martedì 27 dicembre 2016

Asia News e Avvenire: già tornati ad Aleppo un milione di sfollati



L' agenzia cattolica Asia News (segnalazione nell' ultimo articolo di Patrizio Ricci) e il sito di Avvenire poco prima di Natale scrivevano che ad Aleppo, dopo la riconquista della parte orientale da parte del governo siriano, erano già tornati un milione di abitanti che avevano lasciato la città nei quattro anni di feroce scontro armato.
Riporto stralci dei due articoli e cercherò da altre fonti una conferma di questo ritorno di massa nella città siriana. Forse la cifra di un milione di ritorni è esagerata, ma sarebbe interessante capire se si è veramente già verificato un rientro ad Aleppo di grandi dimensioni.

La notizia di un milione di ritorni cancellerebbe molto di quanto è stato diffuso in queste settimane dai media occidentali, ma, qualsiasi dimensione abbia il ritorno rapido nella città ora più sicura, la ripresa di Aleppo segna una cesura profonda nella guerra siriana e quasi sicuramente il definitivo abbandono di ogni possibilità di vittoria dei “ribelli”. La guerra continuerà, nessuno crederà più che sia un conflitto per portare la democrazia a Damasco ma governi e media occidentali continueranno a sostenerlo.

Di seguito due stralci da Avvenire:

Nel quartiere cristiano armeno di Aleppo, Aziziya, è stato innalzato un albero di Natale, il più alto della Siria, il primo dal 2012. Un segno di speranza, in una città diventato simbolo della crudeltà di tutte le guerre. Nel video tratto dal profilo Facebook di Sos Chretien d'Orient, rilanciato da Asia News, si vede una banda composta da giovani armeno vestiti da Babbo Natale; la loro esibizione è avvenuta martedì sera. Asia News commenta felicemente questa notizia, spiegando che Aleppo si è liberata in questi giorni da jihadisti e ribelli, che nonostante tutti gli sforzi, non sono riusciti a «uccidere lo spirito di tolleranza e convivenza tra religioni ed etnie».

In piazza, a festeggiare insieme la liberazione della città dai jihadisti e il Natale che si avvicina, c'erano musulmani e cristiani, in barba al proselitismo esercitato dai gruppi salafiti e jihadisti i quali per 4 anni «hanno cercato di imporre un islam takfiri e wahhabita».
Le persone originarie di Aleppo ritornate in città dopo la liberazione sono circa un milione. ”
e Asia News

..Sono circa un milione le persone originarie di Aleppo rientrate in città dopo la liberazione da parte delle forze governative, tutte pronte a riprendere la loro vita da dove era stata improvvisamente interrotta dai gruppi jihadisti. Vogliono ricostruire, riaprire le attività e le fabbriche, riportare le attrezzature rubate dai miliziani e trafugate in Turchia. Nell’area si respira un clima di entusiasmo e di dinamismo, elementi che caratterizzano da sempre gli abitanti di Aleppo. ...”

Marco

lunedì 19 dicembre 2016

Natale, per aiutare davvero Aleppo: leggete e regalate, padre Ibrahim "Un istante prima dell'alba"


Padre Ibrahim Alsabagh è un frate francescano nato a Damasco nel 1971 e tornato in Siria nel 2014 per occuparsi della parrocchia della chiesa di San Francesco d’Assisi ad Aleppo.
Nel suo libro “Un istante prima dell’alba”, pubblicato ad ottobre 2016 da edizioni Terra Santa, il frate racconta la sua esperienza tra inizio 2015 e maggio 2016 nella città devastata dalla guerra e descrive soprattutto il lavoro di assistenza materiale, spirituale e umana alle famiglie della parrocchia di San Francesco, ma anche ad aleppini non cristiani, e il come questo impegno sia parte integrante e fondamentale della fede e della sua scelta di vita.
Perché si aiuta davvero Aleppo leggendo e diffondendo “Un istante prima dell’alba”? Perché acquistando il volume si contribuisce alle attività della Associazione di Terra Santa che i frati svolgono in Siria e perché leggendo le pagine scritte dal francescano si conosce meglio quello che è successo ad Aleppo dal 2012, quando la città è stata attaccata dai gruppi armati contro il governo siriano di Assad, e si rimane meno disorientati dalla guerra mediatica che si accompagna al conflitto armato vero e proprio.

Padre Ibrahim non entra nei dettagli degli schieramenti che si combattono ferocemente nella città, tanto meno su torti e ragioni alla base del conflitto, ma nel raccontare le vicende della sua parrocchia inevitabilmente riporta notizie sulla guerra e pochi accenni sono sufficienti a smontare narrazioni portate avanti dai più diffusi occidentali. Per fare un esempio, nel risvolto di copertina, Aleppo viene presentata con queste parole: “La seconda città della Siria, contava su quattro milioni di abitanti, oggi è occupata per metà dall’ esercito regolare siriano e per l’ altra metà da gruppi armati di miliziani jihadisti provenienti da decine di paesi del mondo che reclamano la costruzione dello stato islamico, il Califfato.“ Il quadro riportato non è esatto, le differenze tra milizie jihadiste sono rilevanti e gli integralisti non sono un fronte unico, ma la descrizione è molto più vicina alla realtà di quanto venga diffuso da media e istituzioni occidentali.

L’ opera si divide in due parti e si conclude con venticinque pagine comprendenti cartine della Siria e di Aleppo, schede sulla guerra e sulla città siriana e molte foto.

Prima parte. Le attività della parrocchia rivolte a giovani e giovanissimi e il bombardamento al momento della comunione.

Questa sezione del volume riporta le newsletter che padre Ibrahim ha inviato nei due anni agli amici italiani per raccontare la sua vita ad Aleppo, descrizioni anche senza commento ed impressioni scritte in diretta.

Dei racconti del francescano mi piace sottolineare quelli sulle attività rivolte ai giovani e ai giovanissimi: la sala di studio e lettura per gli studenti universitari, il campo estivo dei ragazzini e gli incontri con i giovani fidanzati, nella speranza e nell’ intento di incoraggiare le nuove generazioni a sposarsi e a formare nuove famiglie.
Ma l’ episodio che colpisce di più è il bombardamento del 25 ottobre 2015 quando i jihadisti hanno lanciato sulla cupola della chiesa una bombola di gas che ha colpito l’ edificio durante la messa del pomeriggio al momento della comunione. Ci sono stati venti feriti, la distribuzione delle ostie consacrate si è conclusa nel giardino fuori dalla chiesa e una volta tornato in sacrestia il frate ha notato le ostie rimaste macchiate con il sangue dei fedeli.
Dalle newsletter si ha notizia anche del gran lavoro per non far mancare del tutto acqua ed energia elettrica alla popolazione.

Nella seconda parte, “Il cammino faticoso del cristiano”,”Immedesimarsi nella volontà di Dio per diventare strumenti di bene”

Qui troviamo testi di interviste, incontri e testimonianze di padre Ibrahim in Italia, intervenendo di persona o con collegamenti dalla Siria. In questa sezione è prevalente l’ attenzione al legame tra l’ impegno di assistenza alla popolazione nella devastante realtà della guerra con la sua fede e la sua scelta di vita.
Sono riportati alcuni incontri con comunità parrocchiali italiane, soprattutto lombarde, e interviste a giornali e riviste.

Tra tutti gli eventi ricordo l’ incontro con la parrocchia di San Michele Arcangelo in Precotto a Milano, il 28 maggio 2016.

In questo capitolo nel primo paragrafo “La persecuzione dei cristiani e la reazione dei musulmani” padre Ibrahim racconta come all’ inizio della guerra parlando con musulmani sunniti e musulmani sciiti abbia capito quanto anche loro si sentissero perseguitati e obiettivo dei terroristi. Un capo religioso sunnita nell’ occasione disse “ Noi siamo ritenuti eretici e questo fa sì che odino maggiormente, e intendono ucciderci, ancora più di voi”.
Nel secondo “Il rifiuto della violenza” il frate rivela che “il governo, in via ufficiale, ci ha invitato a costruire milizie cristiane, e puntualmente, in modo netto, i capi della Chiesa hanno rifiutato tale invito.” Nel terzo paragrafo ricorda due casi dove i cristiani si sono armati e difesi direttamente, a Sednaya e a Kfarbo, paesi a maggioranza cristiana, con “una mentalità di montagna forte e combattente”. Una situazione molto diversa da grandi città come Damasco ed Aleppo dove i cristiani hanno sempre vissuto a stretto contatto con sunniti, sciiti, curdi, drusi. Nel quarto “Una situazione complessa” tratta dei cristiani che non vogliono fare il servizio militare e per questo motivo lasciano il paese. A causa di queste defezioni in Siria negli ultimi anni è diminuito notevolmente il numero di giovani maschi. Ad Aleppo, maggio 2016, per ogni ragazzo c'erano più di dieci ragazze. Padre Ibrahim non approva la scelta dei cristiani che scelgono di non difendere il proprio paese tuttavia, quinto paragrafo “Il rispetto della coscienza individuale”, ritiene che si debba riconoscere alle persone il diritto di rifiutare le armi e la possibilità di sostituire il servizio militare con il servizio civile per motivi di coscienza.


Concludo la descrizione dell’ opera di padre Ibrahim riportando dall’appendice finale alcuni stralci della scheda su “Aleppo prima della guerra” .

Sembra incredibile oggi…ma Aleppo nel 2012, alla vigilia del conflitto, si presenta al mondo come la città della convivenza possibile: in quel momento in città vivono 2,3 milioni di persone; per la maggior parte si tratta musulmani sunniti, ma sono tanti anche i cristiani, e non mancano più piccole comunità di musulmani sciiti e alawiti. Non tutti i sunniti poi sono arabi: diversi sono di origini curde, turcomanne o circasse; aleppini quest’ ultimi, con tratti nordeuropei, pronipoti dei musulmani fuggiti nel 1865 dalla Circassia, vasta regione affacciata sul Mar Nero”….

.”Nel 2012 Aleppo conta 300.000 cristiani di tutti i culti. Tra le grandi città arabe solo Beirut e Il Cairo possono annoverare un maggior numero di cristiani.””I cattolici sono quasi un terzo dei cristiani (18 mila armeni cattolici,30 mila caldei, 18 mila greco melchiti, 4 mila maroniti, 10 mila siro cattolici, e 13 mila latini,la comunità di padre Ibrahim).”Il vescovo della Chiesa latina è Mons. Georges Abou Kazen, proviene dalla Custodia di Terra Santa, come padre Ibrahim”…”Ad Aleppo sono 12 le scuole private fondate dalla comunità cristiana e diversi gli ospedali”.


Nel complesso le 200 pagine di “Un istante prima dell’ alba”, dedicate all’ esperienze di padre Ibrahim, riescono a dare una buona descrizione della città di Aleppo prima e durante la guerra e delle caratteristiche della tragica guerra siriana. Al contrario su questi temi l’ informazione ufficiale italiana è incompleta e fuorviante ed alimenta confusione e risentimento. Vale la pena allora leggere e regalare il libro sull’ impegno di padre Ibrahim. Grandi emergenze europee degli ultimi anni, vedi migrazioni e terrorismo, dipendono in grande misura dalla guerra siriana. Saperne tutti di più aiuterebbe il nostro paese ad agire in modo meno dannoso di quanto abbia fatto finora.  

Marco Palombo

lunedì 5 dicembre 2016

Malattia d'Alzheimer - "Still Alice"di Lisa Genova, romanzo e film con Julienne Moore,Premio Oscar 2015 come migliore attrice


Da libro di self publishing a bestseller internazionale. Il romanzo Still Alice di Lisa Genova, dal quale è stato tratto l'omonimo film con Julianne Moore nel ruolo della protagonista, è un curioso caso editoriale. Opera prima della sua autrice, che è una neuropsichiatra, è stato inizialmente stampato a sue spese. Il passaparola ha fatto tutto il resto. Finché una giornalista di un importante quotidiano americano l'ha intercettato, letto e recensito, accrescendo la notorietà del libro. A questo punto, è entrata in campo una grande casa editrice, Simon & Schuster, che l'ha ripubblicato, facendolo diventare un bestseller. Tant'è che è rimasto nella classifica dei libri più letti stolta dal New York Times per 40 settimane. Questo fenomeno editoriale esce ora anche in italiano, proposto da Piemme.

Still Alice in inglese significa "ancora Alice". Perché "ancora"? Perché Alice Howland, una docente universitaria americana intorno alla cinquantina, manifesta i primi sintomi di una rara forma di Alzheimer precoce, la malattia negli anziani fa perdere la memoria, confonde i gesti quotidiani e finisce per rubare, insieme, ai ricordi, anche l'identità di una persona.
Alice è una professoressa di Psicolinguistica. Ironia della sorte, lei che studia le parole e il loro utilizzo, finisce per non dominarle più. La sua mente brillante, poco alla volta, incomincia a perdere colpi. È l'inizio di viaggio che la porterà a percepire come estraneo tutto ciò che le era familiare: dalla strada che da casa va verso l'università - che lei ha percorso un'infinità di volte nei suoi venticinque anni da insegnante - alle stanze del suo appartamento e persino ai nomi e ai volti dei suoi familiari. Il marito e i tre figli le staranno vicino. La nuova Alice è "ancora" Alice, come ci ricorda il titolo del libro, ma necessita di un amore e di comprensione differenti, di fronte alla fragilità provocata dalla malattia.

Non è difficile capire perché Still Alice abbia riscosso così tanto successo fra i lettori. È una storia ben scritta, di lotta e di speranza, anche in una circostanza della vita che sembra non lasciare aperto nessuno spiraglio. È una tragedia profondamente umana, che colpisce una madre forte e protettiva nei confronti della sua famiglia, rendendola vulnerabile e bisognosa del sostegno dei suoi cari come se fosse una bambina. Ma soprattutto riguarda una malattia che oggi, con l'allungamento della vita, sta diventando un'emergenza internazionale.
Still Alice è anche un libro utile. Lisa Genova è una neuropsichiatra che ha lavorato molto sull'Alzheimer. La storia che ci racconta è fiction, ma è tuttavia estremamente verosimile e precisa. È ciò che potrebbe succedere, a chiunque. Leggerla è un modo per avvicinassi alle difficoltà di chi lotta contro questa malattia: non solo il paziente, ma tutte le persone care che lo circondano.

Il trailer del film "Still Alice", Julianne Moore per questa interpretazione nel 2015 ha ottenuto il Premio Oscar come miglior attrice protagonista

https://www.youtube.com/watch?v=WLlTTDsKk_Y





sabato 3 dicembre 2016

Une jeune fille de 90 ans - Valeria Bruni Tedeschi ci parla d' Alzheimer con una storia d'amore


L'attrice e regista presenta 'Una ragazza di 90 anni', codiretto con Yann Coridian, girato nel reparto geriatrico dell'ospedale Charles Foix d'Ivry, vicino Parigi dove il coreografo Thierry Thieu Niang cura i malati di Alzheimer con la danza
di Anna Bandettini da Repubblica
Sarà pure triste mostrare la vecchiaia, anziani spaesati, separati dalla vita per una malattia che toglie loro ricordi, memorie, radici. Invece quando il film finisce sulle tenere note di una filastrocca per bambini, cantata dalla figlia Oumy e suonata dalla sorella Carla Bruni, sono solo sorrisi, magoni di commozione e applausi, una redenzione come quando si è appena finito di leggere un romanzo d'amore e di vita. Une jeune fille de 90 ans, (una ragazza di 90 anni) "il mio quinto  film", sottolinea orgogliosa Valeria Bruni Tedeschi, è un documentario delicato e carico di poesia girato insieme a Yann Coridian nel reparto geriatrico dell'ospedale Charles Foix d'Ivry, vicino Parigi, dove per cinque giorni il coreografo Thierry Thieu Niang teneva un laboratorio di danza, un esperimento sul movimento in relazione a pazienti malati di Alzheimer. Il film mostra quel lavoro, ma soprattutto come la danza, quei gesti delicati e dolci, si oppongono all'oblio, alla solitudine dell'età e della malattia e fanno riaffiorare la vita, perfino l'amore, come succede a Blanche una delle pazienti: piccola, fragile,  92 anni con candore, nel corso delle riprese dichiara il suo amore a Thierry Thieu Niang.

Un trailer del film


Una intervista di 10 minuti al festival di Locarno


Valeria Bruni Tedeschi, reduce dal successo di La pazza gioia per cui è candidata agli Efa (gli Oscar europei), ha già la testa su un altro film ma a Une jeune fille de 90 ans, è legata e affezionata. L'altra sera il film è stato presentato al Festival dei Popoli a Firenze e ieri sera, jeans azzurri e golfino grigio, i capelli corti, biondi e spettinati, il bel viso senza trucco ha voluto essere presente con Yann Coridian alla prima a Milano nella atmosfera sobria e autoriale del Festival Filmmaker e stasera sarà al Riff- Roma Indipendent Film Festival. "Il film è nato per la tv, per Artè, dove verrà messo in onda – inizia a raccontare Valeria-  ma ci fa piacere portarlo ai festival. Non è certo destinato ai circuiti commerciali. Abbiamo pensato a uscite mirate e informali. A Milano, per esempio, sarà programmato allo Spazio Oberdan dal 25 dicembre all'8 gennaio. A Parigi in primavera verrà proiettato una volta la settimana per tre mesi. Mi piacerebbe che anche a Roma succedesse qualcosa di simile. Noi cercheremo di seguirlo, perchè per questo film è importante discutere e parlare con il pubblico".

Come vi è venuta l'idea di un documentario sugli anziani?
"Avevo conosciuto Thierry con Patrice Chereau mentre preparavamo lo spettacolo
 Rêve d'automne di Jon Fosse – dice Valeria-  Ci aiutava nella preparazione fisica. Quando mi ha detto dello stage che avrebbe tenuto in quell'ospedale per cinque giorni, ho proposto a Yann di fare un documentario, cosa che nessuno dei due aveva fatto prima. Ma la sua danza ci ha permesso di guardare quelle persone attraverso un prisma che ci ha aperto molte porte inattese".

Lei e Yann parlate di documentario, ma sembra un vero film con una storia, uno svolgimento, l'amore di Blanche per Thierry, una conclusione.
Yann: "Il nostro progetto è sempre stato di fare un documentario e tale è rimasto. Il pubblico vede quello che abbiamo visto noi, non c'è stata una ricostruzione narrativa".
Valeria: "Si anche per me è un documentario durante il quale è successo un miracolo, quella storia d'amore, con le tappe di tutte le storie... Noi avremmo solo voluto che durante il film si creassero momenti di empatia perchè, come dice Simone Weil, l'unico miracolo su questa terra è l'empatia tra due persone. Mai avremmo pensato a una storia amorosa, merito del meraviglioso lavoro di Thierry".
Foto
Non una semplice arte-terapia, ma un profondo lavoro sul corpo attraverso il gesto.
"Thierry non è un terapeuta, è un artista. L'arte intensifica la vita fino a creare appunto il miracolo dell'amore. Il nostro documentario testimonia tutto questo, insieme alla solitudine degli anziani, una malattia difficile da vincere. Quella solitudine dentro cui la nostra società li relega. In altri paesi non  è così, c'è rispetto per la vecchiaia".

Paura dell'età che avanza?
Yann: "Io ho poca dimestichezza con gli anziani. E quanto alla paura ero già vecchio da giovane".
Valeria: "Per me è una cosa strana. A seconda delle epoche, dei momenti della mia vita, dei giorni mi sento vecchia o bambina. Accanto a quelle signore per cinque giorni ho avuto la sensazione forse un po' banale che siamo tutti sulla stessa barca. Anch'io come loro mi sono sentita come bloccata in certi momenti della mia vita, come se non riuscissi a scollarmi dalla memoria del passato. L'idea di cambiare fisicamente, poi, un po' mi spaventa. Ma ogni giorno mi ci abituo un po' di più quando mi guardo allo specchio. Addomestico lo spavento dell'età che passa. Leggo molti libri sulla saggezza, sulla fine, ma non ho ancora imparato a ridere della morte come il Dalai Lama".

Yann lei che lavori ha fatto e che progetti ha ora?
"Scrivo novelle per bambini, e faccio lo sceneggiatore. Ora sto adattando un racconto sulla giovinezza per una serie tv.  Prima di questo documentario avevo girato un solo film,
 Nuts (titolo originale Ouf) con Valeria Golino. Progetti? Continuare a invecchiare serenamente".

E lei Valeria?
"Sto cercando di scrivere il mio prossimo film, sempre una storia di famiglia che riguarda un po' me, un po' il mondo in cui vivo. Mi piacerebbe fare teatro, ma adesso con due bambini piccoli non è facile, mia figlia Oumy ha otto anni, mio figlio due e mezzo, ogni spostamento è un problema organizzativo. E poi voglio fare prima il mio film, entro sei mesi se ce la faccio. Ci saranno moti personaggi, un mucchio di gente e io lì, con il mio sguardo a guardare le vite degli altri".