La scelta dell' amministrazione Trump di tornare alle sanzioni all' Iran e di esentare da queste 8 paesi, comunicando questa seconda mossa in modo quasi improvviso dopo che erano molto salite le quotazioni del greggio,
ha provocato una rapida discesa del prezzo del petrolio, e questa settimana il calo è stato del 9%, sostanzialmente identico per il Brent del Mare del Nord e per il WTI statunitense.
L' oscillazione di prezzo ha portato lo spostamento di enormi risorse finanziarie in tutto il mondo. Qualcuno avrà guadagnato molto, altri avranno perso, a seconda dei tempi erano stati effettuati i loro investimenti sul petrolio o le loro dismissioni.
Tutto questo sta succedendo solo per la mossa del governo di un paese che rappresenta circa il 5% della popolazione mondiale.
Non azzardo davvero ipotesi di nessun tipo, segnalo però la vicenda, che comunque dimostra che negli ultimi anni si è rotto l' equilibrio nel mercato del greggio che sta oscillando moltissimo.
Di seguito un articolo di Sissi Bellomo sul Sole24ore.
M.P.
Il Black Friday del petrolio:
Brent sotto 60 dollari
·
24 novembre
2018
È stato un Black Friday davvero. Per il
petrolio la settimana si è chiusa con un’altra seduta nera, anzi nerissima. E
come nei negozi si sono visti prezzi da super-saldi: il Brent è scivolato addirittura sotto 60
dollari al barile, mentre l’americano Wti vede ormai vacillare la soglia dei 50
dollari.
Entrambi sono ai minimi da ottobre
dell’anno scorso, dopo aver di nuovo subito un tonfo di circa il 7%, come era
già successo martedì scorso e anche il martedì precedente. Sedute di volatilità
estrema, che sembrano fatte con lo stampino e che fanno sospettare forti
riposizionamenti da parte di soggetti finanziari: forse non
più fondi o Cta (Commodity Trading Advisors), che hanno ormai finito di
liquidare le posizioni rialziste, ma piuttosto
banche, che hanno fatto da controparte alle operazioni di hedging di compagnie
petrolifere e governi
Non sono molti i Paesi produttori di
petrolio che si proteggono dal rischio di ribassi attraverso contratti
derivati, ma il Messico e il Brasile l’hanno certamente fatto, entrambe
utilizzando opzioni put (che danno diritto a vendere al raggiungimento di un
certo livello di prezzo). E in gioco non ci sono solo
quattro spiccioli.
Il programma messicano, soprannominato
Hacienda Hedge, di solito copre 200-300 milioni di barili di greggio l’anno.
Nel 2018 il “paracadute” è costato 1,3 miliardi di dollari, aveva dichiarato il
ministero delle Finanze, e in media proteggeva da una caduta dei prezzi sotto
46 dollari al barile. Più o meno ci siamo.
Le forze ribassiste sui mercati petroliferi
– ormai in discesa per sette settimane consecutive – sono comunque tante.
Indubbiamente il quadro dei fondamentali giustifica l’inversione di tendenza
(se non la forza del crollo), dopo la corsa che aveva portato
le quotazioni del barile al record
da 4 anni a ottobre, oltre 86 $ nel caso del Brent.
Le prospettive di crescita dell’economia
mondiale sono peggiorate, anche sull’onda delle tensioni commerciali Usa-Cina.
Ma soprattutto l’allarme per le sanzioni Usa contro l’Iran è scomparso dopo la
decisione a sorpresa di concedere esoneri a otto Paesi importatori, sia pure
solo parziali e temporanei. Nel frattempo l’offerta è cresciuta moltissimo,
soprattutto negli Usa, in Russia e in Arabia Saudita: in tutti e tre i Paesi la produzione è ai massimi da decenni.
Riad in particolare, cedendo alle
pressioni di Trump, non solo ha aperto i rubinetti dalla primavera scorsa, ma a
giugno era anche riuscita a convincere tutta l’Opec Plus ad avallare una
riduzione dei tagli. Ora si rende conto dell’errore, ma fare marcia indietro al
prossimo vertice del 6 dicembre rischia di non essere facile.
·
23 novembre 2018
Il ministro saudita Khalid Al Falih ieri
ha confermato le indiscrezioni secondo cui Riad sta producendo a livelli senza
precedenti: «Eravamo intorno a 10,7 milioni di barili al giorno a ottobre e ora
siamo al di sopra», ha detto Al Falih, assicurando però di essere pronto a
tirare il freno. «Non inonderemo il mercato, non manderemo petrolio a clienti
che non ne hanno bisogno. Abbiamo già iniziato a diminuire a dicembre e mi
aspetto che continueremo nell’anno nuovo».
Nel frattempo le compagnie petrolifere
cercano di tenere duro. «Tra i 50 e i 55 dollari al barile abbiano neutralità
di cassa con tutti i costi inclusi», ha rassicurato Claudio Descalzi, ceo
dell’Eni. Dall’Opec «vedremo se ci sarà un taglio e che tipo di taglio». Se
questo non sarà sufficiente, secondo Descalzi bisognerà attendere sei mesi,
ossia la scadenza degli esoneri alle sanzioni, per capire cosa succederà
all’export iraniano. «In questo periodo penso che il petrolio oscillerà tra 60 e
70 dollari al barile».
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