La crisi di questi giorni con Stati Uniti, Arabia Saudita da
una parte e Iran dall’ altra, non è un fulmine a ciel sereno ma un tuono molto
forte di un temporale che si sta avvicinando da tempo.
La rivalità tra
Arabia saudita ed Iran è storica, e Ryad, con il 20% delle riserve mondiali di
greggio, nei 40 anni dopo la rivoluzione
che ha cacciato lo Scià, per merito degli embarghi a Theran e Iraq che insieme
hanno anche loro il 20% delle riserve mondiali, e grazie all’ alleanza stretta
con gli USA, ha potuto gestire come voleva il mercato mondiale, vendendo una
quantità di greggio molto superiore a Iraq e Iran ai prezzi desiderati.
Gli Stati Uniti, dopo l’ elezione di Trump, sono poi usciti
dall’ accordo sul nucleare iraniano con motivazioni deboli ed hanno imposto
nuove sanzioni all’ Iran anche al resto del mondo, soprattutto l’ UE, che
invece continua a ritenere valido l’ accordo ma non si è opposto con la
necessaria forza alle nuove sanzioni USA e ora nello scontro in atto sta
accodandosi all’ alleato di sempre.
Questo ennesimo episodio di grande tensione nel Medio
Oriente arriva a settembre 2019 e il conflitto diplomatico si svolgerà nell’ annuale
Assemblea di inaugurazione delle Nazioni Unite dove il tema centrale atteso è
la lotta ai cambiamenti climatici, che vedrà il giorno 23 settembre un’
assemblea dedicata attesa da mesi, tanto che Greta è già a New York da giorni.
E Ryad e Trump sono alleati anche contro il clima, schierati
insieme in ogni occasione contro politiche mondiali che possano indebolire la
produzione di energia da fonti fossili, al momento dominante ma ora minacciata
da alternative più sperimentate e dai limiti del pianeta che non regge più le
emissioni di CO2, prodotte soprattutto
dall’ Occidente avanzato e da alcune grandi economie in crescita tumultuosa,
vedi India e Cina.
Ma, se Trump e Ryad sono alleati di ferro contro l’ Iran e
contro il clima, sono diverse le opposizioni alle loro politiche spesso
distruttive per il mondo e per milioni di persone. La lotta al cambiamento
climatico, pur non avendo al momento prodotto risultati soddisfacenti, è di gran
moda e stanno crescendo, accanto agli
storici movimenti ambientalisti, reti internazionali nuove e combattive come Fridays
For Future e Extinction Rebellion.
Al contrario il movimento pacifista mondiale è quasi
invisibile e qualche volta anche un po’ confuso.
Eppure le politiche di guerre sono indispensabili al modello
produttivo che sta facendo impazzire il clima mondiale, e purtroppo, nella
peggiore delle ipotesi,
le guerre potrebbero essere una via di uscita per il modello industriale distruttivo, finalizzata a evitare cambiamenti radicali.
Ambientalisti e pacifisti dovrebbero quindi incrociare di nuovo le loro strade per sperare di cambiare davvero qualcosa.
le guerre potrebbero essere una via di uscita per il modello industriale distruttivo, finalizzata a evitare cambiamenti radicali.
Ambientalisti e pacifisti dovrebbero quindi incrociare di nuovo le loro strade per sperare di cambiare davvero qualcosa.
Ma al momento non è così, potrebbero però iniziare alzando
la testa dal loro cortile e cercando di capire cosa sta avvenendo intorno,
perché non c’è un pianeta B, e guerre e distruzioni ambientali avvengono tutte nello stesso pianeta A che è
relativamente piccolo e i protagonisti negativi o positivi sono spesso gli
stessi.
Marco Palombo
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