mercoledì 21 settembre 2016

A proposito di Ippocrate, "Croce Rossa colpevole come gli eserciti". Il dibattito su Gandhi e guerre britanniche.




Se giudicata soltanto con il metro della ahimsa (termine indiano che indica “il non nuocere”, usato spesso da G. come sinonimo di nonviolenza n.d.r.) la mia condotta non può essere difesa. Io non faccio distinzione tra chi usa armi mortali e chi svolge i servizi della Croce Rossa. Entrambi sono colpevoli del crimine della guerra”. Così scriveva Gandhi nella autobiografia spiegando la sua partecipazione alle guerre britanniche, dalla guerra anglo-boera in Sudafrica del 1899 alla fine del primo conflitto mondiale nel 1918.

Organizzare un servizio di ambulanze o partecipare impugnando le armi, comporta, in entrambi i casi, collaborare alla guerra ed essere responsabili delle sue atrocità. Questo giudizio era comune al Mahatma e ai pacifisti, soprattutto europei, che lo criticavano per aver organizzato cittadini indiani in sostegno ai conflitti armati dell’ Impero Britannico.

Ma andiamo con ordine.

Gandhi in quattro occasioni sostenne le guerre dell’ Inghilterra.

Il Mahatma organizzò indiani in supporto all’esercito inglese in Sudafrica nel 1899 contro i Boeri e nel 1906 contro la cosiddetta (termine usato da G. Pontara) rivolta degli Zulù, e in due momenti diversi della prima guerra mondiale, nel 1914 e nel 1918.
Addirittura nelle prime due occasioni riteneva che la ragione fosse dalla parte dei Boeri e degli Zulù ma organizzò ugualmente un corpo di barellieri indiani inquadrato nell’ esercito britannico. Nel conflitto mondiale sostenne completamente gli inglesi, promuovendo all’inizio un servizio volontario di assistenza sanitaria, accettato dall’ Inghilterra, e nel 1918 invitando con grande impegno gli indiani ad arruolarsi volontariamente nell’esercito dell’Impero Britannico, ritenuto in quel momento in grande difficoltà.

L’atteggiamento del Mahatma suscitò molte reazioni negative e le perplessità di alcuni suoi collaboratori, di pacifisti europei, cronisti di tutto il mondo e lettori dei suoi giornali, Young India e Harijan.

Padre Ernesto Balducci: Gandhi “Il suddito di Sua Maestà”, fino al 1920.

Inizio segnalando la tesi sulla partecipazione di G. alle guerre inglesi sostenuta da Ernesto Balducci. E’esposta nel suo volume “Gandhi” (1988, Edizioni della pace, una casa editrice fondata dallo stesso Balducci).

Secondo il religioso toscano, Gandhi fino al 1920 pensava che l’ autonomia dell’ India si potesse realizzare all’ interno dell’ impero britannico. In un capitolo di due pagine dal titolo “Il suddito di Sua Maesta’ ”, Padre Ernesto riporta nel suo volume un periodo della autobiografia di Gandhi:

Pensavo che il pregiudizio razziale di cui ero stato testimone in Sudafrica fosse contrario alle tradizioni inglesi e lo ritenevo un sintomo passeggero e circoscritto, perché la mia lealtà per la corona era pari a quella degli stessi inglesi.

Secondo Balducci G. aveva una “ostinata lealtà acritica, che faceva tutt’uno con il suo rigore morale”. Nelle due guerre coloniali inglesi il Mahatma nel 1899 riteneva che la ragione fosse dalla parte dei Boeri mentre nel 1906 aveva dei dubbi sulla rivolta degli Zulù ma non nutriva nessun rancore verso di loro. “Il disprezzo razzistico” degli inglesi nei confronti dei negri e gli spettacoli “disumani” nei quali si trovò coinvolto colpirono molto Gandhi, che, di ritorno dai sei mesi di guerra, fece una scelta radicale: il voto di bramacharya o celibato perpetuo, nei suoi intenti un modo per addossarsi le sofferenze dell’ umanità.

La svolta politica avvenne attorno al 1920 quando il giudice Rowlatt ripropose in due disegni di legge la legislazione di emergenza adottata durante la guerra e ormai scaduta. Iniziò una grande mobilitazione indiana nonviolenta ma, a causa di provocazioni inglesi, scoppiarono presto incidenti che portarono ad un massacro. Rimasero uccisi ben 4.000 indiani. Gandhi ritenne di aver compiuto un errore “grande come l’ Himalaya”: i suoi connazionali lo consideravano molto ma non erano ancora pronti a sostenere un durissimo conflitto nonviolento. Iniziò da allora un lavoro di graduale educazione al Satyagraha, la lotta nonviolenta. Intanto si consolida una egemonia di Gandhi sul Congresso, la maggiore organizzazione politica degli indiani, tuttora in attività, con posizioni ora indirizzate verso una totale indipendenza, pur senza impazienza e da ottenere con mezzi nonviolenti.

Balducci ritiene che fu il metodo gandiano a cambiare la convinzione iniziale del Mahatma sulla possibilità di ottenere l’ indipendenza convincendo gli inglesi e non costringendoli con la lotta, sia pure nonviolenta. Il metodo gandiano presuppone una ipotesi, la fedeltà ai valori di fondo, ma anche l’esperimento con la verità, verificare nel modo più sincero possibile se l’ ipotesi considerata supera la prova sperimentale. Un metodo scientifico che si unisce a valori morali fortissimi.
Il religioso toscano riteneva il metodo gandiano la lezione più importante ed universale lasciata dal Mahatma, valida in ogni luogo e in ogni tempo. Un giudizio che condivido con grande convinzione.

Questo scritto sarà aggiornato nei prossimi giorni, ritengo però che già così, incompleto e in brutta copia,  possa far conoscere notizie interessanti e poco diffuse.

Marco

I dissensi verso l’ impegno di Gandhi in sostegno all’ esercito britannico dal 1899 al 1918.

Le giustificazioni di Gandhi da autobiografie,Pontara e lettere

L’analisi di Giuliano Pontara in Teoria e pratica della nonviolenza
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