giovedì 31 agosto 2017

Licenziata Dilyana Gaytandzhieva, giornalista bulgara che scrisse di forniture USA a Al Qaeda e Isis.


Cari compagni,

vi scrivo, come al solito, con preghiera di diffusione. Dilyana Gaytandzhieva, la giornalista bulgara che sollevò il vespaio sulle forniture di armi USA ad Al Qaeda e Isis, è stata appena licenziata dal giornale presso cui lavorava, Trud, per paura di ulteriori ritorsioni dopo che la stessa è stata "interrogata" dai servizi segreti di questo Paese NATO, libero, democratico, europeo.

https://southfront.org/journalist-interrogated-fired-story-linking-cia-syria-weapons-flights/

Ovviamente, il suo pezzo da noi ha avuto pochissima risonanza, coinvolgendo la crema dei neoatlantici, facendo nomi e cognomi di chi caricava cosa su quei voli Silkway (compagnia statale azera) resi "diplomatici" per azzerare i controlli IATA e doganali, eliminando così qualsiasi restrizione dovuta a convenzioni internazionali ed embarghi.

In questo caso mi chiedo davvero se sia il caso, per chi possa ancora farlo, non solo di diffondere la notizia e denunciare l'accaduto, oltre che a dare doverosa visibilità a questa inchiesta, sia pur con mesi di ritardo, ma anche di dibattere la questione e portarla a casa nostra, circa il silenzio-assenso del nostro governo a (eventuali?) traffici analoghi di armi nel nostro Paese e, più in generale, a rinnovare con ulteriori, freschi, argomenti, la campagna contro la permanenza dell'Italia nel cosiddetto "patto atlantico".

Con saluti comunisti.  
Paolo Selmi

Articolo integrale e lungo al link

https://southfront.org/journalist-interrogated-fired-story-linking-cia-syria-weapons-flights/

Originally appeared at ZeroHedge
A months-long investigation which tracked and exposed a massive covert weapons shipment network to terror groups in Syria via diplomatic flights originating in the Caucuses and Eastern Europe under the watch of the CIA and other intelligence agencies has resulted in the interrogation and firing of the Bulgarian journalist who first broke the story. This comes as the original report is finally breaking into mainstream international coverage.
Investigative reporter Dilyana Gaytandzhieva authored a bombshell report for Trud Newspaper, based in Sofia, Bulgaria, which found that an Azerbaijan state airline company was regularly transporting tons of weaponry to Saudi Arabia, United Arab Emirates (UAE), and Turkey under diplomatic cover as part of the CIA covert program to supply anti-Assad fighters in Syria. Those weapons, Gaytandzhieva found, ended up in the hands of ISIS and al-Qaeda terrorists in Iraq and Syria.
While it’s long been understood that the US-Gulf-NATO coalition arming rebels inside Syria facilitated the rapid rise of the Islamic State as the group had steady access to a “jihadi Wal-Mart” of weapons (in the words of one former spy and British diplomat), the Trud Newspaper report is the first to provide exhaustive documentation detailing the precise logistical chain of the weapons as they flowed from their country of origin to the battlefield in Syria and Iraq. Gaytandzhieva even traveled to Aleppo where she filmed and examined labeled weapons shipping containers held in underground jihadist storehouses

domenica 27 agosto 2017

Barcellona: "Felipe, quien quiere la paz no trafica con armas"

Nell'enorme striscione azzurro, il colore dell' indipendenza catalana, "Felip, i govern espanyol complices dei comerç d' armes"

Fischi per il re Filippo VI e per il premier Rajoy. La contestazione è arrivata soprattutto dai moltissimi sostenitori dell' indipendenza della Catalogna. Ma molte sono state anche le contestazioni per i rapporti della Spagna e della famiglia reale con l' Arabia saudita. "Vogliamo la pace, non vendere armi" era il tema ricorrente di molti cartelli. 

Non so in Italia quanto arriverà di questa parte della contestazione. Segnalo l' episodio in attesa di conoscere meglio quanto sia diffusa la protesta in Spagna contro le guerre del Medio Oriente e la vendita di armi ai sauditi e di vedere se ci sarà un eco di questo nel nostro paese. 
Intanto su Rainew24 i commenti a caldo ne hanno parlato diffusamente. Sul Manifesto troviamo:
" Chi vuole la pace non traffica con le armi" dicevano molti cartelli che ricordavano gli stretti vincoli della casa reale spagnola con la monarchia saudita. "Vogliamo la pace, non vendere armi" "la migliore risposta è la pace", dicevano altri  fra i moltissimi." "Alcune centinaia (per El Pais 3.000 n.d.r.) di manifestanti critici  in un raduno alternativo ...secondo le Ong organizzatrici il governo spagnolo e il re promuovono la guerra, la non accoglienza dei rifugiati, la mancanza di diritti umani e la chiusura delle frontiere"

Di seguito stralci dalla cronaca del corteo pubblicata sul sito di El Pais:

"Los lemas de los carteles más vistos durante el recorrido, repartidos por entidades independentistas y de colectivos pacifistas, ofrecían mensajes como “Felipe, quien quiere la paz no trafica con armas”, “Mariano, queremos paz, no vender armas” y “Vuestras políticas, nuestros muertos”. Gran parte de los sectores críticos con la presencia del jefe de Estado se reunieron en una concentración paralela que la CUP y otros colectivos de la izquierda alternativa convocaron dos horas antes de dar inicio la manifestación oficial. Las cerca de 3.000 personas que se reunieron en esta marcha alternativa se fusionaron luego con la otra manifestación….
…... Ya la llegada de los representantes del Ejecutivo español fue recibida con sonoras pitadas y gritos a favor de la independencia. Los silbidos contra el Rey y Rajoy se repetían cada vez que las pantallas gigantes a lo largo del paseo de Gracia mostraban su imagen.
 Héctor Fernández, un barcelonés que asistió con su hija y su mujer a la protesta, se desgañitaba en gritos contra el Rey. Fernández justificó su rechazo porque “el Rey no puede venir a una manifestación pacifista y vender armas a Arabia Saudí”.

El hombre añadió, repitiendo informaciones aparecidas en medios digitales independentistas, que “el Gobierno español ocultó información sobre los terroristas a los Mossos d’Esquadra y no permite que estos se refuercen”. Cerca de él, otro padre de familia apuntaba que es “puñetera hipocresía que sea esta la primera manifestación a la que acude el Rey”.

venerdì 25 agosto 2017

Per le dimissioni di Minniti e della prefetto Basilone: "Idranti usati per impedire lo scoppio delle bombole di butano"


I deputati di Possibile, in Parlamento in un gruppo con Sinistra Italiana, chiedono le dimissioni del ministro degli Interni  Minniti dopo lo sgombero di Piazza Indipendenza del 24 agosto. Sarebbe opportuno chiedere le dimissioni anche della prefetto Paola Basilone, responsabile diretta dell' azione di giovedì, che tra l' altro ha rilasciato al Corriere della Sera frasi irridenti verso chi ha criticato le modalità dello sgombero della piazza. Affermare che gli idranti sono stati usati per evitare lo scoppio delle bombole del gas è una giustificazione assolutamente infondata, è una presa di giro per tutta l' opinione pubblica. Dichiararlo in una intervista al Corriere della Sera è, volutamente, cosa non dimostrabile, e oggettivamente, la rivendicazione di poter operare sicura dell' assenza di ogni critica dall' informazione intimorita o poco perspicace.

M.P.

da  www.corriere.it

Intervista alla Prefetto Paola Basilone

La polizia è stata accusata di aver utilizzato l’idrante contro donne e bambini.
«Non mi sembra proprio. Quel mezzo è stato usato dalla Questura per evitare che le bombole di butano lanciate dal decimo piano dagli occupanti si incendiassero e scoppiassero. Lo stesso Dipartimento di pubblica sicurezza era informato dell’utilizzo dell’idrante».


Da www.possibile.com
“L’operazione poliziesca, non solo ‘di polizia’, di Piazza Indipendenza a Roma, con gli idranti, i manganelli e il razzismo istituzionale è l’ultimo capitolo di un libro che non avremmo mai pensato di leggere nel 2017. Ed è anche l’ultimo fattaccio che colma la misura: chiediamo per questo che il Marco Minniti si dimetta dell’incarico di Ministro dell’Interno”. È quanto scrivono, in un documento congiunto, i deputati di Possibile, Giuseppe CivatiAndrea MaestriBeatrice Brignone e Luca Pastorino.
“Neosalvinismo e neofascismo hanno permeato le politiche di questo governo e la linea del ministero dell’Interno. Ogni atto compiuto da Minniti – proseguono i parlamentari di Possibile – è materia per un preciso capo d’accusa politico. Con i suoi decreti su Immigrazione e Sicurezza Urbana ha introdotto elementi discriminatori nella legislazione in materia di asilo, violando gli articoli. 2 (diritti inviolabili), 3 (eguaglianza e non discriminazione), 10 (diritto di asilo) della Costituzione, perché, tra l’altro ha eliminato un grado di giudizio di merito, quello di appello, per i richiedenti asilo diniegati dalle Commissioni per il Riconoscimento della Protezione Internazionale”.
I deputati di Possibile elencano, infine, le responsabilità addebitate a Minniti: “Introduzione dell’apartheid giudiziaria per i richiedenti asilo, introduzione del reato di povertà, un’offensiva politica, legislativa, mediatica e persino giudiziaria contro le Ong che salvano vite in mare rispettando il diritto del mare, che ha qualche grado in più di cogenza di un ‘Codex Minniti’ qualsiasi. Ma l’elenco di scelte inaccettabili continua con la missione libica, che addestra e aiuta la guardia costiera in mare e le milizie – mafiosi compresi – a terra a fare ciò che la Convenzione di Ginevra del 1951 vieta, com il ritorno dell’ambasciatore italiano nell’Egitto che ha torturato e ucciso Giulio Regeni in cambio della stabilizzazione libica (Casini dixit), gli accordi con Stati che non rispettano gli standard internazionali sui diritti umani per contenere i flussi migratori e gli sgomberi di immobili e spazi pubblici occupati da migranti con gli idranti e manganelli, come in una dittatura sudamericana qualsiasi sono altrettante pagine nere”.

giovedì 24 agosto 2017

Terrorismo, religioni, guerre. Sul Manifesto accenno di un dibattito che sarebbe utile approfondire seriamente.



Luciana Castellina dopo l’ attentato a Barcellona ha scritto sul Manifesto un commento  “Non aver paura di farsi qualche domanda “ dove ricordava come le guerre occidentali, soprattutto l’ aggressione di Bush all’ Iraq, siano state determinanti per l’ esplodere del terrorismo attuale.  
Un lettore è intervenuto sostenendo invece quanto siano proprio le religioni a rischiare di spingere alla violenza e Castellina gli ha risposto ribadendo la sua tesi pur concordando sul giudizio dell' autore della lettera.

Oggi il Manifesto ha pubblicato un breve contributo di Giuliana Sgrena ”Religione e terrorismo, qualche utile insegnamento dalle lotte algerine”.
t.
Per dimostrare che nella molte guerre, attuali e no, nel Medio Oriente la religione ha una posizione centrale, basta ricordare cosa rappresenta la città di Gerusalemme per molti credenti di fedi diverse. Ma l' argomento è enorme e non facile ed è  evidente che un eventuale dibattito rischia subito di essere dispersivo e poco utile.

Il mio forte interesse al tema è quello di un attivista contro la guerra che prova come può ad attirare più attenzione alle guerre della regione mediorientale e sarebbe contento che dibattessero sul rapporto guerre, religioni e terrorismo, ambienti diversi che si interessano da anni alla questione e che sono completamente non comunicanti tra loro

Per esempio il pacifismo laico e femminista di Sgrena e Castellina e i cristiani europei che dal 2011 sostengono la resistenza dei cristiani siriani nella tragica guerra che ha stravolto questo paese. Probabilmente comunicano reciprocamente molto poco anche ambienti che potrebbero sembrare vicini. Per esempio dall’ esterno sembra che sulla guerra siriana non abbiano nessuna linea di azione comune  la Comunità di Sant’ Egidio, i francescani di Aleppo, monsignor Khazen e padre Ibrahim, e l’ ambiente più tradizionale del pacifismo cattolico, come il Cipax di Roma e Alex Zanotelli.
Segnalo quindi l’ accenno di dibattito sperando in un suo utile approfondimento. 
Difficilmente questo avverrà ma farò il poco che posso fare per favorirlo.

Non aver paura di porsi qualche domanda
di Luciana Castellina
Brava Ada Colau a convocare subito una manifestazione a Piazza de Catalunya, nemmeno 24 ore dopo l’orribile massacro. Bravi i barcellonesi che a centinaia di migliaia hanno risposto all’appello gridando «no tinc por». E bravi i cittadini globali che si sono uniti a loro, piangendo per la ferita inferta alla città simbolo dell’accoglienza e dell’inclusione, ma anche per le proprie vittime: impressionante la cifra di 35 nazionalità. Hanno espresso, oltre alla pena per i corpi maciullati, la protesta per l’insulto che è stato fatto a quello che viene chiamato il «nostro libero modello di vita».
E però c’è qualcosa che non mi convince nella ormai ripetuta proclamazione dei nostri valori, non sono certa che la nostra idea di libertà sia davvero così acriticamente proponibile ad un mondo in cui la maggioranza degli esseri umani ne sono stati privati.
So bene che a proporre questo discorso si entra su un terreno scivoloso, quasi si volesse negare l’importanza dei diritti e delle garanzie individuali che la Rivoluzione francese ci ha conquistato, così come il sistema democratico-borghese che accorpa oramai quasi tutto l’occidente. Non vorrei scambiarlo con nessun altro sistema attualmente vigente, quale che sia la sua denominazione. Per questo, del resto, penso si debba difendere un’idea di Europa che lo salvaguardi dal vortice terrificante che attraversa il mondo.
E però non posso non chiedermi se questo modello, questa idea di libertà, possono davvero risultare convincenti per chi ne vive la contraddizione, per chi abita l’altra faccia del modello: una moltitudine di esseri umani, quelli che disperatamente attraversano il Mediterraneo e vengono respinti; chi vive nelle desolate periferie urbane e patisce una discriminazione di fatto (no, non «legale», per carità!); chi abita i villaggi del Sahel o mediorientali.
La nostra orgogliosa riaffermazione «non abbiamo paura» ha certamente un senso molto positivo: vuol dire non sopprimeremo la libertà, non ricorreremo ad antidemocratiche misure di polizia, non ridurremmo per garantirci sicurezza le nostre libertà. È un messaggio importante ed è bello che a Barcellona sia stato riaffermato a Piazza de Catalunya. Ma non basta, e, anzi, ripeterlo, se non ci si aggiunge qualche cos’altro, rischia di essere controproducente.
Siamo tutti consapevoli che la disfatta che l’Isis sta subendo sul territorio non rappresenta affatto la fine della minaccia terrorista. Che, anzi, lo smantellamento delle sue roccaforti potrebbe rendere anche più intenso il ricorso alle azioni di gruppo, o persino individuali, che colpiscono senza possibilità di prevedere come e dove. Sappiamo oramai anche che è ben lungi dall’essere esaurito il reclutamento di giovani jihadisti pronti a morire. Che provengono dall’Oriente, dal Sud, ma sempre più spesso anche dalla strada accanto. Contro di loro non c’è polizia che tenga, una sicurezza militare è impossibile.
La sola ancorché ardua via da imboccare sta innanzitutto nell’interrogarsi su cosa muove l’odio di questi ragazzi. Non l’abbiamo fatto abbastanza.
Non ci riproponiamo la domanda con altrettanta forza quando ribadiamo la superiorità della nostra idea di libertà. E così questo nostro atto di coraggiosa resistenza rischia di suonare inintellegibile a chi di quella libertà gode così poco. Perché chiama in causa non solo il nostro orrendo passato coloniale, le responsabilità per le rapine neocoloniali del dopoguerra, il razzismo di fatto, le sanguinose, offensive guerre che continuiamo a produrre con la scusa di portar la democrazia.
Queste sono responsabilità di governi che anche noi combattiamo, anche se dovremmo farlo con maggiore vigore. (Ha ragione Ben Jelloun che si è chiesto perché non abbiamo portato dinanzi alla Corte per i delitti contro l’umanità il presidente Bush, il maggiore artefice dell’esplosione jihadista).
E però c’è qualcosa che tocca a noi, proprio a noi di sinistra, fare: ripensare il nostro stesso, superiore modello di democrazia, ripensarlo con gli occhi dell’altro, dell’escluso, sforzarsi di capire la rabbia che induce al martirio.
Non per giustificarlo, per carità, e neppure per chiudere gli occhi sulle occultate manovre di potere che guidano e finanziano il terrorismo. Ma – ripeto – per capire e impegnarsi a ripensare il nostro stesso modello di civiltà, all’ individualismo che la caratterizza, tant’è che la democrazia la decliniamo sempre più in termini di diritti e garanzie personali, non come rivendicazione di un potere che deve riuscire a liberare l’intera umanità.
Penso che questo bisognerebbe gridarlo nelle piazze, aggiungendo un impegno politico al «non abbiamo paura».
L’Europa, che gli attentati vogliono colpire, è forse il meglio di questo orrendo mondo globale, ma non è innocente, non può essere riproposta semplicisticamente come punto d’approdo del processo di civilizzazione.
Religione e terrorismo, qualche utile insegnamento dalle lotte algerine
Di Giuliana Sgrena
 Ho letto – come sempre – con grande interesse l’articolo di Luciana Castellina di domenica. Ma mi intriga anche la lettera pubblicata sul manifesto del 23 agosto di Stefano Rossi e la risposta di Luciana.
Penso che da questo dibattito non si possa escludere la religione, perché il ricorso alla religione (tutte le religioni) è dovuto anche – o forse soprattutto – al venir meno di valori e di un progetto di società laico credibile.
Sono finite le ideologie, i valori della Rivoluzione francese (liberté, egalité, fraternité) non si possono ridurre alla libertà, certo importantissima. Perché se si dimentica l’uguaglianza (anche quella tra uomo e donna) e la fraternità, la libertà si coniuga con l’individualismo.
Oggi la religione propone un modello forte e totalizzante, soprattutto il modello dell’islam globale che dà un senso di appartenenza a una comunità che va oltre le frontiere e con l’Isis mette in discussione anche i confini imposti dal colonialismo.
Questa penso sia la forza dell’islam radicale. Che recluta non solo e non tanto tra i diseredati e gli emarginati ma anche tra giovani istruiti, anche europei e tra coloro che non erano musulmani e si convertono, uomini e donne.
Certo le guerre hanno contribuito a incentivare e mobilitare, ma l’idea del martirio è proprio legata alla religione, alla trascendenza.
Non posso però dimenticare l’esperienza algerina degli anni ’90, dove i fautori di uno stato teocratico si sono scontrati con la resistenza di una società che aveva fatto propri i valori della rivoluzione francese, e non certo per imposizione, anzi. 130 anni di occupazione hanno lasciato un astio implacabile degli algerini (tutti) contro i francesi ma anche una contaminazione nella lingua e nella cultura.
In Algeria si sono scontrati violentemente – circa 200.000 morti – due modelli di società uno teocratico e uno laico. Nessuno ha vinto. La violenza dei gruppi armati si è convertita al progetto globale. Questo è avvenuto in Algeria – ignorata dall’occidente – prima della guerra in Iraq, ma dopo la fine dell’occupazione sovietica dell’Afghanistan, dove l’occidente aveva finanziato i gruppi che combattevano in nome della religione la «guerra santa» contro il comunismo. E pur di sconfiggere il comunismo… Ma poi i jihadisti sono tornati a casa e hanno continuato la loro «guerra santa» contro gli infedeli.
E a proposito di martirio non posso dimenticare un’intervista fatta a Islamabad a dirigenti di Lashkar-e Taiba, la sera prima che il gruppo che combatte in Kashmir finisse sulla lista Usa dei gruppi terroristici, quando uno di loro mi disse: «Stavamo combattendo nel Kargil su un ghiacciaio a 4.000 metri, le nostre truppe avevano il morale a terra, allora abbiamo deciso di introdurre gli attacchi suicidi».
E io: «Ma come, i kamikaze per sollevare il morale?!». «Ecco perché non vincerete mai – mi rispose – per noi la vita comincia quando per voi finisce».

Europa sotto attacco

 



mercoledì 23 agosto 2017

Elezioni Sicilia - Sinistra Italiana e Possibile in lista alternativa al Pd


Sono molto lieto della scelta di Sinistra Italiana che, come dichiarato dal collega Palazzotto, non considera più praticabile un’alleanza col Pd. In Sicilia come a livello nazionale, c’è bisogno di una forte discontinuità dalle politiche portate avanti in questi anni, e ciò è possibile solo mettendo in campo un progetto di governo ambizioso e sostenuto unitariamente da tutte le forze di sinistra”. È quanto dichiara il deputato e segretario di Possibile, Giuseppe Civati, commentando le dichiarazioni di Erasmo Palazzotto, che ha annunciato l’intenzione di Sinistra Italiana di partecipare al progetto per le Regionali in Sicilia che in questo momento si riconosce nella figura di Ottavio Navarra, a cui da tempo ha aderito anche Possibile.

“Confido – aggiunge Civati – che presto anche Mdp si unirà a questo percorso, che grazie anche alla generosità di Ottavio Navarra abbiamo tenuto e teniamo aperto al contributo di chiunque abbia a cuore la Sicilia. Non possiamo perdere altro tempo in uno sterile dibattito solo sui nomi, siano essi di tutto rispetto come quello di Orlando o di Micari, o altri più indigesti come quello di Alfano”. “Il Paese – conclude il leader di Possibile – ha bisogno di una sinistra unita che lavori a un’alternativa di governo seria, a partire dalle questioni concrete. Queste regionali possono essere l’inizio di una storia diversa, da costruire assieme”.

domenica 20 agosto 2017

Sgomberato il palazzo dei rifugiati a Roma, mille persone per strada


da www.ilmanifesto.it

Questo articolo è stato aggiornato sul web alle 8,30 di domenica 20 agosto. Riporta molte notizie non ancora presenti sul Manifesto cartaceo e che non potranno essere presenti, dato che il lunedì il quotidiano non esce, fino a martedì mattina.

M.P.

Sgomberato il palazzo dei rifugiati a Roma, mille persone per strada
Movimenti. Palazzo Curtatone, occupato dal 2013, era la denuncia vivente del malfunzionamento del sistema dell'accoglienza. Ci vivevano rifugiati e richiedenti asilo eritrei a poche centinaia di metri dalla Stazione Termini. In quattro anni governo e comune non sono riusciti a trovare una soluzione all'emergenza. E' lo sgombero più grande degli ultimi anni nella Capitale, il fronte interno della guerra ai migranti e ai poveri registra una nuova offensiva, mentre continua la strategia di respingimento nei centri di detenzione in Libia

Centinaia di agenti in tenuta antisommossa hanno sgomberato ieri all’alba il palazzo dei rifugiati, un edificio di 32 mila metri quadri tra via Goito, via Curtatone e piazza Indipendenza, a poche centinaia di metri dalla stazione Termini a Roma. Più di venti automezzi che hanno isolato il quadrante tra la stazione Termini e la biblioteca nazionale di viale Castro Pretorio a partire dalle prime luci del giorno. Un minimo tentativo di resistenza è stato respinto, con la minaccia dell’intervento dei camion idranti, in via Solferino. Palazzo Curtatone era stato occupato nel 2013, dopo la strage del 3 ottobre a Lampedusa dove persero la vita 368 persone. Circa 800 migranti, almeno 250 famiglie con decine di minori, per la maggior parte eritrei richiedenti asilo e rifugiati, sono stati sostenuti dai movimenti per la casa nell’ambito dello “Tsunami tour”, una clamorosa campagna di denuncia sull’emergenza abitativa a Roma e per dare un’abitazione a migliaia di italiani e immigrati.
Un’occupazione scomoda quella di palazzo Curtatone, questo il nome comunemente attribuito all’immobile. Sul lato opposto di piazza Indipendenza sorge la sede del Consiglio Superiore della Magistratura, a trecento metri c’è il consolato tedesco, a pochi passi la redazione romana del Sole 24 Ore e il Corriere dello Sport. Finché ha resistito in questa zona centrale della città, il palazzo dei rifugiati è stato la denuncia vivente del mancato rispetto della Convenzione di Ginevra, del regolamento di Dublino e del malfunzionamento del sistema dell’accoglienza. Gran parte degli occupanti erano legalmente residenti in Italia, ma al riconoscimento del loro status non è seguita l’accoglienza in strutture che potevano garantire condizioni di vita dignitose. Mai, fino allo sgombero di ieri, è stata offerta una soluzione alternativa realistica. “Erano stati messi in mezzo alla strada, perché l’Italia non prevede per tutti l’accompagnamento fino alla reale autonomia delle persone” ha detto a maggio in una dichiarazione all’Agi Padre Zerai, il sacerdote eritreo presidente di Habeshia, l’agenzia che si occupa di assistenza ai rifugiati africani. Ora ci sono tornati, in strada.

“Non ci hanno avvisato, non siamo riusciti e prendere niente né a fare le valigie, dentro abbiamo ancora tutto, anche i nostri documenti” ha raccontato una donna etiope cinquantenne che lavora in un albergo vicino. “Hanno spaccato la porta, senza preavviso o rispetto – ha raccontato un uomo eritreo di 37 anni – Sono qui dal primo giorno, avevamo occupato solo per chiedere i nostri diritti di rifugiati, ma non ci hanno detto nulla. Ora diventeremo ‘sporco per le strade’?”. Ci sono almeno due donne incinte, di cui una in stato avanzato: “Non ci hanno offerto niente” ha detto una di loro. Un uomo sui 30 anni ha raccontato di essere arrivato a Lampedusa via Libia in barcone nel 2012, e di aver ottenuto asilo politico: “Ora non so dove andare” sostiene. A una cinquantina di persone sarebbe stato accordato il permesso di passare la notte nel palazzo sgomberato. “Dove andremo adesso? Non lo sappiamo. Dormiremo per terra” dicono alcuni. Altri dormiranno da conoscenti o in altre occupazioni.
Oltre all’esercito di poliziotti, carabinieri e finanzieri, ieri al primo piano dell’edificio costruito negli anni Cinquanta dagli architetti Aldo Della Rocca, Ignazio Guidi, Enrico Lenti e Giulio Sterbini è stato creato un “help-desk” della polizia, un servizio sanitario per anziani e bambini. L’amministrazione comunale guidata dalla pentastellata Virginia Raggi ha fatto sapere che sul luogo è intervenuta la sala operativa sociale di Roma Capitale.

A piazza Indipendenza è arrivata anche l’Atac che ha messo a disposizione alcuni autobus a supporto dei cinque mezzi usati dalla polizia per trasportare i migranti al centro di identificazione di Tor Cervara. “Non ci sono vetture per i passeggeri, ma piena disponibilità per gli sgomberi” hanno polemizzato su twitter i Blocchi precari metropolitani (Bpm). È stato questo il discutibile contributo dell’azienda dei trasporti pubblici all’”operazione di bonifica”. Questa dizione sconcertante è stata usata nei comunicati ufficiali. La sintesi è inquietante: un’emergenza sociale e umanitaria, creata dalla disapplicazione e dal malfunzionamento delle leggi, ridotta a un episodio igienico-sanitario. Un uso burocratico del linguaggio che richiama i peggiori incubi della storia del Novecento e fa parte del bagaglio semantico dell’ideologia del decoro usata per giustificare l’operazione.
Al destino incerto di centinaia di persone non collaborerà IDeA Fimit, la società alla quale il fondo Omega di Intesa, Enasarco e Inarcassa (la cassa degli ingegneri e degli architetti) ha affidato l’immobile nel 2011 che sarà trasformato in un albergo, in un centro commerciale e in una palestra. “Non esiste nessun impegno diretto nel ricollocamento degli occupanti – ha precisato in una nota IDeA Fimit – Non corrisponde al vero che alcuni gruppi di persone saranno ospitati in strutture individuate dalla proprietà”. Lo sgombero, richiesto già nel 2013 e ribadito più volte fino al febbraio 2016, era stato previsto dal 12 aprile 2016 quando Francesco Tronca, ex commissario straordinario della Capitale, lo ha inserito tra le priorità. Lo aveva promesso anche l’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano in una risposta a un’interrogazione alla Camera. È avvenuto sotto il governo del suo successore, Marco Minniti.
Il Comune, per bocca del vicesindaco Luca Bergamo, sostiene di avere concesso alcuni alloggi agli sgomberati. “L’accettazione di questa offerta è volontaria” ha precisato Bergamo che ha respinto la responsabilità sull’accaduto. Lo sgombero è stato deciso da Prefettura e Questura di Roma: “Quando si tratta di sgomberi di edifici privati il Comune viene coinvolto con un’informativa delle autorità di pubblica sicurezza, normalmente molto a ridosso dell’evento” ha precisato. Com’è ormai prassi nelle città italiane- l’ultimo episodio a Bologna con gli sgomberi di Làbas e Crash – l’autorità politica non sa e non vede. Ad agire sono il Viminale, le questure e i prefetti. È lo stato di emergenza: la politica è commissariata. Anche i Cinque Stelle, come in precedenza il sindaco Marino, subiscono questa supplenza. Ieri, mentre le destre attaccavano, e le sinistre rispondevano, sono rimasti muti.

Le immagini dei bambini usciti dal palazzo con grossi trolley, borsoni, libri scolastici, tra paraventi e quadri di soggetto cristiano, insieme a quella di una donna incinta di otto mesi, costretta ad aspettare sotto il sole, seduta su una sedia, per recuperare gli effetti personali, hanno scosso il vuoto pneumatico del post-ferragosto romano. “Un altro sgombero senza una proposta di soluzione alternativa. Dove andranno ora i rifugiati eritrei che erano dentro?” ha chiesto il collettivo Baobab che ha accolto 35 mila migranti transitanti nella capitale e affronta quotidianamente sgomberi a ripetizione.
Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti umani e senatore Pd, si è soffermato sul nodo politico: “Una situazione ben conosciuta da anni, e nota a tutte le autorità e all’amministrazione comunale, che si è deciso di affrontare e risolvere proprio ieri – sostiene – persone e interi nuclei familiari, regolarmente residenti nel nostro paese e per le quali, evidentemente, una città come Roma, con tre milioni di abitanti, non è stata in grado di trovare una più dignitosa collocazione”.
La soluzione del problema resta in mano al Comune che deve coordinarsi con la Prefettura: “È un’emergenza sociale – sostiene Marco Miccoli, deputato romano del Pd – Spero che mettano velocemente a disposizione soluzioni – Serve un piano di emergenza che eviti una tendopoli o situazioni inaccettabili per la dignità delle persone”. Un piano di cui tuttavia non sembra esserci traccia. Mentre la destra ieri brindava al ritorno alla “legalità”, anche dal Pd si sono levate voci consonanti. Per Stefano Pedica (Pd) bisogna andare avanti con gli sgomberi, perché “siamo in piena emergenza terrorismo”. “Sono parole inaccettabili, da caccia alle streghe – sostiene Paolo Cento (Sinistra Italiana) – Il Pd cavalca la paura invece di fare fronte comune contro l’intolleranza”.

Va ricordato un episodio che più di ogni altro riassume lo spirito di un’occupazione attaccata ferocemente dalle destre e dai razzisti di ogni specie nelle ultime settimane, considerata sinonimo di “spaccio, degrado e prostituzione”, nozioni ribadite ieri Giorgia Meloni di “Fratelli d’Italia”. Sul lato monumentale del palazzo, quello che si affaccia su Piazza Indipendenza, per anni è rimasto esposto lo striscione: “Siamo rifugiati, non siamo terroristi” era scritto a caratteri cubitali.
Una precisazione preventiva contro l’equazione “rifugiati=terroristi” che è tornata immancabilmente ieri a galla, con l’uso disonesto e ignobile dei gravi fatti accaduti a Barcellona. Quello striscione non è servito. Dopo quattro anni di scaricabarile tra governo e comune è arrivato solo lo sgombero, nonostante tutto. E tutti. La povertà va messa sotto il tappeto sul fronte interno della guerra contro migranti e poveri, mentre su quello esterno si rinchiudono i migranti nei centri di detenzione in Libia.
Il ripristino della “legalità” rischia di acuire i disagi di una città prostrata che non vede una soluzioni in un’emergenza che aumenta, sgombero dopo sgombero. “Ma davvero sindaco, prefetto, questore pensano che buttare le persone in mezzo ad una strada risolva il problema? – domanda Adriano Labbucci (Sinistra Italiana) – Lo si sposta e si rende ancora più precaria e insicura la città e la vita delle persone”. “Sgomberare non è governare”, ha ragione Labbucci, ma potrebbe anche essere un altro modo di governare: allontanare dalle città le grandi concentrazioni, accrescere la pressione poliziesca,bloccare ogni po
Nell’agosto romano più blindato, e desolato, degli ultimi anni, quello di ieri è stato lo sgombero più grande, il terzo dell’estate dopo Casetta, il secondo nell’ultima settimana. Il 10 agosto in via Quintavalle a Cinecittà sono state arrestate 11 persone e una sessantina di famiglie sono state sgomberate da un edificio ex Inps, proprietà della società immobiliare di una banca. Ora sono accampate nel portico della Basilica dei Santi XII Apostoli, nella piazza di fronte alla Prefettura. Ieri pomeriggio, a piazza Santi Apostoli, è stato organizzato un sit-in di protesta dove ai bambini è stata data l’opportunità di giocare e fare il bagno in piscine gonfiabili. I blocchi precari metropolitani hanno denunciato l’arresto di due attivisti accusati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Le forze dell’ordine avevano chiesto di rimuovere le piscine. “Una rappresaglia contro l’esercizio della solidarietà e il rifiuto di nascondere la povertà sotto il tappeto” denuncia il movimento per la casa.
In questo clima di repressione e rappresaglie, dove trionfa la città della rendita, a Roma è prevista una manifestazione di protesta il prossimo 26 agosto. La questione degli sgomberi e degli sfratti è sentita in tutto il paese, come dimostrano i dati del 2016Il 9 settembre è confermato il corteo nazionale a Bologna dopo gli sgomberi 

venerdì 18 agosto 2017

2 - Ministero Difesa - Faro di Patresi: Perchè non è applicato il Regolamento delle concessioni di beni immobili dello Stato ?




DPR 296,Regolamento concessioni  immobili dello stato. Canone commisurato a prezzi di mercato e accertati da uffici demanio, ma nel bando fari Valore Paese….

In un precedente scritto “ Ministero della Difesa – Faro di Patresi : Canone povero per locale di lusso in luogo stupendo “ ho espresso perplessità sugli importi del canone di concessione pagati per i fari inseriti nel progetto Valore Paese della Difesa Servizi S.p.A. di proprietà del Ministero della Difesa. Ho cercato di capire qualcosa di più e lo segnalo subito, premettendo che non contesto infrazioni delle leggi vigenti, non ho la competenza necessaria per farlo, ma scrivo solo domande che farei volentieri ad esperti del settore perché qualcosa non mi convince.

Contesto invece con forza la filosofia e il messaggio dati dall’ operazione.
Ovvero, “beni di proprietà dello Stato situati in contesti di assoluta bellezza e carichi di suggestione  … ecosistemi … alcuni tra i più straordinari territori costieri italiani” , come si legge nella presentazione dell‘ iniziativa, che saranno sfruttati da privati a prezzi relativamente bassi, che stridono con i luoghi dati in concessione e con l’ ostentazione del lusso che è comune a molti progetti.

Nella mia ricerca ho trovato che le concessioni  solitamente rispondono al D.P.R. n.296, 13 settembre 2005, Regolamento su criteri di concessione in uso dei beni immobili appartenenti allo Stato. Ma nel bando di gara per i fari del progetto Valore Paese è specificato che alla concessione non si applicano le disposizioni del D.P.R. n. 296.
Probabilmente tutto è legale, ma, per chi come me non è esperto di diritto, sembra anomalo che una legge dello Stato non si applichi perché così è scritto in un bando di gara.

Il regolamento citato nell’ art. 4,
al comma 1 prescrive che il canone sia commisurato ai prezzi del libero mercato e che questo sia accertato da competenti uffici del demanio,
mentre al comma 3 scrive che una concessione non possa essere in nessun caso superiore a 19 anni.
I due commi quindi escluderebbero canoni di concessione fissati solo dall’ offerta, anche se in un’ asta, e periodi di 30 o 50 anni di concessione. Troviamo invece le due condizioni  nelle concessioni dei fari del progetto Valore Paese.

Art. 4.
Condizioni delle concessioni e delle locazioni

1. Il canone ordinario e' commisurato ai prezzi praticati in regime di libero mercato per analoghe tipologie, caratteristiche e destinazioni d'uso dell'immobile, come accertati dai competenti uffici dell'Agenzia del demanio.

……..
3. La durata della concessione e della locazione e' stabilita in anni sei. Puo' essere stabilito un termine superiore ai sei anni, e comunque non eccedente i diciannove:
a) quando il concessionario o il locatario si obbliga ad eseguire consistenti opere di ripristino, restauro o ristrutturazione in tempi prestabiliti, pena la revoca della concessione o la risoluzione del contratto di locazione;
b) quando l'Agenzia del demanio, con determinazione motivata, ne ravvisa l'opportunita', in relazione alle caratteristiche e alla tipologia dell'utilizzo

mercoledì 16 agosto 2017

Ministero Difesa - Faro Patresi: Canone di concessione povero per locale di lusso in luogo stupendo


Ministero Difesa - Faro Patresi: Canone di concessione povero per locale di lusso in luogo stupendo

L’ incongruità della cifra che pagheranno i concessionari dei fari presenti nel bando Valore paese sarà evidente soprattutto ai commercianti che pagano canoni di affitto superiori per locali molto meno pregiati. Ma a me pare che iI lusso ostentato nella quasi totalità dei progetti vincitori non sia assolutamente in sintonia con la proprietà pubblica dei beni, con la cifra che pagheranno per la concessione, con la crisi economica del nostro paese che probabilmente tocca moltissimi ma non i vincitori del bando.

Al link
“Esito bando 2016” si legge:
Investimenti per oltre 11 milioni di euro: imprese locali e nazionali, imprenditori esteri e aziende di settore si aggiudicano 15 strutture per i prossimi 50 anni. In autunno il terzo bando….
…..Lo Stato incasserà oltre 420 mila euro di canoni annui che, in considerazione della differente durata delle concessioni, ammonterà a quasi 8 milioni di euro per tutto il periodo di affidamento. …..
…..Faro di Punta Polveraia, Marciana, Isola d’Elba (LI) Aggiudicatario provvisorio Alfa Promoter srl Sede Livorno Durata della concessione 17 anni Somma dei canoni offerti attualizzati € 555.344 Investimenti previsti € 815.500.”

Alfa Promoter srl si e'quindi  impegnata a pagare a Difesa servizi Spa una somma di canoni pari a  555.000 euro a prezzi attualizzati per i 17 anni nei quali avrà la concessione del Faro di Patresi nel comune di Marciana all’ Isola d’ Elba. Sono circa 2.700 euro al mese. Allo scadere dei 17 anni Alfa Promoter srl, come tutti gli altri vincitori del bando,  avrà anche buone possibilità di rinnovare la concessione.
Non conosco i canoni di affitto pagati in media dai ristoranti dell' Isola d' Elba ma, conoscendo i prezzi di affitto di alcuni locali commerciali, li immagino molto più alti. Inoltre, per aiutare degli amici ho selezionato negli annunci immobiliari di Roma quelli relativi a fondi di circa 100 mq in alcune zone periferiche. Il canone di affitto richiesto era in media attorno a 1.500 euro. Sono convintissimo dunque che il prezzo sia troppo basso, un regalo vero e proprio.

Alcuni siti che hanno scritto sul bando Valore Paese hanno riportato anche le cifre di canone che i vincitori della gara si sono impegnati a pagare e spesso non hanno capito gli importi dando cifre diverse tra loro e comunque non esatte.

Così l' attenzione e' stata posta sui luoghi bellissimi e sui progetti delle società vincitrici, quasi tutti orientati a locali di lusso.  Locali di lusso in luoghi pubblici e a canoni di concessione incongrui con le ambizioni dei progetti, ma nessuno dei lettori ha potuto leggere i dati esatti dei canoni di concessione.

Due esempi:

 Il Gambero Rosso ha scritto:
Si calcola che l’intervento dei privati produrrà investimenti per 11 milioni di euro, generando pure 200 nuovi posti di lavoro: lo Stato incasserà da ognuno 420mila euro di canone annuo
Ma leggendo il comunicato “Esito bando 2016” si capisce benissimo che non è vero che “lo Stato incasserà da ognuno 420.000”  e che la cifra 420.000 euro è complessiva.

La Stampa ha scritto:
 “ Ha prevalso Lorenzo Malafarina, manager bergamasco del turismo grande amico della scomparsa Franca Sozzani, che ha battuto sul filo Patrizio Bertelli, marito di Miuccia Prada e amministratore delegato del colosso della moda. Il patron del brand “Seventyseven Italian Luxury Heritage” l’ha spuntata mettendo sul piatto dell’Agenzia del Demanio e del ministero della Difesa un progetto di recupero da un milione e un canone di circa 450 mila euro per ciascuna struttura. In cambio ha ottenuto l’affidamento dei fari per vent’anni.

I Prada (che hanno partecipato alla gara per Levanzo, rinunciando poi a farsi avanti per quella di Marettimo) non l’hanno presa male, consolandosi con l’acquisto di gran parte delle proprietà delle isole che tra fine Ottocento e inizi del Novecento erano dei Florio, gli imprenditori delle tonnare e dei trasporti marittimi che su queste isole a un tiro di schioppo da Trapani, celebri per il mare turchese e per la storica battaglia navale che sancì la vittoria dei Romani sui Cartaginesi, erano i signori assoluti.

Dopo avere comprato una villa a Favignana con un giardino nascosto in una vecchia cava di tufo nella località Bue marino, hanno rilanciato sulla vicina isola di Levanzo, acquistando sulla collina il Baglio Florio e in paese la novecentesca Villa Burgarella. E soprattutto oltre quaranta ettari di terreno dove intendono avviare un’attività di produzione vinicola. Il loro super gommone Wally sfreccia nel mare a cercare il migliore pesce, così come fa la spola tra le isole l’idroambulanza da undici metri che hanno voluto regalare agli abitanti in segno di amicizia. Un cadeau da 300 mila euro. Gesto simile a quelli che ha fatto Giorgio Armani nella “sua” Pantelleria donando prima una Tac e poi un mammografo all’ospedale. A ogni isola il suo stilista

Queste invece le cifre reali offerte per Marettino e Levanzo :
Faro di Punta Libeccio, Isola di Marettimo, Favignana (TP) Aggiudicatario provvisorio Mavi di Vincenzi Nadia & C. sas Sede Castrezzato (BS) Durata della concessione 17 anni Somma dei canoni offerti attualizzati € 342.804 (circa 1.600 euro al mese n.d.r.) Investimenti previsti € 1.100.000
Faro di Capo Grosso a Levanzo Favignana (TP) Aggiudicatario provvisorio Lorenzo Malafarina Sede Azienda Bergamo Durata della concessione 20 anni Somma dei canoni offerti attualizzati € 414.947 (qualcosa meno di 1.800 euro al mese n.d.r.) Investimenti previsti € 700.000.
Il contrasto tra i canoni mensili di concessione e il valore dei molti beni citati nello stralcio dell’ articolo della Stampa mi pare evidente.

Il manifesto di domenica ha dedicato una pagina al progetto per il Faro di Patresi mettendo in evidenza lo scempio ambientale dello stesso e la sua illegalità rispetto alle direttive urbanistiche del luogo.
Credo che sia giusto però parlare anche del lato economico e sociale dell’ operazione, in linea con tutte le altre d’ Italia. Un’ esaltazione del lusso costruita su beni pubblici disponibili a prezzi troppo bassi. Vedremo se altri la pensano come.

E’ tutto legale, non era prevista una base d’ asta, ma assolutamente ingiusto.

Marco Palombo