Segnalo questo articolo del professor Gianpasquale Santomassimo
pubblicato su il manifesto di domenica 11 marzo. Il titolo è clamoroso sul
quotidiano che alle ultime elezioni ha sostenuto in modo esplicito Liberi e Uguali e cita quello
che è veramente il nodo dell’ Europa: l’ imposizione delle politiche dell’
Unione Europea a tutti gli abitanti dei paesi aderenti, considerate come un
dogma indiscutibile e sostenute dal blocco socialdemocratico e dal partito Popolare.
Non trovo eccezionale l’ articolo che addirittura critica, con un allusione inequivocabile, Potere al Popolo che ha avuto un
sostegno fondamentale dalla piattaforma Eurostop. Non credo neppure che questo
scritto riesca ad aprire un dibattito serio sul rapporto distruttivo tra
politiche neoliberiste dell’ Unione Europea e sinistre europee: socialdemocratiche,
verdi e alcuni partiti del gruppo della Sinistra alternativa e comunista.
Però un dibattito sarebbe doveroso. Spero che qualcuno con più
autorevolezza e più tempo di me provi a farlo decollare.
Marco P.
Lo stralcio di seguito è la conclusione dell' articolo "Il
grande sconfitto è il mito europeista"
" «Non ci interessa la sovranità nazionale, siamo
internazionalisti» dichiara la dirigente di una lista elettorale che ha preso
l’1,1%. Ci si chiede da quando questa posizione, che ignora perfino il
significato delle parole, e che sarebbe impossibile spiegare ai cubani, ai
vietnamiti, ma anche ai curdi e a qualunque altro popolo, sia diventata luogo
comune nella sinistra italiana.
Anziché evocare il Popolo bisognerebbe cominciare almeno a
parlarci. Quando ci si deciderà a farlo non sarà mai troppo tardi."
Il grande sconfitto è il mito europeista
di Gianpasquale Santomassimo
di Gianpasquale Santomassimo
A tutti quelli che fanno analisi molto complicate e
politicistiche, che ritengono che un certo partito abbia perso barcate di voti
per una parolina sbagliata in tv, per un obiettivo errato nel programma, per
quel candidato indigesto ecc., va ricordata una semplice verità: che il grosso
dell’elettorato si orienta e ragiona in maniera molto più semplice. Se la
«sinistra» è divenuta indigesta e invotabile agli occhi degli elettori questo
si ripercuoterà a raggi concentrici, da Renzi a Grasso e ancora più a sinistra.
Le distinzioni che gli appassionati di politica fanno, spaccando
il capello in quattro, non hanno alcun valore e non sono intellegibili per
l’elettore comune. Si tratta di capire perché vi sia stato un rigetto così
ampio e probabilmente definitivo di ciò che è stato considerato «sinistra»
negli ultimi decenni. Un fenomeno non sorprendente, e che viene da abbastanza
lontano, da un’inversione di ruoli e di rappresentanza di ceti e di stili di
vita, raffigurato plasticamente da tutte le analisi del voto degli ultimi anni,
che hanno contrapposto benestanti soddisfatti dei centri cittadini a popolo
delle periferie che esprimeva un bisogno al tempo stesso di ribellione e di
protezione.
Non è che mancassero offerte di sinistre possibili, anche molto
variegate, se pure di scarsa qualità: a questo punto è mancata la domanda di
sinistra, diciamo. Tutta la sinistra (moderata, radicale, antagonista) è stata
percepita e giudicata dall’elettorato come parte integrante di un sistema da
cambiare.
Assistiamo anche in Italia all’inabissamento della sinistra
liberal che era stata a lungo egemone con la sua visione del mondo. La stessa
cosiddetta «sinistra radicale» era stata null’altro che l’ala estrema di questa
ideologia diffusa, sensibilissima alle tematiche dei diritti civili e delle
battaglie «umanitarie», di fatto inerte sul terreno dei diritti sociali.
E anche complice della costruzione del mito europeista, che è
sullo sfondo il grande sconfitto di questa consultazione. Parte integrante
dell’establishment europeista il Pd, molto spesso ascari della «più Europa» i
suoi critici di sinistra.
Non solo euro e regole ci troviamo di fronte, ma anche una
ideologia complessiva potentissima e pervasiva, un fronte politico e culturale
vastissimo, convinto che «più Europa» sia la soluzione ai problemi che l’Europa
stessa ha posto con la sua folle attuazione. Si tratterebbe di affrontare un
lavoro di lunga lena per demistificare – come si diceva un tempo – le risultanze
di una egemonia costruita con molti decenni di impiego massiccio di risorse
culturali, mediatiche, economiche, ma che riposa su basi storiche e teoriche
fragilissime, testimoniate da quell’imbarazzante documento che è passato alla
storia come «manifesto di Ventotene».
Il problema dell’europeismo di sinistra è che ormai non è più soltanto ideologia sostitutiva di quelle novecentesche crollate nell’89 e non è più solo «religione civile» imposta ai sudditi dall’establishment. Ma ormai è religione vera e propria, con i suoi dogmi, i suoi atti di fede cieca e assoluta, il credo quia absurdum (credo perché è assurdo) e anche una dose massiccia di sacrifici umani. Cominciare almeno a porre il problema, discuterne apertamente e laicamente a sinistra, sarà sicuramente un fatto positivo (oltre che doveroso).
Il problema dell’europeismo di sinistra è che ormai non è più soltanto ideologia sostitutiva di quelle novecentesche crollate nell’89 e non è più solo «religione civile» imposta ai sudditi dall’establishment. Ma ormai è religione vera e propria, con i suoi dogmi, i suoi atti di fede cieca e assoluta, il credo quia absurdum (credo perché è assurdo) e anche una dose massiccia di sacrifici umani. Cominciare almeno a porre il problema, discuterne apertamente e laicamente a sinistra, sarà sicuramente un fatto positivo (oltre che doveroso).
Senza ripensare tutto sarà impossibile ripartire. Non mi faccio
grandi illusioni, la Repubblica continuerà a delirare su populismo e
«sovranismo», la sinistra continuerà a trattare da fascisti e razzisti le masse
popolari che esprimono disagio per le loro condizioni di vita, continuerà a
discettare di «ossessioni securitarie» e a immaginare che il
“multiculturalismo” sia un pranzo di gala privo di lacerazioni e drammi. Si
lascerà alla destra la difesa dell’interesse nazionale, e perfino l’esercizio
della sovranità costituzionale per la quale avevamo votato il 4 dicembre del
2016.
«Non ci interessa la sovranità nazionale, siamo
internazionalisti» dichiara la dirigente di una lista elettorale che ha preso
l’1,1%. Ci si chiede da quando questa posizione, che ignora perfino il
significato delle parole, e che sarebbe impossibile spiegare ai cubani, ai
vietnamiti, ma anche ai curdi e a qualunque altro popolo, sia diventata luogo
comune nella sinistra italiana.
Anziché evocare il Popolo bisognerebbe cominciare almeno a
parlarci. Quando ci si deciderà a farlo non sarà mai troppo tardi.
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