venerdì 19 agosto 2016

Novembre 2015-Carceri siriane, 65 mila scomparsi. Il primo, goffo, tentativo di Amnesty International

Siria, Amnesty: «Sequestrate e torturate 65mila persone»

di Federica Macagnone
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/siria_amnesty_denuncia_tortura-1339182.html

Scomparsi nel nulla. Sottratti alle loro famiglie senza un apparente motivo e detenuti in condizioni disumane nelle carceri siriane: è quanto denunciaAmnesty International nel suo ultimo rapporto sui rapimenti messi in atto dal regime di Assad che, dall'inizio della guerra civile nel 2011, ha fatto scomparire oltre 65mila persone «in un'attacco mirato contro la popolazione civile, una campagna che costituisce un crimine contro l’umanità». Un buco nero dove si finisce senza avere la certezza di uscirne vivi, un calvario per i parenti che non hanno più informazioni dei loro cari se non dietro pagamento di “tangenti”: secondo Amnesty, infatti, il governo siriano sarebbe il regista di un “mercato nero” dove operano diversi intermediari che si farebbero pagare, sfruttando il dolore delle famiglie dei “desaparecidos”.


L'Organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani ha basato il suo rapporto sulle interviste condotte con 71 familiari, amici e colleghi di siriani scomparsi tra il marzo 2011 e agosto 2015: sequestrati di giorno al lavoro e di notte nelle loro case, i desaparecidos sono stati tagliati fuori dal mondo esterno e spediti in prigioni dove la tortura è di routine e la morte è all'ordine del giorno.


La Rete siriana per i diritti umani (SNHR) ha raccolto i nomi di 65.116 individui (58.148 dei quali sono civili) che sono scomparsi da marzo 2011 e che, ancora oggi, rimangono dispersi: di questi, 3.879 sono bambini. Sebbene la maggior parte del Paese non sia sotto il controllo di Bashar al-Assad, molte persone, tra cui attivisti politici e avvocati per i diritti umani che rimangono nel territorio del regime, vivono sotto la minaccia di entrare in quella lista.


Famiglie tenute all’oscuro. Le famiglie, che vengono tenute completamente all’oscuro delle motivazioni dell'arresto, possono trascorrere anni senza notizie di alcun tipo: per Naila Alabbasi, l'attesa dura da due anni e mezzo. Sua sorella, Rania, è stata portata via dalla sua casa il 9 marzo 2013, poco dopo che il marito era stato arrestato allo stesso indirizzo.

«Lo abbiamo scoperto dopo pochi giorni – ha raccontato Alabbasi - Ora io riesco a malapena a dormire la notte. Non sappiamo dove si trovino o come stiano, non sappiamo nemmeno se sono vivi». Dentista di professione, Rania era stata anche più volte campionessa nazionale di scacchi. «Quando gli ufficiali dei servizi segreti l'hanno arrestata, hanno rubato i suoi premi, insieme al denaro, ai gioielli, alle auto di famiglia. Hanno anche preso i suoi sei figli. Che possibilità c'è per un bambino, quando anche gli adulti a malapena sopravvivono in quelle prigioni? Il più piccolo ha solo due anni».



Lo sfruttamento del dolore. I parenti hanno poche possibilità di rivedere i propri cari: chi va direttamente a una stazione di polizia rischia l'arresto e in molti si sono rivolti a una rete di intermediari inaffidabili che, dietro il pagamento di ingenti somme di denaro, hanno dato informazioni che si sono rivelate false e infondate: un uomo ha raccontato di non essere riuscito ad avere informazioni su tre fratelli, scomparsi nel 2012, nonostante avesse pagato circa 150mila dollari a intermediari del regime che poi non hanno dato alcuna risposta.


Carceri disumane e torture. Intanto, nelle carceri, i desaparecidos vivono in condizioni terribili, in celle sovraffollate dove dilagano le malattie e le cure non sono contemplate. «Molti di loro sono stati torturati – si legge nel rapporto di Amnesty - con fruste, scosse elettriche, bruciature e violenze carnali».

Raneem Ma'touq, 24 anni, studentessa di belle arti di Homs, è stata vittima di una sparizione forzata per due mesi nel 2014: prelevata dalla sua casa da un gruppo di militari armati, ha trascorso 60 giorni in una cella di 3 metri quadrati condivisa con altre 10 donne. «Durante un interrogatorio brutale - ha detto - sono diventata isterica e ho iniziato a cantare. Sono stata punita per questo. Mi hanno appesa per la gola e hanno iniziato a colpirmi, ma altri sono stati sottoposti a pene peggiori». Ora è libera e vive in Germania, ma il suo calvario non è finito: suo padre Khalil, un avvocato per i diritti umani di fama nazionale che ha difeso centinaia di prigionieri politici, è stato arrestato a Damasco nell'ottobre del 2013 e da allora non ci sono notizie. «Era, molto semplicemente, il più grande uomo che abbia mai conosciuto – ha continuato Ma'touq - A volte quando penso a lui, non riesco a fermare la mia immaginazione, perché so quello che succede alle persone là dentro».


Le accuse ad Assad. Il governo di Assad è stato a lungo accusato di aver tentato di mettere a tacere l'uso estensivo di detenzioni, rapimenti, torture e persino esecuzioni extragiudiziali. «In più - denuncia Amnesty - l'uso del governo di queste sparizioni forzate rappresenta anche una fonte di reddito in un momento in cui l'economia è martoriata da oltre quattro anni di conflitto (gli analisti dicono che, dall'inizio della guerra, l'economia siriana ha subito una contrazione di oltre la metà)».


«Le sparizioni stanno guidando l'economia di un mercato che commercializza la sofferenza delle famiglie che hanno perso una persona cara – ha detto Philip Luther, direttore del programma di Amnesty International nel Medio Oriente - Chiediamo al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di agire contro le sparizioni forzate andando oltre la risoluzione adottata nel febbraio 2014, che prevede di fermare tali misure. È necessario imporre sanzioni mirate, tra cui il congelamento dei beni, per fare pressione sulle autorità affinché pongano fine a questa pratica».






Sabato 21 Novembre 2015 - Ultimo aggiornamento: 06-11-2015 12:23

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