Non sono un giurista, quindi non esprimo pareri tecnici, esprimo però una opinione personale di cui sono in questo momento assolutamente convinto: la strada della Commissione di inchiesta indipendente votata dal Consiglio dei diritti umani dell' ONU di Ginevra e i passi successivi vanno seguiti con determinazione ed attenzione. Andare a fondo su questa via, anche se può non dare risultati giuridici concreti, influenzerebbe molto l' opinione pubblica mondiale, specialmente occidentale, e questo è già molto importante.
Inoltre, come sembra di capire dall' articolo riportato di seguito, dopo l' ammissione della Palestina alle Nazioni Unite come stato osservatore, la posizione dello stato israeliano potrebbe essere molto più scomoda.
Marco
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L’Assemblea generale delle Nazioni Unite (Ag) ha votato il 29 novembre a larga maggioranza (138 voti a favore, 9 contro e 41 astensioni) l’ammissione della Palestina come Stato osservatore. In realtà si è trattato di un upgrading, poiché la Palestina già godeva dello status di osservatore come movimento di liberazione nazionale fin dal 1974, prima in quanto Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e poi, a partire dal 1988, con il nome di Palestina.
L’Ag non aveva fatto altro che sostituire il nome dell’Olp con quello di Palestina, senza riconoscerne la qualità statuale, nonostante che la Palestina, tramite il Consiglio nazionale palestinese, si fosse autoproclamato stato il 15 novembre 1988, con Gerusalemme capitale. Il 23 settembre 2011 la Palestina ha fatto domanda d’ammissione alle Nazioni Unite. Per divenire membro dell’organizzazione mondiale occorre innanzitutto essere uno stato, qualifica contestata dagli Stati Uniti membro permanente con diritto di veto del Consiglio di sicurezza (Cds), e una decisione dell’Ag su proposta del Cds, cui spetta la prima mossa. La domanda di ammissione è stata subito bloccata, poiché nel Comitato sulle ammissioni del Cds solo sei stati si erano espressi a favore. Più fortunata è stata la domanda di ammissione all’Unesco. La Palestina ne è divenuta membro il 23 novembre 2011, con una larga maggioranza, e con l’opposizione degli Stati Uniti, che hanno immediatamente bloccato il versamento di fondi all’Unesco. In sé, l’ammissione in qualità di stato osservatore in seno all’Ag può sembrare ben poca cosa e non produrre significative ricadute politiche, positive o negative, per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Il punto è trattato da Aliboni nel suo articolo. Qui si esaminano solo le ricadute istituzionali. Status di osservatore Non è la prima volta che uno stato viene ammesso come osservatore nell’Ag. Il riferimento alla Città del Vaticano è improprio: lo status di osservatore in Ag è attribuito alla Santa Sede, della cui personalità internazionale nessuno dubita, ma che non è un ente statuale. Osservatori sono stati la Svizzera, prima dell’ammissione alle Nazioni Unite, e la stessa Italia fino al 1955. Uno stato osservatore può intervenire, ma non votare, in Ag, né sponsorizzare candidature o firmare progetti di risoluzione (alla Palestina erano stati però riconosciuti nel 1988 diritti aggiuntivi, come quello di co-sponsorizzare risoluzioni sulla questione mediorientale). Né può divenire membro a pieno titolo di organi sussidiari dell’Ag o del Cds. Pertanto quando si paventa che la Palestina potrebbe divenire membro del Consiglio dei diritti umani si dice cosa sbagliata, poiché solo i membri delle Nazioni Unite hanno l’elettorato passivo. Diverso è il caso delle conferenze internazionali di codificazione convocate sotto l’auspicio delle Nazioni Unite. Finora gli osservatori vi hanno partecipato in tale qualità, senza diritto di voto. Cosa accadrà per il futuro? Un primo assaggio si è già avuto con la conferenza delle Nazioni Unite sul commercio delle armi convenzionali che ha avuto tre settimane di stallo per la pretesa della Palestina di partecipare come membro di pieno diritto. Trattati internazionali Una prima mossa della Palestina sarà quella di aderire ai trattati internazionali multilaterali. Come potrà il Segretario generale delle Nazioni Unite respingere il deposito dello strumento di adesione ora che l’Ag ha riconosciuto la statualità della Palestina? Il riconoscimento non vincola gli Stati membri dell’Ag che hanno votato contro o si sono astenuti e una soluzione potrà essere trovata nel non considerare vincolante il trattato tra la Palestina e gli stati che ne contestano la statualità. È quanto già avviene nei rapporti tra buona parte degli stati arabi e Israele. Corte internazionale di giustizia e Corte penale internazionale Uno dei principali timori è che la Palestina possa adire la Corte internazionale di giustizia (Cig) per le molteplici controversie con Israele. Il timore è in larga parte infondato, poiché solo gli Stati membri delle Nazioni Unite sono considerati automaticamente aderenti alla Cig e possono sottoporre una controversia alla Corte. I non membri possono divenire parti dello statuto della Corte alle condizioni determinate dall’Ag su proposta del Cds ed è immaginabile che gli Stati Uniti e il Regno Unito bloccherebbero la delibera. Si possono escogitare altri meccanismi, ma il ricorso alla Cig mi sembra un’ipotesi residuale. Più concreta è invece la possibilità che la Palestina attivi la Corte penale internazionale (Cpi). Ci ha già provato, indirizzando alla cancelleria della Corte una richiesta ad hoc, facendo leva sul meccanismo che consente di accettare la giurisdizione della Corte anche agli Stati non parti. Il Procuratore generale ha avuto buon gioco nel respingere la richiesta, affermando che la Palestina non era uno Stato e quindi non poteva attivare il meccanismo. Ma cosa succederà dopo il voto in Ag? La Palestina non avrà più bisogno di servirsi del meccanismo aperto agli Stati non parti e farà sicuramente domanda di adesione allo Statuto della Corte, domanda che non sarà facile respingere. |
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