domenica 30 luglio 2017

L.Vita (IlManifesto): la missione in Libia viola il divieto di respingimenti


Il Titolo che ho messo al post è la segnalazione, molto più adeguata del titolo nella pagina interna, sulla prima pagina del manifesto dell' articolo posto all'interno del giornale.

M.P.

Missione senza tetto (costa 7 milioni) né legge internazionale
La missione Gentiloni. Il costo dell'invio di navi militari italiane in Libia non sarà inferiore a Mare Nostrum ma molto più pasticciata
EDIZIONE DEL30.07.2017
IL MANIFESTO

Innanzitutto serve un ripasso di diritto internazionale. Il principio di non-refoulement così come enunciato nella Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 non lascia margini interpretativi: l’obbligo di non inviare un rifugiato, o un richiedente asilo, in un paese dove potrebbe essere a rischio di persecuzione, non è soggetto a restrizioni territoriali. Se non bastasse, una esplicita norma sul non respingimento è contenuta nell’art. 3 della Convenzione contro la tortura del 1984, che proibisce il trasferimento di una persona in un paese dove vi siano fondati motivi di ritenere che sarebbe in pericolo di subire tortura, arbitraria privazione della vita o altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti.

Anche l’art. 19 della Carta dei diritti fondamentale dell’Unione Europea è molto chiara: il divieto di respingimento non può in alcun modo essere aggirato, neanche quando si chiamano i respingimenti in maniera diversa, e cioè azioni di soccorso in mare oppure operazioni tese a stroncare il traffico di persone. Così dice la Corte europea dei diritti umani nella parte finale della sentenza di condanna all’Italia nel 2012 sul caso Hirsi-Jamaa e altri, definendo illegali i respingimenti verso la Libia del 2009.

E già in una sentenza del 2001 la Cedu aveva sostenuto che la competenza giurisdizionale di uno Stato può essere estesa extra-territorialmente se quello Stato «attraverso l’effettivo controllo del territorio in questione e dei suoi abitanti all’estero come conseguenza di occupazione militare o attraverso il consenso, l’invito o l’acquiescenza del governo di quel territorio, esercita tutti o parte dei pubblici poteri che di norma sono esercitati da quel governo».

E, più recentemente, il regolamento istitutivo dell’agenzia Frontex del 2014 specifica ulteriormente che gli Stati membri impegnati a prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare e durante un’operazione marittima, devono assicurare che le rispettive unità partecipanti si attengano all’obbligo internazionale di non respingimento, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova.

Rispolverati i fondamentali, la domanda è: può tutto questo impianto di diritto internazionale essere accantonato – e di fatto scavalcato – se a fare il lavoro sporco davanti alle coste di Tripoli non saranno i mezzi della Marina militare italiana ma il più esile – e tutto da mettere in piedi – dispositivo della Guardia costiera libica?

Immaginare lo scenario che potrebbe verificarsi nei prossimi mesi in quel tratto di Mediterraneo evoca immagini terribili o drammaticamente comiche, se non stessimo parlando di esseri umani disperati e già duramente provati da quanto subito in Libia prima di imbarcarsi: gommoni carichi di donne, uomini e bambini in mare, senza motore, alla deriva, in attesa che vengano prima intercettati dalle nostre navi militari e poi avvicinati dalle motovedette libiche per essere riportati indietro in modo che tecnicamente non si possa parlare di respingimento. E una volta in Libia? A chi verranno riconsegnati? Ci saranno i campi delle organizzazioni internazionali? Ci saranno i funzionari europei pronti a raccogliere le richieste di asilo e a smistare i richiedenti nei diversi Stati europei? Domande a cui oggi evidentemente non si può dare una risposta.

Tutto ciò sempre che la situazione in mare non sia grave e i gommoni non stiano per affondare, circostanza che comporterebbe invece l’obbligo immediato da parte dei nostri militari di intervenire, come tra l’altro orgogliosamente fatto finora. E a quel punto? Non potremmo riportare i profughi in Libia e, secondo quanto previsto dal diritto del mare, ci si dirigerebbe in Italia, luogo sicuro più vicino.
Il piano del governo Gentiloni dovrebbe costare circa 7 milioni di euro al mese, cifra di poco inferiore al costo mensile dell’operazione Mare Nostrum. Un dettaglio su cui interrogarsi profondamente di fronte alla svolta rischiosa e irresponsabile che si sta attuando.


sabato 29 luglio 2017

Missione in Libia. Tutti contenti ma l'Italia nel 2012 fu condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell'uomo per aver violato il divieto di espulsioni collettive.


Ho trovato questa sentenza da un link in un articolo di Stefano Catone "La guerra ai migranti una scelta infame" sul sito Possibile.com, il gruppo politico di Pippo Civati. 

https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.wp?facetNode_1=0_8_1_60&previsiousPage=mg_1_20&contentId=SDU743291

Mi sembra interessante e vorrei sapere cosa ne pensano tutti coloro che non si oppongono alla decisione del governo italiano sulla presenza nelle acque libiche di navi militari italiane.

M.P.

Hai cercato:
  • diritti dell'Uomo:  divieto espulsioni collettive - art4 Prot4  Annulla la faccetta selezionata

Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 23 febbraio 2012 - Ricorso n. 27765/09 - Hirsi Jamaa e altri c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, eseguita da Martina Scantamburlo, Rita Pucci e Rita Carnevali, funzionari linguistici

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,
  1. Decide, con tredici voti contro quattro, di cancellare dal ruolo il ricorso che riguarda i signori Mohamed Abukar Mohamed e Hasan Shariff Abbirahman;
     
  2. Decide, all'unanimità, di non cancellare dal ruolo il ricorso che riguarda gli altri ricorrenti;
     
  3. Dichiara, all'unanimità, che i ricorrenti erano sottoposti alla giurisdizione dell'Italia ai sensi dell'articolo uno della Convenzione;
     
  4. Unisce all'esame sul merito, all'unanimità, le eccezioni del Governo basate sul mancato esaurimento delle vie di ricorso interne e della mancata qualità di vittima dei ricorrenti;
     
  5. Dichiara, all'unanimità, ricevibili i motivi basati sull'articolo 3 della Convenzione;
     
  6. Dichiara, all'unanimità, che vi è stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione in quanto i ricorrenti sono stati esposti al rischio di subire maltrattamenti in Libia e respinge l'eccezione del Governo basata sulla mancata qualità di vittima dei ricorrenti;
     
  7. Dichiara, all'unanimità, che vi è stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione in quanto i ricorrenti sono stati esposti al rischio di essere rimpatriati in Somalia e in Eritrea;
  8. Dichiara, all'unanimità, ricevibile il motivo di ricorso basato sull'articolo 4 del Protocollo no 4;
     
  9. Dichiara, all'unanimità, che vi è stata violazione dell'articolo 4 del Protocollo no 4;
     
  10. Dichiara, all'unanimità, ricevibile il motivo di ricorso basato sull'articolo 13 combinato con gli articoli 3 della Convenzione e 4 del Protocollo no 4;
     
  11. Dichiara, all'unanimità, che vi è stata violazione dell'articolo 13 combinato con l'articolo 3 della Convenzione e dell'articolo 13 combinato con l'articolo 4 del Protocollo no 4 e respinge l'eccezione del Governo basata sul mancato esaurimento delle vie di ricorso interne;
     
  12. Dichiara, all'unanimità,
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro 3 mesi, le seguenti somme:
      1. 15.000 EURO (quindicimila euro) ciascuno, più l'importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per danno morale, le cui somme saranno fiduciariamente detenute per i ricorrenti dai loro rappresentanti;
      2. la somma complessiva di 1.575,74 EURO (millecinquecentosettantacinque euro e settantaquattro centesimi), più l'importo eventualmente dovuto titolo d'imposta dai ricorrenti, per le spese legali
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso pari a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, aumentato di tre punti percentuali;
Fatta in francese e in inglese, poi pronunciata in pubblica udienza, al Palazzo dei Diritti dell'Uomo a Strasburgo, il 23 febbraio 2012, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.
Nicolas Bratza Presidente
Michael O’Boyle Cancelliere

mercoledì 26 luglio 2017

Yemen,nucleare- La discussione di 3 mozioni scomode iniziata e sospesa in Parlamento



Il 17 ,18 e il 24 luglio sono iniziate nelle aule parlamentari le discussioni di tre mozioni. Interrotte dopo i primi interventi, non sono ancora riprese anche se presenti più volte negli ordini del giorno.


Il 17 alla Camera dei Deputati sulla guerra in Yemen,
con particolare attenzione alle bombe fabbricate in Sardegna usate dall'Arabia saudita in Yemen in stragi di civili e bambini.

Il 18 al Senato sulla ratificazione del trattato votato dall' Assemblea dell' ONU sulla proibizione delle armi nucleari.

Il 24 luglio alla Camera sempre sul trattato ONU

In questo blog "Le corvette dell' Elba" trovate i testi delle mozioni presentate e molti dettagli e commenti a proposito di questi tre passaggi parlamentari.

Le discussioni riguardano temi sui quali la posizione del governo italiano e' particolarmente difficile da giustificare agli occhi dell' opinione pubblica progressista e cattolica, base elettorale del centrosinistra italiano.

Per il partito democratico il silenzio e' l' unico modo efficace di affrontarle, Non sono riusciti a rendere completamente invisibili questi passaggi parlamentari, ma, complice l' arrivo imminente delle ferie estive della politica, potrebbero essere affrontate in modo estremamente frettoloso o addirittura slittare a settembre.

Continuerò a seguire le cronache parlamentari, dove la discussione dei tre documenti e' stata presente ormai una decina di volte all' interno degli ordini del giorno dei lavori.

Vi faro' sapere.

M.P.

martedì 25 luglio 2017

Ratifica trattato ONU per proibizione armi nucleari, mozione di Sinistra Italiana, Camera da 25 luglio



Mozione 1-01673
presentato da
MARCON Giulio
testo di
Lunedì 24 luglio 2017, seduta n. 840

La Camera,
premesso che: 

le armi nucleari mettono in pericolo la sopravvivenza della specie umana e del Pianeta, un rischio tutt'altro che remoto in un mondo non pacificato; 

tra pochi giorni, il 6 agosto, ricorrerà l'anniversario dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki e, nonostante la conoscenza di quanto accaduto e le minacce continue della Corea del Nord e del terrorismo internazionale, i Governi del mondo e soprattutto quelli delle potenze nucleari non sono pervasi dalla consapevolezza che è arrivato il momento di perseverare con determinazione nel bandire le armi nucleari; 

già dal 1968 l'articolo VI del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP), ratificato dal nostro Paese nel 1975, impegna ciascuna parte a perseguire in buona fede negoziati per definire nel più breve tempo possibile misure effettive che conducano alla cessazione della corsa agli armamenti nucleari e quindi al disarmo nucleare; 

ciascuno degli Stati militarmente non nucleari che hanno sottoscritto il TNP «si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi», ma l'Italia, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in contrasto con tale impegno e con l'articolo 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio del 1969, ratificata nel 1974 ed entrata in vigore nel 1980, continua a mettere a disposizione il proprio territorio per l'installazione, il transito, la detenzione e l'uso di armi nucleari; 

ciò avviene in base all'accordo Nato di condivisione nucleare «
Nuclear sharing agreements» che prevede una serie di impegni di condivisione di strutture ed infrastrutture: oltre allo stoccaggio delle bombe, che sono sotto il controllo degli Stati Uniti, è previsto l'addestramento di piloti italiani per il possibile uso delle armi e la partecipazione italiana alle riunioni del Nuclear Planning Group della Nato; 

l'Italia è la nazione con il più alto numero di ordigni nucleari Usa stoccati sul suolo europeo: secondo i dati della 
Federation of American Scientists, ad Aviano e a Ghedi sono stoccate settanta delle centottanta bombe presenti in Europa e il nostro è l'unico Paese in Europa con due basi nucleari: quella dell'Aeronautica militare di Ghedi e quella statunitense di Aviano (Pordenone); 

è noto da tempo, che il Pentagono ha stanziato ingenti risorse per ammodernare il proprio arsenale di bombe atomiche, comprese quelle depositate nelle basi all'estero o in quelle di Paesi alleati. In questo contesto, le bombe atomiche stoccate in Italia saranno presto sostituite dalle nuove bombe B61-12; 

su questo arsenale nucleare il Governo italiano ha sempre rifiutato di fornire informazioni. Le poche informazioni di cui si dispone provengono in gran parte dai rapporti delle ispezioni sulla sicurezza degli arsenali nucleari, rilasciati dal Pentagono, che possono indicare se ci sono stati problemi con il personale che maneggia gli armamenti nucleari, se ce ne sono stati con l'equipaggiamento tecnico o con altri aspetti dello stoccaggio delle armi; 

è di pochi giorni fa, tuttavia, la notizia che, per effetto di una decisione della 
US Air Force e del Joint Chiefs of Staff, gli USA hanno deciso di secretare anche tali report, rendendo impossibile l'accesso anche a queste informazioni minime, per sapere se le bombe di Aviano e a Ghedi hanno falle di sicurezza, emerse grazie alle ispezioni ufficiali dello stesso Governo americano; 

l'accesso a queste informazioni non ha mai comportato un rischio, dal momento che i 
report non contengono dati classificati, e ora che si parla dell'arrivo in Italia della nuova bomba termonucleare B61-12, che ha il sistema di puntamento digitale, compatibile con i sistemi elettronici dell'F35-A, l'esigenza di un controllo minimamente efficace di questi armamenti è più cruciale che mai; 

l'Italia partecipa, altresì, al progetto per la realizzazione del 
Joint Strike Fighter (F-35), cacciabombardiere capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche. Ciascun velivolo F-35 potrà trasportare due bombe nucleari di tipo B61-12; 

l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, approvando il 23 dicembre 2016 la risoluzione n. 41, ha avviato un nuovo percorso per attuare l'obiettivo del Trattato di non proliferazione (TNP), mediante la predisposizione di strumenti giuridicamente vincolanti per la proibizione delle armi nucleari; 

il 7 luglio 2017 l'Assemblea generale dell'ONU ha approvato il Trattato per il bando definitivo delle armi nucleari, sotto la pressione della società civile internazionale, che ha preso parte attivamente ai negoziati, diventando l'agente determinante per il raggiungimento di questo obiettivo; 

a favore hanno votato 122 Paesi, ma purtroppo tra questi non c’è l'Italia, che non ha partecipato al voto. A pesare molto fortemente è stata l'assenza ai negoziati delle maggiori potenze nucleari (USA, Russia, Francia), nonché dei Paesi aderenti alla NATO. L'Italia, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, si è di fatto adeguata al volere degli altri Paesi, soprattutto degli Stati Uniti e della NATO; 

nonostante il ruolo dell'ONU in materia nucleare sia stato sovrastato dall'unilateralismo, dalla Nato e dall'instabile gioco delle grandi potenze, il Trattato per il bando definitivo delle armi nucleari è un passo importante in avanti per il rilancio dell'azione di disarmo e l'adozione di misure efficaci. Per tali ragioni serve che anche l'Italia lo sottoscriva e lo ratifichi, consentendo al Trattato di entrare in vigore al raggiungimento della cinquantesima ratifica,

impegna il Governo:

  1. ad assumere le iniziative di competenza per sottoscrivere e ratificare, dopo la data del 20 settembre 2017, quando inizierà il processo di ratifica, il Trattato dell'ONU per la messa al bando delle armi nucleari, anche al fine di garantire la sua effettiva entrata in vigore che avverrà solo dopo la ratifica da parte di 50 Paesi;
  1. ad attivarsi presso la Nato e gli Stati Uniti, anche nel rispetto dell'impegno a non ospitare armi nucleari assunto con il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, incluso il divieto di installazione, transito, detenzione e uso di armi nucleari, per chiedere un'immediata rimozione di qualsiasi ordigno nucleare presente sul territorio italiano, liberando gli italiani dalla minaccia che essi rappresentano;
  1. ad assumere iniziative per opporsi alla decisione degli USA di secretare i report delle ispezioni sulla sicurezza degli arsenali nucleari in Italia che renderebbe impossibile per l'opinione pubblica avere accesso a informazioni minime sulla sicurezza della popolazione che abita vicino alle basi e dell'Italia;
  1. a non procedere all'acquisizione dei componenti hardware e software necessari per equipaggiare le varie versioni del velivolo F-35 delle capacità necessarie per trasportare e sganciare armi nucleari del tipo B61-12, il cui schieramento operativo sul territorio europeo è previsto a partire dalla fine del presente decennio nell'ambito dei programmi di condivisione nucleare dell'Alleanza Atlantica;
  1. a promuovere in tempi rapidi un'attenta ridefinizione del modello di difesa italiano sulla base del dettato costituzionale e della politica estera italiana, affermando un ruolo centrale per la politica europea e sostenendo il ruolo di peacekeeping per le Forze armate;
  1. a subordinare qualsiasi decisione sui sistemi d'arma da acquisire alla definizione del modello di difesa. 

    (1-01673) «MarconAiraudoBrignoneCivatiCostantinoDaniele FarinaFassinaFratoianniGiancarlo GiordanoGregoriAndrea MaestriPagliaPalazzottoPannaralePastorinoPellegrinoPlacido».

lunedì 24 luglio 2017

CGIL sempre esclusa dalle basi USA. Il comando delle forze armate USA portato in tribunale dalla Filcams-CGIL.


Nel 2017 la CGIL è ancora discriminata nelle basi USA e dopo decenni si ribella.

La Filcams CGIL intraprende una causa giudiziaria contro il comando delle forze armate USA in Italia, per “la reiterata violazione delle RSA, le rappresentanze sindacali aziendali, nominate dal sindacato nelle basi di Sigonella e Vicenza, per l' impedimento dell' attività della Filcams-CGIL cui viene negato il riconoscimento a partecipare alle trattative per la stipula del contratto di lavoro del personale civile”.

Le prime udienze si terranno a Roma e Vicenza il 27 luglio e l' 8 agosto.
“Operiamo ancora in clandestinità e i lavoratori che hanno sottoscritto la delega a Filcams-CGIL si sono esposti in prima persona” dice Maria Grazia Montagni, segretaria del sindacato di categoria della CGIL.

Vedremo come andrà la causa, la Fiom vinse un analogo processo contro la Fca di Marchionne, ma il comando USA è un' altra cosa.

domenica 23 luglio 2017

Che cosa c'è dietro la segretazione del Pentagono delle ispezioni alle atomiche in Italia ?


Che cosa c’è dietro la segretazione del Pentagono delle ispezioni alle atomiche in Italia?
di Angelo Baracca



21.07.2017 

Una notizia diffusa della giornalista Stefania Maurizi, sempre informata e rigorosa, su Repubblica online di ieri[1], sul segreto imposta dalla US Air Force e dal Joint Chiefs of Staff è indubbiamente degna di nota ed inquietante, ma il risalto che ha avuto su certi organi di stampa[2] appare a mio parere un po’ strumentale. Soprattutto a fronte del risalto enormemente minore che è stato dato – con ritardo e accompagnato da riserve – dello storico Trattato di proibizione delle armi nucleari (Tpan) stabilito il 7 luglio scorso a conclusione dei negoziati all’Onu, approvato da 122 Stati, quasi 2/3 terzi degli Stati membri dell’Onu.
Intanto, di che cosa si tratta? È (o dovrebbe essere) a tutti noto che gli Usa schierano in Italia (e in altri paesi europei, ma in numero minore) bombe termonucleari B-61 a gravità, che addirittura stanno ammodernando con lo sviluppo della testata B-61-12 con un programma del costo di $ 10 miliardi. Questo schieramento viene “giustificato” in base al nuclear-sharing(condivisione nucleare) della Nato, con l’affermazione, sia pure pretestuosa, che esso sia autorizzato dal Trattato di Non Proliferazione (Tnp) del 1970.

Il discorso è lungo e complesso. Una prima domanda sorge spontanea: la formulazione del nuovo Tpan, ed anche il lungo negoziato che l’ha prodotto, sono stati scandalosamente ignorati dai media nostrani (solo Avvenire ne ha dato tempestiva notizia, con grande risalto). Le scarse osservazioni che sono state fatte tendono a depotenziarne la portata, continuando invece ad insistere sul vecchio Tnp (tipici a questo proposito il ritardo nel dare la notizia e le riserve espresse dal Manifesto, che ora da un risalto sproporzionato alla presente notizia). È il caso di ricordare che la negoziazione del nuovo Tpan è stata indotta da una forte mobilitazione della società civile internazionale e voluta da una forte maggioranza dei paesi non nucleari all’Onu, i quali erano ormai sfiduciati da decenni di insistenza per il rispetto del Tnp, che dal 1970 prevedeva con l’Art. VI “trattative in buona fede per arrivare al disarmo nucleare, e generale, totali”: negoziati mai avviati! Non solo, ma sotto il regime del Tnp la consistenza degli arsenali nucleari proliferò da 30.000 al numero demenziale di 70.000 nel 1985, e gli stati nucleari proliferarono da 6 a 10! Insomma, nella realtà un trattato di proliferazione ad uso e consumo degli Usa!

Dopo questi sintetici richiami, che ci sembrano doverosi, vediamo che cosa realmente è avvenuto sotto il regime 37-ennale del Tnp: perché se può sembrare giusto chiedere il rispetto del Tnp, ci sembra non solo inutile, ma decisamente fuorviante, intestardirsi a chiedere da un trattato quello che evidentemente non da, mettendo invece in secondo piano la novità storica del nuovo Tpan.

Intanto riporto (con il suo consenso) un’annotazione che ricevo dall’Avv. Claudio Giangiacomo della Ialana-Italia: “all’epoca del Tnp gli Usa non comunicarono l’esistenza degli accordi sul nuclear sharing che pare sia stato comunicato solo per via riservata all’Urss (che ovviamente lo sapeva già ma aveva interessi analoghi per i paesi del patto di Varsavia)”. Ma c’è di più. La presenza delle testate nucleari sul territorio italiano rimanda necessariamente alla presenza e all’assetto giuridico delle basi militari statunitensi e Nato. Ebbene, riporto dei brani di un articolo dell’Avv. Giangiacomo apparso nel Dossier di Mosaico di Pace sul numero di Aprile scorso[3]:
“la costruzione e gestione delle basi militari è regolata da convenzioni bi- o  multilaterali tra i paesi della Nato. [I quali] sarebbero dovuti essere stati assunti nelle forme previste dagli artt. 72 ed 80 della Costituzione italiana (procedimenti abbreviati solo in casi d’urgenza, e ratifica da parte delle Camere di trattati internazionali che importino variazioni del territorio od oneri alle finanze): invece è stata utilizzata la cosiddetta procedura semplificata, non prevista dalla Costituzione ma disciplinata dalla legge 11.12.1984 n. 839, senza però, come prescritto, procedere alla loro pubblicazione, sottraendoli così sia al controllo delle Camere che del Presidente della Repubblica. Solo nel 1995 venne firmato  lo “shell agreement” (“accordo conchiglia”), l’accordo quadro fra Italia e Usa sulle basi in Italia, che venne poi pubblicato nel 1998 a seguito della gravissima strage del Cermis (quando un aereo militare americano volando a bassa quota troncò il cavo della funivia, causando 20 vittime). Rimane invece totalmente segreto il Bilateral Infrastrutture Agreement del 20.10.1954 che regola le condizioni dell’utilizzo delle basi americane in Italia, anch’esso approvato con la procedura semplificata. Pur limitandoci a quanto oggi noto, si può sicuramente affermare che le basi non possono in alcun modo ritenersi ‘extra territoriali’.”
Inoltre, saltando altre osservazioni importanti, Giangiacomo afferma che “sia le istallazioni che le medesime operazioni ed attività delle forze ospitate [nelle basi militari Usa], anche per la parte posta sotto il Comando Usa, debbano rispettare le leggi vigenti in Italia, tanto che al Comandante italiano è rimesso il controllo del loro rispetto”.

Da queste osservazioni, risulta evidente la responsabilità diretta del governo italiana per le attività svolte nelle basi militari: tanto più, ci sembra, per l’autorizzazione di ordigni terribili come le testate termonucleari.
Dal nostro punto di vista, si conferma insomma come il Tnp funga nella sostanza come una cortina dietro la quale viene surrettiziamente “legittimata” la presenza delle armi nucleari sul nostro territorio.

 Giangiacomo rileva ancora come
“indipendentemente dalla violazione del Tnp, la permanenza in Italia di ordigni nucleari sia effettuata in palese violazione della legge n. 185 del 9 luglio 1990 che espressamente prevede all’art. 1 comma 7:  Sono vietate la fabbricazione, l’importazione, l’esportazione ed il transito di armi biologiche, chimiche e nucleari, nonché la ricerca preordinata alla loro produzione o la cessione della relativa tecnologia‘.
Sebbene al successivo comma 9 lett. c) del medesimo articolo si preveda una inapplicabilità della norma in relazione ai materiali di armamento e di equipaggiamento delle forze dei paesi alleati, questa deroga è limitata al transito e non alla permanenza stabile nel territorio italiano.”
In sostanza il governo italiano, anche nella discussione di mozioni al Senato sul nuovo Trattato, seguita a trincerarsi dietro il Tnp e rifiuta di aderire al nuovo Tnap, ignorando bellamente, in primo luogo, gli obblighi che derivano dalle sue proprie leggi.
Questa lunga premessa è per me propedeutica per capire che cosa comporti ora la secretazione dei report sulla sicurezza delle atomiche schierate in Italia (non sulla “dislocazione” come titola Il Manifesto). Osserva ancora Giangiacomo: “Paradossalmente la dichiarazione del segreto apposto dal Pentagono è una ammissione della loro presenza”.

Infatti, il maggiore esperto, Hans Kristensen della Fas, precisa nell’intervista effettuata da Vignarca sul Manifesto di oggi: i report “ci confermano se una certa base abbia o meno missione nucleare. La US Air Force pubblicava tradizionalmente tali informazioni per le installazioni europee ma nel corso del tempo le ha ridotte, per rendere più difficile ad opinione pubblica (e potenziali avversari) capire quali unità fossero o meno nucleari. … Diverso quando un’intera unità fallisce un’ispezione: l’impressione di incompetenza che ne deriva è palese. Come nell’incidente del 2007 alla base di Minot, in cui sei missili nucleari da crociera vennero imbarcati per errore su un bombardiere e portati in giro per gli Stati uniti. A mio parere la decisione di secretare i risultati delle ispezioni cerca di evitare qualsiasi tipo di imbarazzo alle Forze Armate per questo tipo di errori”.

Ma di nuovo, il governo italiano è disposto o no a pretendere dagli Usa la permanenza stabile nel territorio italiano di armi nucleari, vietata dalla legge n. 185 del 9 luglio 1990? I pacifisti vogliono decidersi a pretendere dal nostro governo tale rispetto, invece di trincerarsi sul rispetto del Tnp, che finisce per fare il gioco del governo? E di schierasi compatti, invece, sull’adesione al Tpan, che dichiara l’assoluta illegalità delle armi nucleari, e impone agli Stati che intendano aderirvi di dichiarare “se ci sono armi nucleari sul proprio territorio o in qualsiasi luogo sotto la propria giurisdizione o controllo che siano possedute o controllate da un altro Stato” (Art. 2 comma c[4]), ed ovviamente a pretenderne e garantirne la rimozione per aderire al Tnap. Ed è proprio questo che il governo non vuole, in ossequio ai voleri di Usa e Nato!

Last but not least, mi sia consentito di dire che l’eccessiva drammatizzazione della notizia in questione  fa da pendant alla disinformazione sui principali rischi incombenti delle armi nucleari, il loro ammodernamento che è ben più massiccio e grave di quello delle B-61-12 (mille miliardi di $ a fronte di 10 miliardi!), nonché le migliaia di missili nucleari transcontinentali mantenuto in stato di allerta pronti al lancio immediato (launch on warning) con il rischio concretissimo di una guerra per errore: abbiamo già rischiato per lo meno una ventina di volte questo olocausto nucleare: sotto il regime vigente del Tnp!

[2]   Ad esempio Il Manifestoilmanifesto.it
[3]         “Apocalisse nucleare?”, Mosaico di Pace, aprile2017, mosaicodipace.it
[4]       Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons, undocs.org




Sabato 22 Luglio,2017 Ore: 22:50

Un buco del Manifesto: disarmo nucleare al Senato il 18 luglio


Un buco del Manifesto: disarmo nucleare al Senato il 18 luglio
MDP intende continuare ad essere leale verso la NATO



di Alfonso Navarra
Il “Manifesto” ha bucato due importanti notizie che sono scaturite dal dibattito svoltosi in Senato il 18 luglio scorso con all’ordine del giorno le mozioni sul disarmo nucleare.

Sono state bocciate due mozioni con primo firmatario Roberto Cotti (M5S) ed una con prima firmataria Loredana De Petris (SI-SEL), che avrebbero rappresentato un’occasione storica per l’Italia.

(Per tutta questa vicenda parlamentare è utilissimo il link ai resoconti ufficiali del Senato: senato.it)
L'articolo è lungo ma spero ben documentato: lettore avvisato mezzo salvato! Chi vuole e può si doti di pazienza e continui! In prossimi articoli si spiegherà meglio perché la segretezza delle ispezioni è una pagliuzza rispetto alla trave del segreto che circonda la materia nucleare. Questa trave però è una non notizia...)

La prima mozione, primo firmatario Cotti ma sostenuta da un ampio arco trasversale da ben 8 gruppi parlamentari, appunto bocciata (“respinta” in linguaggio tecnico), giaceva nei cassetti del Senato da almeno due anni. Essa chiedeva semplicemente al governo italiano che non si dotassero gli aerei F‑35, di cui sta andando avanti il progetto di costruzione di armi nucleari (e di acquisto pare per 15 miliardi di euro, miliardo più miliardo meno).

La seconda mozione bocciata, che chiameremo ancora Cotti per il primo firmatario, chiedeva, da parte del M5S, di aderire al Trattato adottato il 7 luglio 2016 dalla Conferenza di New York. Viene stabilita in questa sede nientepopodimeno che la proibizione delle armi nucleari! Cotti stesso ha sottolineato nel suo intervento che "questo passo comporterà - va detto chiaramente - che anche le bombe nucleari statunitensi che deteniamo a Ghedi e ad Aviano dovrebbero essere dismesse, perché la dismissione di queste bombe è praticamente obbligatoria ed andrebbe completata entro un mese dall'adesione dell'Italia al Trattato. Queste bombe sono infatti incompatibili con questo Trattato, mentre non necessariamente lo erano rispetto al Trattato di non proliferazione nucleare del 1968".

E’stata bocciata infine anche la mozione con prima firma della senatrice Loredana De Petris, per la quale come Disarmisti esigenti abbiamo offerto un decisivo contributo (ma anche nelle mozioni Cotti c’è stata la nostra mano). Ecco come la presentava la De Petris stessa: “Con la mozione all'ordine del giorno noi chiediamo al Governo, ancorché l'Italia non si sia pronunciata il 7 luglio, di ratificare, dopo la data del 20 settembre 2017, quando inizierà il processo di ratifica, il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari, anche al fine di garantire la sua effettiva entrata in vigore che, come è noto, avverrà solo dopo la ratifica da parte di 50 Paesi. Contemporaneamente chiediamo di avviare un percorso che porti alla liberazione del nostro territorio dalle armi nucleari presenti nelle basi e nei porti italiani e quindi a liberare le nostre popolazioni da queste servitù, che non sono semplicemente militari, ma che comportano anche la presenza di armi nucleari sul nostro territorio nonostante si sia impegnati dal TNP a non ospitarne".
Mi sia consentito citare la bellissima premessa di questa mozione: “la sussistenza delle armi nucleari su questo pianeta rappresenta una minaccia per la sopravvivenza della stessa umanità: liberarsi di tale minaccia rappresenta dunque, per i popoli della terra, un diritto istitutivo e costitutivo della stessa vita sociale”.

Bene, anzi male, come si diceva all’inizio, questa delle tre mozioni respinte è la prima notizia bucata dal “Manifesto”.

Poi c’è stato un secondo buco, che ha una certa gravità per chi si interessa al dibattito ed al comportamento della sinistra e cerca in essi motivi per sperare in trasformazioni sociali positive.

A un certo punto la seduta in aula viene sospesa per mancanza di numero legale e riprende alle 16-30, però con un cambiamento di tema: non si discute più di disarmo nucleare bensì di vaccini.
C’è però stato, in mattinata, il tempo del parere del governo sulle varie mozioni presentate, quelle che – ripetiamolo - non si riuscirà a votare, visto che la discussione verrà interrotta.
Possiamo così registrare il parere favorevole del governo sulla mozione presentata dal PD, primo firmatario Manassero: in base alla testuale “centralità del TNP” non aderisce al Trattato del 7 luglio (ma si fa un accenno alla creazione di una Zona denuclearizzata nel Medio Oriente).
Fin qui siamo, con il PD, sullo scontato. Ma abbiamo il colpo di scena: la “riformulazione” della mozione del MDP, con prima firma di Fornaro, riformulazione accettata dai proponenti, che valuta la possibilità di adesione al nuovo Trattato del 7 luglio, purché siano d’accordo gli USA e la NATO!

Qui di seguito il testo preciso della mozione Fornaro riformulata (con il suo consenso):
impegna il Governo a continuare a perseguire l'obiettivo di un mondo privo di armi nucleari, attraverso un approccio progressivo e inclusivo al disarmo, che riconosca la centralità del Trattato di non proliferazione nucleare e attraverso modalità che promuovano la stabilità internazionale, valutando in questo contesto, compatibilmente con l'obiettivo delineato, con gli obblighi assunti in sede di Alleanza Atlantica e con l'orientamento degli altri alleati, la possibilità di aderire al trattato giuridicamente vincolante per vietare le armi nucleari, che porti alla loro totale eliminazione, approvato a New York il 7 luglio 2017 dalla conferenza ONU appositamente convocata”.
Facciamo poi parlare lo stesso senatore Fornaro: “La nostra posizione è molto realistica: non possiamo dimenticare l'esistenza di accordi internazionali di difesa NATO e con gli Stati Uniti, che è un elemento che deve essere tenuto in considerazione e, conseguentemente, reso coerente con l'obiettivo, su cui siamo assolutamente d'accordo, di arrivare, in una prospettiva la più breve possibile, al divieto dell'utilizzo delle armi nucleari tout court”.

Diciamo che questi ossimori strampalati sono la linea cui si è attenuto il coordinatore della Rete Italiana Disarmo nel suo articolo apparso sul Manifesto del 14 luglio 2017.

Il TNP, pilastro di fatto del (dis)ordine nucleare, è centrale, il Trattato del 7 luglio di proibizione è di complemento, uno stimolo: cioè l’opposto di quanto ha ispirato il movimento internazionale delle 600 reti disarmiste coalizzate in ICAN per portare allo storico risultato di New York!
Facciamo conto ora, come fa il “Manifesto” che tutto quanto sopra riportato sul 18 luglio in Senato non sia avvenuto e tiriamo fuori proprio oggi (21 luglio 2017) la sparata mediatica, dall’imbeccata del mediatico Hans Kristensen, del FAS (Federation of Atomic Scientist), che le ispezioni USA sulle atomiche sono state rese ancora più segrete.

Ecco quindi una clamorosa prima pagina con editoriale di Tommaso Di Francesco a sbracciarsi che abbiamo un salto di qualità nella segretezza che circonda le armi atomiche, tirando fuori frasi che non hanno né capo né coda per chiunque si sia occupato un minimo del problema con serietà (cioè senza inseguire i bla bla dei giochini politici che vanno ad oscurare il merito delle questioni).
Frasi del tipo: “Cancellare il controllo sulle atomiche vuol dire cancellare per l’Italia la sovranità più decisiva, quella del controllo di sicurezza sul proprio territorio”.
Caro Di Francesco, quando mai abbiamo avuto il controllo sulle atomiche in Italia?
E notiamo la conclusione, della confusionarietà più assoluta: “Non vogliamo le armi nucleari, c’è un trattato ONU che le vieta e un altro che le bandisce”.
Caro Di Francesco, intendi forse dire che il TNP vieta le armi atomiche quando di fatto è la fonte di legittimazione della “deterrenza” per le potenze nucleari?
E dopo l’editoriale che inizia in prima pagina, intitolato “Armi nucleari, la servitù del silenzio”, abbiamo due intere pagine dedicate, la 8 e la 9, con articoli di Dinucci, Gonelli, Vignarca.

A proposito di quanto il TNP, alla fin della fiera, non vieti proprio alcunché c’è proprio l’intervista di Vignarca a Kristensen a chiarire meglio le cose (con il noto scienziato ad evocare tatticamente lo “spirito” violato, così come facciamo noi).
Domanda di Vignarca: La presenza di questi ordigni in Italia (e non solo) è stata criticata come una violazione del Trattato di Non Proliferazione (Tnp). Che ne pensa?
Risposta di Kristensen: “Gli accordi di «nuclear sharing» erano già in vigore prima della firma del Tnp per cui sono in qualche modo stati accettati e ricompresi nelle sue disposizioni (…). I difensori del nuclear sharing affermano che siccome le testate sono sotto il controllo statunitense in tempo di pace, con trattato sospeso in tempo di guerra, non c’è alcuna violazione”.
Mentre con il TNP dobbiamo interpretare lo “spirito” insomma, quando la lettera è fatta di accordi ricompresi e clausole come quella dell’”atomica europea” (l’Italia ha aderito con varie riserve, tra qui quella di poter partecipare ad un progetto europeo di bomba atomica); sul Trattato del 7 luglio invece il dispositivo è chiaro ed inequivocabile nel testo: gli ordigni nucleari sono proibiti anche solo nella minaccia dell’uso (quindi si mette fuori legge la deterrenza in sé). L’unico punto controverso, incerto (e decisivo) sta in come esso – divieto ONU del 7 luglio - possa valere anche per le potenze nucleari – ed i loro vassalli come l’Italia – che non hanno firmato (e non intendono farlo guarda caso proprio accampando la centralità del TNP)!
Ma quale è il trucco con il quale il TNP va a legittimare gli arsenali delle potenze nucleari?
Una inezia, a ben pensarci: basta che non indichi una scadenza al disarmo cui il ristretto club atomico sarebbe impegnato da “negoziati in buona fede”. Dall’art. VI del suddetto TNP (quello che anche noi citiamo come “obiettivo conclamato da attuare”). Per cui io Stato armato nuclearmente fino ai denti sono legittimato in ciò perché ho promesso di disarmare (ed ho promesso agli altri Stati di aiutarli nel nucleare civile), ma nessuno mi ha imposto regole sul come e sul quando rispettare la promessa!
Dopodiche arriva Manlio Dinucci che, sempre sul Manifesto di oggi, ci propina la ricetta del cannolo salato: la completa denuclearizzazione che sarebbe sia “prescritta dal TNP” (ma quando mai: è solo lo “spirito” del TNP a farlo, e quello lo invitiamo sempre a tavola facendo buon viso a cattivo gioco!) sia perché “condizione indispensabile per l’adesione italiana al trattato sulla proibizione delle armi nucleari”.
Poi, sempre sul Manifesto di oggi, si svegliano i “parlamentari per la pace” che hanno appena (molti di loro) bocciato le mozioni Cotti e De Petris a promettere fuoco e fiamme contro le nuove B-61 nucleari adattate per essere trasportate sugli F35 in via di acquisizione!
(No, in realtà sto esagerando: si limitano a richiedere alla Pinotti che venga a riferire sulla "segretezza delle ispezioni").

Forse alla “sinistra sinistrata” farebbe bene non essere servita da giochi di parole funambolici e fumisterici (il TNP è centrale, ma anche il Trattato di proibizione del 7 luglio lo è) ma con amare verità, cui prepararsi a far fronte. Tipo quella che il MDP che ha D’Alema, il bombardatore di Belgrado, tra i principali ispiratori, non intende, “realisticamente”, sottrarsi alla lealtà verso la NATO.

Per concludere: noi Disarmisti esigenti non intendiamo partecipare alla fiera del luogo comune con le parole che vanno ad esaltare un concetto e contemporaneamente il suo inconciliabile opposto nella realtà dei conflitti effettivi. Un esempio è l’articolo di Vignarca del 14 luglio che abbiamo già citato. La sua posizione sul TNP è chiara: buono ma insufficiente. E centrale. Da conservare. Buono perché ha impedito la proliferazione. Insufficiente perché non è andato molto avanti sulla strada del disarmo. Per cui - citazione testuale - “il TNP non può essere indebolito pena la proliferazione”. Da conservare quale pilastro anche del disarmo da perseguire, cui il Trattato del 7 luglio si pone come complemento. Ma su questo punto occorre essere chiarissimi. Questa non è una strategia che – movimento internazionale, rete di reti pacifiste - intendiamo perseguire a livello internazionale. Non è la strategia del Trattato per la proibizione come generale e del TNP come particolare da inglobare.
Non è la strategia che ci porterà a “battere i pugni” nel 2018 (Conferenza sul disarmo ad alto livello dell’ONU, primo confronto tra Stati nucleari e Stati non nucleari)  e soprattutto alla conferenza di revisione del TNP 2020. Non è la strategia che guarda al collegamento con il diritto ambientale e con Bonn, dove a novembre si terrà la COP 23 per attuare l’accordo di Parigi sul clima globale.
Né ci permette una vera unità strategica (tattica è da vedere) - io credo - nella stessa campagna per l’uscita dell’Italia dalla condivisione nucleare NATO. Ovviamente Vignarca con la RID (e chi intende seguirlo) è liberissimo di andare avanti su questa strada senza sbocchi della centralità del TNP da conservare (e non invece da inglobare attuando, sostanzialmente, SOLO l’art. VI).

I Disarmisti esigenti sono nati in Italia con contenuti e valori nuovi (rispetto al pacifismo specialistico di derivazione culturale anglosassone), nonché ben consapevoli che il risultato del 7 luglio è frutto di una vera e propria “rivolta” (anche se tatticamente ben giocata) degli Stati non nucleari. Di una “discontinuità”, si direbbe nell’orrendo politichese italiano. Anche noi però siamo liberi di proseguire per la nostra strada. E siamo eticamente obbligati a farlo.

Noi non intendiamo spacciare la rivoluzione disarmista in atto a livello internazionale (e vitalmente necessaria), a partire dai 122 Stati “ribelli”, come una tranquilla riforma(alla “Renzi”, potremmo dire guardando al panorama italiano), che potrà andare avanti senza sconvolgimenti, senza ribaltare l’ordine politico, culturale e giuridico esistente.
La soluzione “radicale” (radicale nel senso di andare alla radice del problema) del fondare l’eliminazione sulla proibizione è inevitabile ed è l'unica realistica. L’alternativa del ritorno all’età della pietra, che ci ricorda Vignarca alla fine del suo articolo del 14 luglio, potrebbe essere addirittura ottimistica!

Alfonso Navarra





Sabato 22 Luglio,2017 Ore: 22:48