L’ andamento del mercato petrolifero degli ultimissimi anni
rappresenta probabilmente una crisi dello stesso e l’ abbondanza di offerta di
greggio non è un segnale positivo, la prova che non ci saranno problemi di
produzione in futuro, ma un sintomo negativo, la conseguenza della rottura
dell’ equilibrio del mercato.
I media spiegano la
situazione solo con lo sviluppo dello shale gas USA, ma la congiuntura attuale
è determinata anche da altri processi in corso e il cambiamento in atto
potrebbe essere il più radicale di tutta l’ era del petrolio.
Il crollo del prezzo nell’ ultimo fine settimana
Negli ultimi giorni, dopo i dati settimanali sulle scorte
USA che continuano a crescere, il prezzo del greggio è crollato di oltre il 7%
e l’ accordo per il taglio di produzione tra Opec e 11 paesi non Opec appare
ormai in tutta la sua fragilità, molto di immagine e di propaganda e poco di
sostanza.
Il giorno precedente l’Iea, Agenzia energica dei paesi OCSE,
aveva ammonito che senza nuovi investimenti a fine 2019 potrebbe verificarsi un
periodo di crisi per l’ offerta di greggio e venerdì il sole24ore ha
illustrato, titolando “Sorpresa, il boom di produzione di Iran, Iraq, Libia e
Nigeria”, la crescita del greggio venduto dai quattro paesi Opec a inizio 2017.
Un andamento che toglie molta credibilità all’ accordo Opec-non Opec per la
riduzione di petrolio nel mercato mondiale.
La produzione in Iran
In questo quadro è importante seguire la produzione dell’
Iran in aumento negli ultimi mesi, una tendenza che se confermata rafforzerebbe
molto l’ economia iraniana e accrescerebbe anche l’ importanza strategica di
Teheran nel prossimo futuro.
Il greggio iraniano fu il primo del Medio Oriente ad essere
sfruttato commercialmente. Con la sua scoperta nacque nel 1908 la Anglo Persian
Oil Company (poi British Petroleum, BP). Successivamente, nel 1953, il petrolio ebbe un ruolo centrale nel colpo
di stato, organizzato dalla Cia con la complicità della Gran Bretagna, che
riportò al potere la dinastia Pahlavi e allontanò dal governo il primo ministro
eletto Mossadeq colpevole di aver nazionalizzato la concessione e i mezzi di
produzione della Anglo Iranian Oil Company. La rivoluzione di Khomeini del 1979
causò una nuova rottura nei rapporti dell’Iran con USA ed Occidente e una nuova
crisi petrolifera mondiale ad appena sei anni dall’ embargo dei paesi arabi
all’ occidente del 1973.
Dopo il 1979 hanno reso difficile il cammino iraniano la
lunga guerra negli anni ’80 con l’Iraq, sostenuto in segreto dagli USA, e le
sanzioni economiche contro le sue attività nucleari.
Nel 2004 comunque il paese, che ospita il 10% delle riserve
petrolifere globali, produsse una media di 3,94 milioni di barili il giorno,
produzione che rimase costante fino al 2011, poi con l’ estensione delle
sanzioni internazionali, dal 2012 a fine 2015 il greggio estratto si attestò
attorno a 2,70 mb/g. A novembre 2015, dopo pochi mesi dall’accordo sul nucleare
e in coincidenza con il crollo della quotazione del greggio, l’ Iran produceva 2,84 mb/g.. Nel 2016 la media è
salita a 3,70 mb/g, un incremento del 30%, e nel mese di febbraio 2017 le
esportazioni del paese hanno avuto anche un picco di 3 mb/g, mai raggiunti dopo
il 1979, e una media di 2,45 mb/g. L’ obbiettivo dell’ Iran è arrivare a 5 mb/g
di produzione nel 2021.
Il crollo dei prezzi dal 2015
Se osserviamo le date dei passaggi principali degli ultimi
anni, vediamo che il crollo del prezzo del greggio non ha coinciso con lo
sviluppo dello shale gas USA ma con la fine delle sanzioni all’ Iran nel
secondo semestre 2015. E il calo delle
quotazioni era iniziato quando nell’estate 2015 l’Aramco, impresa petrolifera
statale saudita, aveva proposto nei mercati asiatici prezzi di vendita al di
sotto della quotazione delle borse. E’ vero che negli ultimi anni è cresciuta
la quantità di petrolio prodotta negli USA, 3 o 4 mb/g, ma cresce anche la
produzione di Iran e di Iraq, paesi con riserve enormi, il 20% di quelle globali,
che negli ultimi decenni hanno subito sanzioni economiche ed hanno margini di crescita
più facili da sfruttare rispetto agli altri paesi.
L’ articolo del Sole24ore che ho citato ipotizza una
rivalità e un possibile conflitto economico tra Teheran e Baghdad. Questa
rivalità diretta sembra però smentita dall’ incontro del 20 febbraio nella
capitale irachena tra i ministri del petrolio dei due paesi, entrambi con
governo sciita, per siglare un accordo di cooperazione nel settore energetico.
In crisi l’accordo Opec-non Opec, fragile sin dall’ inizio
Con il crollo del prezzo dell’ ultimo fine settimana sembra
in crisi definitiva l’ accordo tra l’ Opec e 11 paesi non Opec. L’ accordo era
molto fragile in partenza. Interessa in realtà solo la metà dei paesi Opec, in
quanto Nigeria, Libia ed Iran sono esentati e Venezuela ed Algeria in questo
momento hanno già problemi di produzione. Tra i paesi non Opec, la Russia
avrebbe dovuto tagliare 300 mb/g, ma ne ha tagliati solo 120 mb/g nel mese di
gennaio mentre a febbraio la sua produzione è rimasta invariata. Gli altri 10
paesi non Opec sono Oman, Barhein, e Brunei, alleati dei paesi del Golfo,
Messico, Azerbajan, Sudan e Sud Sudan già in difficoltà con la produzione, e
solo la Malesia e il Kazakistan hanno oggi una produzione senza problemi.
Comunque questi paesi, se escludiamo la Russia, rappresentano solo il 10% della
produzione non Opec.
I prossimi passaggi dell’ intesa saranno la diffusione dei
dati sulla produzione di febbraio e il 26 marzo in Kuwait l’ incontro dell’
Opec con gli 11 paesi non Opec che hanno offerto la loro collaborazione alla
riduzione della produzione.
Domande in attesa di risposta
.
Ho riportato pochi dati che credo significativi, ma
rimangono molte domande ancora senza risposte certe.
- L’ Opec riesce a governare ancora il mercato del petrolio
?
- L’Opec oggi si occupa anche di conquistare quote di
mercato e non solo di regolare i prezzi del greggio ?
- Il petrolio dei paesi Opec, oltre alla concorrenza dello
shale gas USA, in caso di alti prezzi, avrebbe anche una concorrenza inedita
dalle fonti rinnovabili e dal risparmio energetico ?
- Oggi il petrolio tutto, Opec e non, manterrebbe il suo
mercato se tornassero le quotazioni attorno a 100 $/b, molto frequenti negli
ultimi 15 anni ?
- Cambieranno le proporzioni tra la produzione non Opec, 60%
del totale pur avendo solo il 25% delle riserve globali, e la produzione Opec,
40% con più del 75% delle riserve mondiali ?
- Iran e Iraq, dopo alcuni decenni di emarginazione
commerciale, potranno sviluppare tutte le loro potenzialità ?
- La Exxon dedica un terzo degli investimenti allo shale
gas, sicuramente lo sfrutterà in modo più efficace dei piccoli produttori, ma
questo non indica forse che non è più redditizio investire nel petrolio
tradizionale, che comunque darebbe un ritorno economico anche in caso di prezzi
bassi ?
- Ci saranno davvero le difficoltà nell’ offerta in caso di
investimenti stagnanti o ancora in calo ?
In attesa che si chiariscano almeno alcune di queste
incertezze, oggi c’è comunque una grossa crisi del mercato petrolifero e
sicuramente ne riparleremo. Ma sarebbe giusto impegnarsi subito affinché l’
economia petrolifera smetta di alimentare le guerre.
Sono convinto che se tutti seguissimo meglio le vicende
petrolifere ed energetiche le molte guerre attorno al petrolio sarebbero più
difficili.
Dovrebbero essere accesi dei riflettori, ma è utile ogni
contributo.
E nel prossimo futuro le occasioni non mancheranno.
Marco Palombo
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