“Se giudicata soltanto con il
metro della ahimsa (termine indiano che indica “il non
nuocere”, usato spesso da G. come sinonimo di nonviolenza n.d.r.)
la mia condotta non può essere difesa. Io non faccio
distinzione tra chi usa armi mortali e chi svolge i servizi della
Croce Rossa. Entrambi sono colpevoli del crimine della guerra”.
Così scriveva Gandhi nella autobiografia spiegando la sua
partecipazione alle guerre britanniche, dalla guerra anglo-boera in
Sudafrica del 1899 alla fine del primo conflitto mondiale nel 1918.
Organizzare un servizio di ambulanze o
partecipare impugnando le armi, comporta, in entrambi i casi,
collaborare alla guerra ed essere responsabili delle sue atrocità.
Questo giudizio era comune al Mahatma e ai pacifisti, soprattutto
europei, che lo criticavano per aver organizzato cittadini indiani in
sostegno ai conflitti armati dell’ Impero Britannico.
Ma andiamo con ordine.
Gandhi in quattro occasioni sostenne
le guerre dell’ Inghilterra.
Il Mahatma organizzò indiani in
supporto all’esercito inglese in Sudafrica nel 1899 contro i Boeri
e nel 1906 contro la cosiddetta (termine usato da G. Pontara) rivolta
degli Zulù, e in due momenti diversi della prima guerra mondiale,
nel 1914 e nel 1918.
Addirittura nelle prime due occasioni
riteneva che la ragione fosse dalla parte dei Boeri e degli Zulù ma
organizzò ugualmente un corpo di barellieri indiani inquadrato nell’
esercito britannico. Nel conflitto mondiale sostenne completamente
gli inglesi, promuovendo all’inizio un servizio volontario di
assistenza sanitaria, accettato dall’ Inghilterra, e nel 1918
invitando con grande impegno gli indiani ad arruolarsi
volontariamente nell’esercito dell’Impero Britannico, ritenuto in
quel momento in grande difficoltà.
L’atteggiamento del Mahatma suscitò
molte reazioni negative e le perplessità di alcuni suoi
collaboratori, di pacifisti europei, cronisti di tutto il mondo e
lettori dei suoi giornali, Young India e Harijan.
Padre Ernesto Balducci: Gandhi “Il
suddito di Sua Maestà”, fino al 1920.
Inizio segnalando la tesi sulla
partecipazione di G. alle guerre inglesi sostenuta da Ernesto
Balducci. E’esposta nel suo volume “Gandhi” (1988, Edizioni
della pace, una casa editrice fondata dallo stesso Balducci).
Secondo il religioso toscano, Gandhi
fino al 1920 pensava che l’ autonomia dell’ India si potesse
realizzare all’ interno dell’ impero britannico. In un capitolo
di due pagine dal titolo “Il suddito di Sua Maesta’ ”, Padre
Ernesto riporta nel suo volume un periodo della autobiografia di
Gandhi:
Pensavo che il pregiudizio razziale
di cui ero stato testimone in Sudafrica fosse contrario alle
tradizioni inglesi e lo ritenevo un sintomo passeggero e
circoscritto, perché la mia lealtà per la corona era pari a quella
degli stessi inglesi.
Secondo Balducci G. aveva una “ostinata
lealtà acritica, che faceva tutt’uno con il suo rigore morale”.
Nelle due guerre coloniali inglesi il Mahatma nel 1899 riteneva che
la ragione fosse dalla parte dei Boeri mentre nel 1906 aveva dei
dubbi sulla rivolta degli Zulù ma non nutriva nessun rancore verso
di loro. “Il disprezzo razzistico” degli inglesi nei confronti
dei negri e gli spettacoli “disumani” nei quali si trovò
coinvolto colpirono molto Gandhi, che, di ritorno dai sei mesi di
guerra, fece una scelta radicale: il voto di bramacharya o celibato
perpetuo, nei suoi intenti un modo per addossarsi le sofferenze dell’
umanità.
La svolta politica avvenne attorno al
1920 quando il giudice Rowlatt ripropose in due disegni di legge la
legislazione di emergenza adottata durante la guerra e ormai scaduta.
Iniziò una grande mobilitazione indiana nonviolenta ma, a causa di
provocazioni inglesi, scoppiarono presto incidenti che portarono ad
un massacro. Rimasero uccisi ben 4.000 indiani. Gandhi ritenne di
aver compiuto un errore “grande come l’ Himalaya”: i suoi
connazionali lo consideravano molto ma non erano ancora pronti a
sostenere un durissimo conflitto nonviolento. Iniziò da allora un
lavoro di graduale educazione al Satyagraha, la lotta nonviolenta.
Intanto si consolida una egemonia di Gandhi sul Congresso, la
maggiore organizzazione politica degli indiani, tuttora in attività,
con posizioni ora indirizzate verso una totale indipendenza, pur
senza impazienza e da ottenere con mezzi nonviolenti.
Balducci ritiene che fu il metodo
gandiano a cambiare la convinzione iniziale del Mahatma sulla
possibilità di ottenere l’ indipendenza convincendo gli inglesi e
non costringendoli con la lotta, sia pure nonviolenta. Il metodo
gandiano presuppone una ipotesi, la fedeltà ai valori di fondo, ma
anche l’esperimento con la verità, verificare nel modo più
sincero possibile se l’ ipotesi considerata supera la prova
sperimentale. Un metodo scientifico che si unisce a valori morali
fortissimi.
Il religioso toscano riteneva il metodo
gandiano la lezione più importante ed universale lasciata dal
Mahatma, valida in ogni luogo e in ogni tempo. Un giudizio che
condivido con grande convinzione.
Questo scritto sarà aggiornato nei
prossimi giorni, ritengo però che già così, incompleto e in brutta copia, possa far conoscere notizie interessanti e poco
diffuse.
Marco
I dissensi verso l’ impegno di
Gandhi in sostegno all’ esercito britannico dal 1899 al 1918.
Le giustificazioni di Gandhi da
autobiografie,Pontara e lettere
L’analisi di Giuliano Pontara in
Teoria e pratica della nonviolenza
.
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