Nel campo dell' attività pacifista la 1° marcia da Milano a Vicenza effettuata dal 25 luglio al 3 agosto 1967, con tappe intermedie a Vaprio d'Adda, Bergamo, Sarnico, Brescia, Desenzano, Peschiera, Verona, San Bonifacio, Arzignano – venne a costruire una delle esperienze più stimolanti , più dinamiche e fertili, ponendosi per molti aspetti – per qualità di partecipazione, di modalità di svolgimento, di temi dibattuti – come una iniziativa di grande originalità rispetto alle tradizionali manifestazioni per la pace.
I motti fondamentali della marcia erano :”Contro tutti gli eserciti”,”Per il riconoscimento dell' obiezione di coscienza”,”Per il disarmo universale”,”No alla Nato e al Patto di Varsavia”.
Una prima considerazione di rilevo emerse in relazione alle varie forze pacifiste invitate a parteciparvi, tra cui le federazioni dei partiti di sinistra e le corrispondenti federazioni giovanili: non una rispose, nemmeno in forma di adesione. Il fatto servì a lumeggiare ancora una volta il punto molto importante – e per i nonviolenti decisivo – della distinzione tra pacifismo integrale, strenuamente antimilitarista (pur patrimonio limpido del primo socialismo) e il pacifismo generico, condizionato, cui erano venute approdando le forze partitiche eredi ufficiali del socialismo originario – in una tale distorsione e dissipazione di quel patrimonio antimilitarista da potersi in buona pace definire socialisti ed essere filo atlantici, filo armate russe o filo atomiche cinesi......
…....Insieme con questa negativa riprova della incapacità degli apparati di vertice di qualsivoglia partito a intendere le urgenti esigenze di un serio pacifismo i – tutti com' erano perfettamente integrati nel sistema non importa se quali amministratori del regime o da privilegiati funzionali oppositori – venne peraltro dalla marcia un' altra, ma opposta alla prima conferma. L' estrema attenzione, l' entusiasmo spesso e anche la partecipazione con cui la gente avvicinata lungo il percorso rispose alla presenza dei marciatori, all' originalità dei loro modi di incontro e al loro invito alla discussione., fece testare con mano la grande disponibilità , insieme al bisogno, esistente negli starti più diversi della popolazione a intendere e condividere un orientamento di pace non mistificato e alienizzante fino alla giustificazione delle atomiche e dei massacri in nome delle ideologie, ma genuino e coerente, diretto e personale, di approccio seriamente umano.
Così non fu difficile, poiché addirittura richiesto, distribuire a decine di migliaia copie del più diverso materiale antimilitarista, così furono pronti taluni esponenti locali di partiti di sinistra, seppur a titolo personale e nell' imbarazzo per l' atteggiamento negativo dei loro organi ufficiali , a dimostrare la propria piena approvazione e di offrire solidarietà e aiuto; e le manifestazioni serali effettuate al termine di ogni tappa sotto forma di incontro dibattito , videro l' affluenza di un pubblico numerosissimo (“non si era mai vista da anni tanta gente per manifestazioni del genere”) in gran parte formato proprio da aderenti di base dei partiti di sinistra oltrechè d' altri partiti, in uno scambio e un rapporto affatto spontaneo, schietto e appassionato, liberato dalle forme e dai modi abusati di stampo insieme comiziesco e aulico, arido e spersonalizzato.
Questo della personalizzazione fu proprio l' elemento focale e vivificante della marcia. A cominciare dal personale sacrificio dei marciatori: un percorso di oltre 250 km in poco più di una settimana – a tappe dunque di 30-40 km il giorno – che metteva a prova, all' unisono, tensione ideale e abnegazione fisica (qualcuno diceva: è bello ritrovare questa unità di tutta la persona, far partecipare alla persuasione dell' animo anche il corpo. Fusi in una unica tensione: e col corpo far partecipe di questa tensione anche la natura attraversata): la gente che li vedeva marciare, sotto il sole cocente, incuranti di allungare vieppiù il percorso diramandosi a diffondere in ogni punto possibile i loro stampati e discutere con chiunque; o che la sera al termine della tappa, dopo una cena frugale e rapida, li trovava ancora pronti a dar vita – in lotta spesso con l' ostilità della polizia – ad un incontro animato con la popolazione, sottraendo ulteriori preziose energie e ore di sonno, non poteva non riconoscere in loro, sentendosi stimolata, una grande genuina persuasione e un impegno fermo e caldo, che esprimeva e realizzava in prima istanza non estranianti e poco costose posizioni ideologiche, ma valori personali sentiti e vissuti.
E ritrovando nei marciatori non la stereotipa “personalità” ufficiale, comiziante e distaccata, ma il semplice individuo di tutti i giorni – lo studente, l' operaio, l' insegnante, l' impiegato e sia pure il vagabondo, e uomo e donna – che invitava innanzi tutto a mettere a confronto le proprie esperienze e problemi personali, in un dialogo diretto in cui riusciva così spontaneo parlarsi con il tu, la gente finiva col riconoscervisi, identificarsi e accumunarsi a loro. Così vero ciò, che la sera in piazza, nel contatto aperto che veniva instaurandosi tra popolazione e marciatori, si dissipava anche il velo di prevenzione con cui sic riguardava una parte della carovana, quella del gruppo dei capelloni che della marcia fornivano una parte cospicua e pittoresca, e proprio i loro happenings”, le scene improvvisate di strada avevano la forza, dopo il dibattito pubblico serale, di trattenere attornio a sé la gente presente e di attirarne ancor più, toccata e presa da quello spettacolo gesti e parole così intensi e pur semplici, immediati e scavanti la coscienza, puri e appassionati......