Oggi
ci ha lasciato il nostro intimo Amico per la Nonviolenza
Alberto
L'Abate
(Negli
ultimi anni, nonostante i pesanti impedimenti di salute, ha
voluto donare tutte le energie che gli rimanevano alla Nonviolenza,
fino all'ultimo respiro!)
Continua
il suo cammino in "Pace"
Gli
siamo tutti riconoscenti e vicini nella "Compresenza".
Vogliamo
ricordarlo con queste parole del suo e nostro Maestro di nonviolenza
Aldo
Capitini:
"Noi,
al cospetto del morto, ci preoccupiamo di ciò che c'è di comune tra
noi e lui e tutti infinitamente,
e
scopriamo che ciò che più conta, la prassi per il valore, è
comune, ci unisce, ci fa compresenti".
Pubblichiamo un intervento di Paolo Cacciari su l’incontro di presentazione del libro “L’Arte della pace” di Alberto L’Abate tenutosi a Mestre il 4 maggio scorso
L’incontro con Alberto L’Abate all’Ecoistituto
di Mestre e la lettura del suo ultimo libro (Alberto L’Abate,
L’arte della pace, quaderni di Centro Gandhi Edizioni, Pisa 2014),
che riesce così bene a presentare una concezione della nonviolenza
integrale, nel senso di completa, mi ha fatto venire in mente una
metafora forse banale, ma vera.
Per coltivare “l’arte della pace” servono più
elementi: dei buoni semi, vale a dire degli “operatori per la pace”
con una profonda ispirazione etica, capaci di “resistere all’odio”;
dei vivai e delle serre dove possano crescere, vale a dire delle
associazioni, delle istituzioni “professionalizzanti” dove
imparare ad apprendere le necessarie pratiche di osservazione e di
intervento nei conflitti (le associazioni come i War
Resisters o il Movimento Internazionale
della Riconciliazione e i corsi del Servizio civile
nazionale di nuova istituzione); dei terreni minimamente accoglienti
dove le piantine possano sperare di attecchire e “colonizzare”
l’ambiente, vale a dire dei contesti sociali, delle comunità
locali disposte ad intraprendere un rivolgimento culturale tale da
reimpostare le relazioni sociali liberandole dal paradigma della
violenza.
Per sconfiggere la guerra bisogna conoscerla. Ci dice L’Abate. Per
immaginare un futuro umano capace di liberarsi dalle pulsioni
mefitiche della morte, dell’annientamento del nemico, del
respingimento violento dello straniero, della sopraffazione del
concorrente… serve far emergere un’idea diversa di società. Chi
sono, dove si nascondono i guerrafondai, i cultori dell’odio, gli
imprenditori della sicurezza armata? Il lavoro di L’Abate ci aiuta
a scovarli.
Innanzitutto sono i costruttori di armi, il “complesso militare”,
la “macchina bellica mondiale”, le agenzie di contractor,
l’industria della sicurezza (che negli Stati Uniti è il primo
settore economico per produzione di Pil) e tutti coloro che ricavano
un “utile economico diretto” dal maggior numero di conflitti
armati che si generano nel mondo. E questi sono facili da
individuare.
Poi ci sono le cancellerie degli stati nazionali, più o meno
aggregate per aree di influenza geopolitica, che lavorano
incessantemente e con ogni mezzo per prevalere sui concorrenti,
controllare l’accesso alle risorse naturali, garantirsi mercati di
sbocco per le loro merci, stabilire ragioni di scambio economiche
favorevoli ai loro commerci (finanza, moneta) e così via tentando di
colonizzare ed egemonizzare anche culturalmente (vedi industria
culturale e pubblicità, che ormai sono la stessa cosa) interi popoli
e continenti.
Establishment politico ed elite economiche (l’1% della popolazione che sottomette l’altro 99, le 270 compagnie transnazionali che controllano i 2/3 dei commerci internazionali) formano oramai un tutt’uno. La politica è stata interamente catturata dal neoliberismo imperante. La ragione economica (la crescita dei profitti, della produttività, del valore monetario delle merci sul mercato) è totalizzante. Un modello economico e sociale che mutua quello della guerra di conquista: delle materie prime, dei beni comuni da privatizzare, della forza lavoro da schiavizzare, dei consumatori da accalappiare. Tutto ciò forma quel contesto di “violenza strutturale”, cioè diffusa, pervasiva che riesce a plasmare anche i comportamenti individuali delle persone singole rendendole aggressive.
Establishment politico ed elite economiche (l’1% della popolazione che sottomette l’altro 99, le 270 compagnie transnazionali che controllano i 2/3 dei commerci internazionali) formano oramai un tutt’uno. La politica è stata interamente catturata dal neoliberismo imperante. La ragione economica (la crescita dei profitti, della produttività, del valore monetario delle merci sul mercato) è totalizzante. Un modello economico e sociale che mutua quello della guerra di conquista: delle materie prime, dei beni comuni da privatizzare, della forza lavoro da schiavizzare, dei consumatori da accalappiare. Tutto ciò forma quel contesto di “violenza strutturale”, cioè diffusa, pervasiva che riesce a plasmare anche i comportamenti individuali delle persone singole rendendole aggressive.
Tutta questa macchina infernale, infatti, non reggerebbe un minuto se
non fosse supportata da una ideologia diffusa (più a destra che a
sinistra – dice L’Abate) che legittima quell’egoismo (l’
“egotismo”, direbbe Erich Fromm, facendo
una crasi tra egoismo ed egocentrismo) che gli studi di Alberto e,
soprattutto, di suo fratello Luciano (il fondatore della “teoria
relazionale”), hanno dimostrato essere penetrati e consustanziali
più negli uomini che nelle donne. Tutto ciò, in una situazione di
prolungata crisi economica, amplifica i conflitti tra aree
geografiche (vedi la “terza guerra mondiale a pezzi” definita
così dal papa Bergoglio), allarga le
disuguaglianze, provoca immani esodi e migrazioni, scatena “guerre
tra i poveri”.
La decadenza del modello economico e sociale attuale occidentale
rende urgente un’alternativa, ma aumenta anche i pericoli. Non
sfugge a nessuno, infatti, che gli “umori” delle popolazioni
impaurite e prive di alternative siano più influenzati dalla
retorica bellica e facilmente spinti verso un abisso di odio. Salvini
e Casapound, i neofascisti austriaci e i neonazisti nell’est
europeo sono “eventi sentinella” (direbbe L’Abate) che ci
devono preoccupare non poco............
…....
Penso allora che i primi Corpi civili di pace, le prime Brigate per
la pace, i primi Osservatori e le prime Ambasciate della pace, i
primi strumenti e le prime forme di interposizione non violenta che
dovremmo cominciare a costruire siano dentro quest’Europa, nelle
nostre comunità, dentro casa nostra.
L’Abate nel suo libro ripercorre il pensiero dei maestri della
nonviolenza e le loro esperienze concrete. I conflitti non sono
(quasi) mai tra equipotenti. In un modo fondato sulla asimmetria dei
poteri, non c’è neutralità possibile. La nonviolenza è schierata
dalla parte degli oppressi, dei deboli, degli inferiorizzati, di
coloro che stanno in basso. La nonviolenza non è collaborazionismo
con l’oppressore. Ma, al contrario, suo disconoscimento,
disubbidienza alle sue leggi ingiuste.
Paolo Cacciari – Mestre, 4 maggio 2016
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