“Anche in questo caso, dunque, la Cassazione non ebbe
modo di esprimersi né sulla legittimità né sulla illegittimità della guerra, ma
si limitò a intervenire sui profili procedurali della vicenda svoltasi nel
grado di merito.”
Segnalo anche che secondo molti la guerra in Kosovo
del 1.999 fu illegale anche relativamente al diritto internazionale, non solo
quindi per la legislazione italiana.
M.P.
Francesco Pallante
Il manifesto , 22 giugno 2017
Uno dei passaggi più applauditi del discorso con cui
Tomaso Montanari ha aperto la manifestazione di domenica scorsa al Teatro
Brancaccio è stato quello in cui – ricordando come molti dei «mali» di oggi
originino da politiche avviate nella prima legislatura dell’Ulivo – ha
denunciato l’«illegittimità» della guerra contro la Serbia. Intervistato
martedì da Daniela Preziosi su questo giornale, Massimo D’Alema ha così
replicato: «Vorrei spiegare a Montanari che di questo fui accusato da un gruppo
di giuristi. Poi la Cassazione emise una sentenza che archiviò tutto
riconoscendo la piena legittimità del mio agire».
In effetti, la Cassazione ha avuto modo di occuparsi, sia pure in modo peculiare, della vicenda in due occasioni.
All’origine della prima c’è uno degli episodi più
controversi del conflitto: il bombardamento della sede della televisione Rts
(Radio televisione serba), compiuto nella notte del 23 aprile 1999 da aerei
della Nato, dopo che la stessa Rts aveva rifiutato di cessare le trasmissioni
di «propaganda» (questa l’accusa della Nato) a sostegno del regime di
Milosevic. Dopo la conclusione delle ostilità, i parenti di alcune delle sedici
vittime si rivolsero al Tribunale di Roma, per vedere riconosciuta l’illiceità dell’attacco
alla Rts e ottenere, di conseguenza, il risarcimento dei danni patiti ai sensi
dell’articolo 2043 del codice civile. In opposizione, l’Avvocatura dello Stato
negò che la magistratura italiana avesse competenza in materia, proponendo
regolamento preventivo di giurisdizione e così chiamando in causa la Corte di
Cassazione. Ne scaturì l’ordinanza n. 8157 del 5 giugno 2002 delle Sezioni
Unite civili, nella quale venne dichiarato, così come richiesto dall’Avvocatura
dello Stato, il «difetto di giurisdizione» della magistratura italiana. Più
precisamente l’ordinanza stabilì che, rispetto agli atti che costituiscono
manifestazione di una funzione politica, tra cui rientrano gli atti di guerra,
«nessun giudice ha potere di sindacato circa il modo in cui la funzione è stata
esercitata». In definitiva: la Cassazione non svolse alcun esame di merito
della controversia, non addivenendo al riconoscimento né della legittimità né
della illegittimità della guerra o di un suo episodio. Molto più semplicemente,
si fermò prima: all’affermazione dell’incompetenza della magistratura a
pronunciarsi.
La seconda vicenda nacque invece dalla denuncia che
alcuni cittadini, su iniziativa di parlamentari di Rifondazione comunista,
presentarono nei confronti di D’Alema per i delitti di attentato alla
Costituzione, usurpazione di potere politico o militare e strage, delitti che
sarebbero stati commessi in conseguenza della partecipazione dell’Italia alla
guerra. La denuncia venne assegnata per competenza al Collegio per i reati ministeriali
presso il Tribunale di Roma e si concluse, il 26 ottobre 1999, con
l’archiviazione del procedimento: sostanzialmente, perché i giudici non
ravvisarono anomalie rispetto a quanto sancito dall’articolo 78 della
Costituzione sulla deliberazione dello stato di guerra. I ricorrenti si
rivolsero allora alla Cassazione chiedendo l’annullamento del decreto di
archiviazione in virtù di un vizio procedurale: non essere stati informati
della richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero e, per l’effetto,
non aver potuto adeguatamente contestare in contraddittorio tale richiesta. Con
la sentenza n. 36274 dell’8 ottobre 2001 la VI sezione penale della Suprema
Corte statuì l’infondatezza del ricorso, negando che i ricorrenti potessero
considerarsi «persone offese dal reato», essendo invece al più semplici
«danneggiati dal reato», e dunque riconoscendo la correttezza della decisione
del Tribunale di Roma di non dare loro avviso della richiesta di archiviazione.
Anche in questo caso, dunque, la Cassazione non ebbe modo di esprimersi né
sulla legittimità né sulla illegittimità della guerra, ma si limitò a
intervenire sui profili procedurali della vicenda svoltasi nel grado di merito.
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