da www.ilmanifesto.it
Questo articolo è stato aggiornato sul web alle 8,30 di domenica 20 agosto. Riporta molte notizie non ancora presenti sul Manifesto cartaceo e che non potranno essere presenti, dato che il lunedì il quotidiano non esce, fino a martedì mattina.
M.P.
Sgomberato il palazzo dei rifugiati a Roma, mille
persone per strada
Movimenti. Palazzo Curtatone, occupato dal 2013, era la denuncia
vivente del malfunzionamento del sistema dell'accoglienza. Ci vivevano
rifugiati e richiedenti asilo eritrei a poche centinaia di metri dalla Stazione
Termini. In quattro anni governo e comune non sono riusciti a trovare una
soluzione all'emergenza. E' lo sgombero più grande degli ultimi anni nella
Capitale, il fronte interno della guerra ai migranti e ai poveri registra una
nuova offensiva, mentre continua la strategia di respingimento nei centri di detenzione
in Libia
Centinaia di agenti in tenuta antisommossa hanno
sgomberato ieri all’alba il palazzo dei rifugiati, un edificio di 32 mila metri
quadri tra via Goito, via Curtatone e piazza Indipendenza, a poche centinaia
di metri dalla stazione Termini a Roma. Più di venti automezzi che hanno isolato
il quadrante tra la stazione Termini e la biblioteca nazionale di viale Castro
Pretorio a partire dalle prime luci del giorno. Un minimo tentativo di
resistenza è stato respinto, con la minaccia dell’intervento dei camion idranti,
in via Solferino. Palazzo Curtatone era stato occupato nel 2013, dopo la strage
del 3 ottobre a Lampedusa dove persero la vita 368 persone. Circa 800
migranti, almeno 250 famiglie con decine di minori, per la maggior parte
eritrei richiedenti asilo e rifugiati, sono stati sostenuti dai movimenti
per la casa nell’ambito dello “Tsunami tour”, una clamorosa campagna
di denuncia sull’emergenza abitativa a Roma e per dare un’abitazione a
migliaia di italiani e immigrati.
Un’occupazione scomoda quella di palazzo Curtatone, questo il nome
comunemente attribuito all’immobile. Sul lato opposto di piazza Indipendenza
sorge la sede del Consiglio Superiore della Magistratura, a trecento metri c’è
il consolato tedesco, a pochi passi la redazione romana del Sole 24 Ore e
il Corriere dello Sport. Finché ha resistito in questa zona
centrale della città, il palazzo dei rifugiati è stato la denuncia vivente del
mancato rispetto della Convenzione di Ginevra, del regolamento di
Dublino e del malfunzionamento del sistema dell’accoglienza. Gran parte degli
occupanti erano legalmente residenti in Italia, ma al riconoscimento del
loro status non è seguita l’accoglienza in strutture che
potevano garantire condizioni di vita dignitose. Mai, fino allo sgombero di
ieri, è stata offerta una soluzione alternativa realistica. “Erano stati messi
in mezzo alla strada, perché l’Italia non prevede per tutti l’accompagnamento
fino alla reale autonomia delle persone” ha detto a maggio in una
dichiarazione all’Agi Padre Zerai, il sacerdote eritreo presidente di Habeshia,
l’agenzia che si occupa di assistenza ai rifugiati africani. Ora ci sono
tornati, in strada.
“Non ci hanno avvisato, non siamo riusciti e prendere niente né a fare
le valigie, dentro abbiamo ancora tutto, anche i nostri documenti” ha
raccontato una donna etiope cinquantenne che lavora in un albergo vicino.
“Hanno spaccato la porta, senza preavviso o rispetto – ha raccontato un uomo
eritreo di 37 anni – Sono qui dal primo giorno, avevamo occupato solo per
chiedere i nostri diritti di rifugiati, ma non ci hanno detto nulla. Ora
diventeremo ‘sporco per le strade’?”. Ci sono almeno due donne incinte, di cui
una in stato avanzato: “Non ci hanno offerto niente” ha detto una di loro. Un
uomo sui 30 anni ha raccontato di essere arrivato a Lampedusa via Libia in
barcone nel 2012, e di aver ottenuto asilo politico: “Ora non so dove andare”
sostiene. A una cinquantina di persone sarebbe stato accordato il permesso
di passare la notte nel palazzo sgomberato. “Dove andremo adesso? Non lo
sappiamo. Dormiremo per terra” dicono alcuni. Altri dormiranno da conoscenti o
in altre occupazioni.
Oltre all’esercito di poliziotti, carabinieri e finanzieri, ieri al primo piano dell’edificio costruito negli
anni Cinquanta dagli architetti Aldo Della Rocca, Ignazio Guidi, Enrico Lenti e
Giulio Sterbini è stato creato un “help-desk” della polizia, un servizio
sanitario per anziani e bambini. L’amministrazione comunale guidata dalla
pentastellata Virginia Raggi ha fatto sapere che sul luogo è intervenuta la
sala operativa sociale di Roma Capitale.
A piazza Indipendenza è arrivata anche l’Atac che ha messo a
disposizione alcuni autobus a supporto dei cinque mezzi usati dalla polizia per
trasportare i migranti al centro di identificazione di Tor Cervara. “Non ci
sono vetture per i passeggeri, ma piena disponibilità per gli sgomberi” hanno
polemizzato su twitter i Blocchi precari metropolitani (Bpm). È stato questo il
discutibile contributo dell’azienda dei trasporti pubblici all’”operazione di
bonifica”. Questa dizione sconcertante è stata usata nei comunicati ufficiali.
La sintesi è inquietante: un’emergenza sociale e umanitaria, creata dalla
disapplicazione e dal malfunzionamento delle leggi, ridotta a un episodio
igienico-sanitario. Un uso burocratico del linguaggio che richiama i peggiori
incubi della storia del Novecento e fa parte del bagaglio semantico
dell’ideologia del decoro usata per giustificare l’operazione.
Al destino incerto di
centinaia di persone non collaborerà IDeA Fimit, la società alla quale il fondo
Omega di Intesa, Enasarco e Inarcassa (la cassa degli ingegneri e degli
architetti) ha affidato l’immobile nel 2011 che sarà trasformato in un albergo,
in un centro commerciale e in una palestra. “Non esiste nessun impegno diretto
nel ricollocamento degli occupanti – ha precisato in una nota IDeA Fimit – Non
corrisponde al vero che alcuni gruppi di persone saranno ospitati in strutture
individuate dalla proprietà”. Lo sgombero, richiesto già nel 2013 e ribadito
più volte fino al febbraio 2016, era stato previsto dal 12 aprile 2016 quando
Francesco Tronca, ex commissario straordinario della Capitale, lo ha inserito tra le priorità. Lo aveva promesso
anche l’ex ministro dell’Interno Angelino Alfano in una risposta a
un’interrogazione alla Camera. È avvenuto sotto il governo del suo successore,
Marco Minniti.
Il Comune, per bocca del vicesindaco Luca Bergamo, sostiene di avere concesso alcuni alloggi agli sgomberati.
“L’accettazione di questa offerta è volontaria” ha precisato Bergamo che ha
respinto la responsabilità sull’accaduto. Lo sgombero è stato deciso da
Prefettura e Questura di Roma: “Quando si tratta di sgomberi di edifici privati
il Comune viene coinvolto con un’informativa delle autorità di pubblica
sicurezza, normalmente molto a ridosso dell’evento” ha precisato. Com’è ormai
prassi nelle città italiane- l’ultimo episodio a Bologna con gli sgomberi di Làbas e Crash –
l’autorità politica non sa e non vede. Ad agire sono il Viminale, le questure e
i prefetti. È lo stato di emergenza: la politica è commissariata. Anche i
Cinque Stelle, come in precedenza il sindaco Marino, subiscono questa
supplenza. Ieri, mentre le destre attaccavano, e le sinistre rispondevano, sono
rimasti muti.
Le immagini dei bambini usciti dal palazzo con grossi trolley, borsoni, libri
scolastici, tra paraventi e quadri di soggetto cristiano, insieme a quella di
una donna incinta di otto mesi, costretta ad aspettare sotto il sole, seduta su
una sedia, per recuperare gli effetti personali, hanno scosso il vuoto
pneumatico del post-ferragosto romano. “Un altro sgombero senza una proposta di
soluzione alternativa. Dove andranno ora i rifugiati eritrei che erano dentro?”
ha chiesto il collettivo Baobab che ha accolto 35 mila migranti transitanti
nella capitale e affronta quotidianamente sgomberi a ripetizione.
Luigi Manconi,
presidente della Commissione Diritti umani e senatore Pd, si è soffermato sul
nodo politico: “Una situazione ben conosciuta da anni, e nota a tutte le
autorità e all’amministrazione comunale, che si è deciso di affrontare e
risolvere proprio ieri – sostiene – persone e interi nuclei familiari,
regolarmente residenti nel nostro paese e per le quali, evidentemente, una
città come Roma, con tre milioni di abitanti, non è stata in grado di trovare
una più dignitosa collocazione”.
La soluzione del problema resta in mano al Comune che deve coordinarsi con
la Prefettura: “È un’emergenza sociale – sostiene Marco Miccoli, deputato
romano del Pd – Spero che mettano velocemente a disposizione soluzioni – Serve
un piano di emergenza che eviti una tendopoli o situazioni inaccettabili per la
dignità delle persone”. Un piano di cui tuttavia non sembra esserci traccia.
Mentre la destra ieri brindava al ritorno alla “legalità”, anche dal Pd si sono
levate voci consonanti. Per Stefano Pedica (Pd) bisogna andare avanti con gli
sgomberi, perché “siamo in piena emergenza terrorismo”. “Sono parole
inaccettabili, da caccia alle streghe – sostiene Paolo Cento (Sinistra
Italiana) – Il Pd cavalca la paura invece di fare fronte comune contro
l’intolleranza”.
Va ricordato un
episodio che più di ogni altro riassume lo spirito di un’occupazione attaccata
ferocemente dalle destre e dai razzisti di ogni specie nelle ultime settimane,
considerata sinonimo di “spaccio, degrado e prostituzione”, nozioni ribadite
ieri Giorgia Meloni di “Fratelli d’Italia”. Sul lato monumentale del palazzo,
quello che si affaccia su Piazza Indipendenza, per anni è rimasto esposto lo
striscione: “Siamo rifugiati, non siamo terroristi” era scritto a caratteri
cubitali.
Una precisazione preventiva contro l’equazione “rifugiati=terroristi” che è
tornata immancabilmente ieri a galla, con l’uso disonesto e ignobile dei gravi
fatti accaduti a Barcellona. Quello striscione non è servito. Dopo
quattro anni di scaricabarile tra governo e comune è arrivato solo lo sgombero,
nonostante tutto. E tutti. La povertà va messa sotto il tappeto sul fronte
interno della guerra contro migranti e poveri, mentre su quello esterno si
rinchiudono i migranti nei centri di detenzione in Libia.
Il ripristino della “legalità” rischia di acuire i disagi di una città
prostrata che non vede una soluzioni in un’emergenza che aumenta, sgombero
dopo sgombero. “Ma davvero sindaco, prefetto, questore pensano che buttare le
persone in mezzo ad una strada risolva il problema? – domanda Adriano Labbucci
(Sinistra Italiana) – Lo si sposta e si rende ancora più precaria e insicura la
città e la vita delle persone”. “Sgomberare non è governare”, ha ragione
Labbucci, ma potrebbe anche essere un altro modo di governare: allontanare
dalle città le grandi concentrazioni, accrescere la pressione
poliziesca,bloccare ogni po
Nell’agosto romano più blindato, e desolato, degli ultimi anni, quello di ieri è
stato lo sgombero più grande, il terzo dell’estate dopo Casetta, il secondo nell’ultima settimana. Il 10 agosto in
via Quintavalle a Cinecittà sono state arrestate 11 persone e una sessantina di
famiglie sono state sgomberate da un edificio ex Inps, proprietà della società
immobiliare di una banca. Ora sono accampate nel portico della Basilica dei
Santi XII Apostoli, nella piazza di fronte alla Prefettura. Ieri pomeriggio, a
piazza Santi Apostoli, è stato organizzato un sit-in di protesta dove ai
bambini è stata data l’opportunità di giocare e fare il bagno in piscine
gonfiabili. I blocchi precari metropolitani hanno denunciato l’arresto di due
attivisti accusati di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Le forze
dell’ordine avevano chiesto di rimuovere le piscine. “Una rappresaglia contro
l’esercizio della solidarietà e il rifiuto di nascondere la povertà sotto il
tappeto” denuncia il movimento per la casa.
In questo clima di repressione e
rappresaglie, dove trionfa la città della rendita, a Roma è prevista una
manifestazione di protesta il prossimo 26 agosto. La questione degli sgomberi e
degli sfratti è sentita in tutto il paese, come dimostrano i dati del 2016. Il 9 settembre è confermato il corteo nazionale a
Bologna dopo gli sgomberi
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