martedì 14 marzo 2017

Petrolio. "Boom" Iran; record di export a febbraio; produzione 2016 +1mb/g. In crisi l'accordo Opec-non Opec.



L’ andamento del mercato petrolifero degli ultimissimi anni rappresenta probabilmente una crisi dello stesso e l’ abbondanza di offerta di greggio non è un segnale positivo, la prova che non ci saranno problemi di produzione in futuro, ma un sintomo negativo, la conseguenza della rottura dell’ equilibrio del mercato.

 I media spiegano la situazione solo con lo sviluppo dello shale gas USA, ma la congiuntura attuale è determinata anche da altri processi in corso e il cambiamento in atto potrebbe essere il più radicale di tutta l’ era del petrolio.

Il crollo del prezzo nell’ ultimo fine settimana


Negli ultimi giorni, dopo i dati settimanali sulle scorte USA che continuano a crescere, il prezzo del greggio è crollato di oltre il 7% e l’ accordo per il taglio di produzione tra Opec e 11 paesi non Opec appare ormai in tutta la sua fragilità, molto di immagine e di propaganda e poco di sostanza.
Il giorno precedente l’Iea, Agenzia energica dei paesi OCSE, aveva ammonito che senza nuovi investimenti a fine 2019 potrebbe verificarsi un periodo di crisi per l’ offerta di greggio e venerdì il sole24ore ha illustrato, titolando “Sorpresa, il boom di produzione di Iran, Iraq, Libia e Nigeria”, la crescita del greggio venduto dai quattro paesi Opec a inizio 2017. Un andamento che toglie molta credibilità all’ accordo Opec-non Opec per la riduzione di petrolio nel mercato mondiale.

La produzione in Iran


In questo quadro è importante seguire la produzione dell’ Iran in aumento negli ultimi mesi, una tendenza che se confermata rafforzerebbe molto l’ economia iraniana e accrescerebbe anche l’ importanza strategica di Teheran nel prossimo futuro.

Il greggio iraniano fu il primo del Medio Oriente ad essere sfruttato commercialmente. Con la sua scoperta nacque nel 1908 la Anglo Persian Oil Company (poi British Petroleum, BP). Successivamente, nel 1953,  il petrolio ebbe un ruolo centrale nel colpo di stato, organizzato dalla Cia con la complicità della Gran Bretagna, che riportò al potere la dinastia Pahlavi e allontanò dal governo il primo ministro eletto Mossadeq colpevole di aver nazionalizzato la concessione e i mezzi di produzione della Anglo Iranian Oil Company. La rivoluzione di Khomeini del 1979 causò una nuova rottura nei rapporti dell’Iran con USA ed Occidente e una nuova crisi petrolifera mondiale ad appena sei anni dall’ embargo dei paesi arabi all’ occidente del 1973.
Dopo il 1979 hanno reso difficile il cammino iraniano la lunga guerra negli anni ’80 con l’Iraq, sostenuto in segreto dagli USA, e le sanzioni economiche contro le sue attività nucleari.

Nel 2004 comunque il paese, che ospita il 10% delle riserve petrolifere globali, produsse una media di 3,94 milioni di barili il giorno, produzione che rimase costante fino al 2011, poi con l’ estensione delle sanzioni internazionali, dal 2012 a fine 2015 il greggio estratto si attestò attorno a 2,70 mb/g. A novembre 2015, dopo pochi mesi dall’accordo sul nucleare e in coincidenza con il crollo della quotazione del greggio, l’ Iran  produceva 2,84 mb/g.. Nel 2016 la media è salita a 3,70 mb/g, un incremento del 30%, e nel mese di febbraio 2017 le esportazioni del paese hanno avuto anche un picco di 3 mb/g, mai raggiunti dopo il 1979, e una media di 2,45 mb/g. L’ obbiettivo dell’ Iran è arrivare a 5 mb/g di produzione nel 2021. 

Il crollo dei prezzi dal 2015


Se osserviamo le date dei passaggi principali degli ultimi anni, vediamo che il crollo del prezzo del greggio non ha coinciso con lo sviluppo dello shale gas USA ma con la fine delle sanzioni all’ Iran nel secondo semestre 2015.  E il calo delle quotazioni era iniziato quando nell’estate 2015 l’Aramco, impresa petrolifera statale saudita, aveva proposto nei mercati asiatici prezzi di vendita al di sotto della quotazione delle borse. E’ vero che negli ultimi anni è cresciuta la quantità di petrolio prodotta negli USA, 3 o 4 mb/g, ma cresce anche la produzione di Iran e di Iraq, paesi con riserve enormi, il 20% di quelle globali, che negli ultimi decenni hanno subito sanzioni economiche ed hanno margini di crescita più facili da sfruttare rispetto agli altri paesi.
L’ articolo del Sole24ore che ho citato ipotizza una rivalità e un possibile conflitto economico tra Teheran e Baghdad. Questa rivalità diretta sembra però smentita dall’ incontro del 20 febbraio nella capitale irachena tra i ministri del petrolio dei due paesi, entrambi con governo sciita, per siglare un accordo di cooperazione nel settore energetico.

In crisi l’accordo Opec-non Opec, fragile sin dall’ inizio


Con il crollo del prezzo dell’ ultimo fine settimana sembra in crisi definitiva l’ accordo tra l’ Opec e 11 paesi non Opec. L’ accordo era molto fragile in partenza. Interessa in realtà solo la metà dei paesi Opec, in quanto Nigeria, Libia ed Iran sono esentati e Venezuela ed Algeria in questo momento hanno già problemi di produzione. Tra i paesi non Opec, la Russia avrebbe dovuto tagliare 300 mb/g, ma ne ha tagliati solo 120 mb/g nel mese di gennaio mentre a febbraio la sua produzione è rimasta invariata. Gli altri 10 paesi non Opec sono Oman, Barhein, e Brunei, alleati dei paesi del Golfo, Messico, Azerbajan, Sudan e Sud Sudan già in difficoltà con la produzione, e solo la Malesia e il Kazakistan hanno oggi una produzione senza problemi. Comunque questi paesi, se escludiamo la Russia, rappresentano solo il 10% della produzione non Opec.

I prossimi passaggi dell’ intesa saranno la diffusione dei dati sulla produzione di febbraio e il 26 marzo in Kuwait l’ incontro dell’ Opec con gli 11 paesi non Opec che hanno offerto la loro collaborazione alla riduzione della produzione.

Domande in attesa di risposta

.
Ho riportato pochi dati che credo significativi, ma rimangono molte domande ancora senza risposte certe.

- L’ Opec riesce a governare ancora il mercato del petrolio ?
- L’Opec oggi si occupa anche di conquistare quote di mercato e non solo di regolare i prezzi del greggio ?
- Il petrolio dei paesi Opec, oltre alla concorrenza dello shale gas USA, in caso di alti prezzi, avrebbe anche una concorrenza inedita dalle fonti rinnovabili e dal risparmio energetico ?
- Oggi il petrolio tutto, Opec e non, manterrebbe il suo mercato se tornassero le quotazioni attorno a 100 $/b, molto frequenti negli ultimi 15 anni ?
- Cambieranno le proporzioni tra la produzione non Opec, 60% del totale pur avendo solo il 25% delle riserve globali, e la produzione Opec, 40% con più del 75% delle riserve mondiali ?
- Iran e Iraq, dopo alcuni decenni di emarginazione commerciale, potranno sviluppare tutte le loro potenzialità ?
- La Exxon dedica un terzo degli investimenti allo shale gas, sicuramente lo sfrutterà in modo più efficace dei piccoli produttori, ma questo non indica forse che non è più redditizio investire nel petrolio tradizionale, che comunque darebbe un ritorno economico anche in caso di prezzi bassi ?
- Ci saranno davvero le difficoltà nell’ offerta in caso di investimenti stagnanti o ancora in calo ?

In attesa che si chiariscano almeno alcune di queste incertezze, oggi c’è comunque una grossa crisi del mercato petrolifero e sicuramente ne riparleremo. Ma sarebbe giusto impegnarsi subito affinché l’ economia petrolifera smetta di alimentare le guerre.
Sono convinto che se tutti seguissimo meglio le vicende petrolifere ed energetiche le molte guerre attorno al petrolio sarebbero più difficili.
Dovrebbero essere accesi dei riflettori, ma è utile ogni contributo.
E nel prossimo futuro le occasioni non mancheranno.

Marco Palombo









Nessun commento:

Posta un commento