Putin, ma nelle scelte importanti è allineato in modo eccessivo con gli Stati Uniti. E questo non è condiviso da molti elettori del Movimento 5 Stelle.

Marco Palombo