martedì 17 settembre 2019

Trump-Ryad alleati contro clima e Iran, ma eco e pax non si alleano più, per ora




La crisi di questi giorni con Stati Uniti, Arabia Saudita da una parte e Iran dall’ altra, non è un fulmine a ciel sereno ma un tuono molto forte di un temporale che si sta avvicinando da tempo.
 La rivalità tra Arabia saudita ed Iran è storica, e Ryad, con il 20% delle riserve mondiali di greggio, nei 40 anni dopo la rivoluzione che ha cacciato lo Scià, per merito degli embarghi a Theran e Iraq che insieme hanno anche loro il 20% delle riserve mondiali, e grazie all’ alleanza stretta con gli USA, ha potuto gestire come voleva il mercato mondiale, vendendo una quantità di greggio molto superiore a Iraq e Iran ai prezzi desiderati.

Gli Stati Uniti, dopo l’ elezione di Trump, sono poi usciti dall’ accordo sul nucleare iraniano con motivazioni deboli ed hanno imposto nuove sanzioni all’ Iran anche al resto del mondo, soprattutto l’ UE, che invece continua a ritenere valido l’ accordo ma non si è opposto con la necessaria forza alle nuove sanzioni USA e ora nello scontro in atto sta accodandosi all’ alleato di sempre.

Questo ennesimo episodio di grande tensione nel Medio Oriente arriva a settembre 2019 e il conflitto diplomatico si svolgerà nell’ annuale Assemblea di inaugurazione delle Nazioni Unite dove il tema centrale atteso è la lotta ai cambiamenti climatici, che vedrà il giorno 23 settembre un’ assemblea dedicata attesa da mesi, tanto che Greta è già a New York da giorni.

E Ryad e Trump sono alleati anche contro il clima, schierati insieme in ogni occasione contro politiche mondiali che possano indebolire la produzione di energia da fonti fossili, al momento dominante ma ora minacciata da alternative più sperimentate e dai limiti del pianeta che non regge più le emissioni di CO2,  prodotte soprattutto dall’ Occidente avanzato e da alcune grandi economie in crescita tumultuosa, vedi  India e Cina.

Ma, se Trump e Ryad sono alleati di ferro contro l’ Iran e contro il clima, sono diverse le opposizioni alle loro politiche spesso distruttive per il mondo e per milioni di persone. La lotta al cambiamento climatico, pur non avendo al momento prodotto risultati soddisfacenti, è di gran moda e stanno crescendo, accanto  agli storici movimenti ambientalisti, reti internazionali nuove e combattive come Fridays For Future e Extinction Rebellion.

Al contrario il movimento pacifista mondiale è quasi invisibile e qualche volta anche un po’ confuso.

Eppure le politiche di guerre sono indispensabili al modello produttivo che sta facendo impazzire il clima mondiale, e purtroppo, nella peggiore delle ipotesi, 

 le guerre potrebbero essere una via di uscita per il modello industriale distruttivo, finalizzata a  evitare cambiamenti radicali. 

Ambientalisti e pacifisti dovrebbero quindi incrociare di nuovo le loro strade per sperare di cambiare davvero qualcosa.

Ma al momento non è così, potrebbero però iniziare alzando la testa dal loro cortile e cercando di capire cosa sta avvenendo intorno,

perché non c’è un pianeta B, e guerre e distruzioni ambientali  avvengono tutte nello stesso pianeta A che è relativamente piccolo e i protagonisti negativi o positivi sono spesso gli stessi.

Marco Palombo

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