Il Titolo che ho messo al post è la segnalazione, molto più adeguata del titolo nella pagina interna, sulla prima pagina del manifesto dell' articolo posto all'interno del giornale.
M.P.
Missione senza tetto (costa 7
milioni) né legge internazionale
La missione Gentiloni. Il costo dell'invio di navi militari italiane in Libia
non sarà inferiore a Mare Nostrum ma molto più pasticciata
EDIZIONE DEL30.07.2017
IL MANIFESTO
Innanzitutto serve un ripasso di diritto
internazionale. Il principio di non-refoulement così come enunciato nella
Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati del 1951 non lascia
margini interpretativi: l’obbligo di non inviare un rifugiato, o un richiedente
asilo, in un paese dove potrebbe essere a rischio di persecuzione, non è
soggetto a restrizioni territoriali. Se non bastasse, una esplicita norma sul
non respingimento è contenuta nell’art. 3 della Convenzione contro la tortura
del 1984, che proibisce il trasferimento di una persona in un paese dove vi
siano fondati motivi di ritenere che sarebbe in pericolo di subire tortura,
arbitraria privazione della vita o altre pene o trattamenti crudeli, disumani o
degradanti.
Anche l’art. 19 della Carta dei diritti
fondamentale dell’Unione Europea è molto chiara: il divieto di respingimento
non può in alcun modo essere aggirato, neanche quando si chiamano i
respingimenti in maniera diversa, e cioè azioni di soccorso in mare oppure
operazioni tese a stroncare il traffico di persone. Così dice la Corte europea
dei diritti umani nella parte finale della sentenza di condanna all’Italia nel
2012 sul caso Hirsi-Jamaa e altri, definendo illegali i respingimenti verso la
Libia del 2009.
E già in una sentenza del 2001 la Cedu
aveva sostenuto che la competenza giurisdizionale di uno Stato può essere
estesa extra-territorialmente se quello Stato «attraverso l’effettivo controllo
del territorio in questione e dei suoi abitanti all’estero come conseguenza di
occupazione militare o attraverso il consenso, l’invito o l’acquiescenza del
governo di quel territorio, esercita tutti o parte dei pubblici poteri che di
norma sono esercitati da quel governo».
E, più recentemente, il regolamento
istitutivo dell’agenzia Frontex del 2014 specifica ulteriormente che gli Stati
membri impegnati a prestare assistenza a qualunque natante o persona in
pericolo in mare e durante un’operazione marittima, devono assicurare che le
rispettive unità partecipanti si attengano all’obbligo internazionale di non
respingimento, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione
giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova.
Rispolverati i fondamentali, la domanda
è: può tutto questo impianto di diritto internazionale essere accantonato – e
di fatto scavalcato – se a fare il lavoro sporco davanti alle coste di Tripoli
non saranno i mezzi della Marina militare italiana ma il più esile – e tutto da
mettere in piedi – dispositivo della Guardia costiera libica?
Immaginare lo scenario che potrebbe
verificarsi nei prossimi mesi in quel tratto di Mediterraneo evoca immagini
terribili o drammaticamente comiche, se non stessimo parlando di esseri umani
disperati e già duramente provati da quanto subito in Libia prima di
imbarcarsi: gommoni carichi di donne, uomini e bambini in mare, senza motore,
alla deriva, in attesa che vengano prima intercettati dalle nostre navi
militari e poi avvicinati dalle motovedette libiche per essere riportati
indietro in modo che tecnicamente non si possa parlare di respingimento. E una
volta in Libia? A chi verranno riconsegnati? Ci saranno i campi delle
organizzazioni internazionali? Ci saranno i funzionari europei pronti a
raccogliere le richieste di asilo e a smistare i richiedenti nei diversi Stati
europei? Domande a cui oggi evidentemente non si può dare una risposta.
Tutto ciò sempre che la situazione in
mare non sia grave e i gommoni non stiano per affondare, circostanza che
comporterebbe invece l’obbligo immediato da parte dei nostri militari di intervenire,
come tra l’altro orgogliosamente fatto finora. E a quel punto? Non potremmo
riportare i profughi in Libia e, secondo quanto previsto dal diritto del mare,
ci si dirigerebbe in Italia, luogo sicuro più vicino.
Il piano del governo Gentiloni dovrebbe
costare circa 7 milioni di euro al mese, cifra di poco inferiore al costo
mensile dell’operazione Mare Nostrum. Un dettaglio su cui interrogarsi
profondamente di fronte alla svolta rischiosa e irresponsabile che si sta
attuando.
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