lunedì 12 maggio 2014

Lettera di Gandhi a Tolstoj. Londra,1 ottobre 1909


Signore,
mi prendo la libertà di richiamare la vostra attenzione su ciò che sta accadendo nel Transvaal, in Sudafrica, ormai da quasi tre anni.
In quella colonia c'e' una popolazione indiana britannica di quasi 13.000 persone. Questi indiani, per molti anni, hanno operato in condizioni di grande inferiorità giuridica. Il pregiudizio verso uomini di colore e, per certi aspetti, contro gli Asiatici, è intenso in quel paese. In buona parte, per quel che riguarda gli Asiatici, è dovuto a rivalità commerciale. Il culmine fu raggiunto tre anni fa, quando venne introdotta una legge che riguardava particolarmente gli Asiatici; a parere mio e di molti altri, questa legge era umiliante e studiata per avvilire coloro cui doveva essere applicata. Io ritenevo che la sottomissione a una legge come questa fosse incompatibile con lo spirito della vera religione. Io e alcuni dei miei amici credevamo e crediamo tuttora saldamente nella dottrina della non-resistenza al male. Ho avuto il privilegio anche di studiare i vostri scritti, che hanno lasciato una profonda impressione nella mia mente. Gli Indiani britannici, cui la situazione venne pienamente spiegata, accettarono l' idea che non dovessimo sottometterci alla legge, ma piuttosto subire la prigione o qualsiasi altra pena imposta dalla legge per questa violazione. Il risultato è stato che circa la metà della popolazione indiana, che non era in grado di sopportare la veemenza della lotta e le sofferenze della prigionia, si è ritirata dal Transvaal pur di non sottomettersi a una legge considerata umiliante.

Dell' altra metà, quasi 2500 persone, per motivi di coscienza, si sono lasciate imprigionare, alcuni di loro fino a cinque volte. Sono rimasti in prigione per periodi che variano da quattro giorni a sei mesi, nella maggior parte dei casi ai lavori forzati. Molti di loro sono andati in rovina finanziariamente. Attualmente ci sono più di cento resistenti passivi nelle prigioni del Transvaal. Alcuni di questi erano uomini molto poveri, che si guadagnavano la vita di giorno in giorno. Perciò è stato necessario mantenere le loro mogli e i loro figli con contributi pubblici ottenuti in buona parte tra i resistenti passivi. Per gli Indiani britannici questo è stato un grosso sforzo, ma a mio avviso essi sono stati all' altezza della situazione. La lotta prosegue tuttora, e non si sa quando finirà. Una cosa, comunque, alcuni di noi hanno capito con la massima chiarezza: che la resistenza passiva può vincere, e vincerà, dove la forza bruta è destinata a fallire. Ci rendiamo conto anche che, se la lotta è stata lunga, questo è dovuto in buona parte alla nostra debolezza, che ha convinto il governo che noi non saremmo stati capaci di sopportare sofferenze prolungate.
Sono venuto qui (a Londra) insieme ad un amico per incontrare le autorità imperiali e metterle di fronte al problema, con lo scopo di ottenere giustizia. I resistenti passivi hanno ammesso che non dovrebbero avere niente a che fare con le suppliche al governo; ma la delegazione è venuta su richiesta dei membri più deboli della comunità; perciò essa ne rappresenta la debolezza piuttosto che la forza. Ma, da quello che osservo qui, mi sono convinto che se venisse indetto un concorso pubblico per un saggio sull' etica e sull' efficacia della resistenza passiva, questo farebbe conoscere il movimento e farebbe riflettere la gente. Un mio amico ha sollevato un problema morale riguardo a un simile concorso. Egli sostiene che una proposta come questa non sarebbe coerente con il vero spirito della resistenza passiva, e che equivarrebbe a comprare l' opinione. Posso chiedervi il favore di darmi la vostra opinione su questo problema morale? E se ritenete che non ci sia alcunchè di scorretto nel sollecitare contributi, potreste anche darmi i nomi delle persone cui dovrei soprattutto rivolgermi perchè scrivano su questo argomento?

C'e' ancora una cosa per cui vorrei abusare del vostro tempo. Un amico mi ha dato una copia della vostra lettera a un indù sulle attuali agitazioni in India.  A giudicare dalle apparenze, questa lettera esprime il vostro punto di vista. Il mio amico ha l' intenzione di farla stampare e distribuire in 20.000 copie, e anche di farla tradurre, tutto a sua spese. Però non siamo riusciti a procurarci l' originale, e non ci sembra giusto stampare la lettera senza essere sicuri dell' esattezza della copia e del fatto che sia stata scritta da voi. Mi permetto perciò di accludere una copia della copia: considererei un favore se voleste cortesemente farmi sapere se la lettera è stata scritta da voi, se la copia è esatta, e se approvate la sua pubblicazione nel modo che ho precisato sopra. Se desiderate aggiungere qualcosa alla lettera, fatelo pure. Vorrei inoltre arrischiarmi a darvi un suggerimento. Nell' ultimo paragrafo voi sembrate voler dissuadere il lettore dal credere alla reincarnazione. Io non so (se non è irrispettoso da parte mia dire questo) se voi abbiate studiato in particolare tale questione. La reincarnazione o trasmigrazione è una credenza che è molto cara a milioni di persone in India, e anche in Cina. Per molti, si potrebbe dire, è materia di esperienza e non più soltanto di adesione accademica. La reincarnazione dà una spiegazione ragionevole ai molti misteri della vita. Per alcuni resistenti passivi che sono passati per le prigioni del Transvaal, è stata la maggior consolazione. Il mio scopo nello scrivervi questo non è di convincervi della verità di questa dottrina, ma di chiedervi per favore di togliere la parola “reincarnazione” dalle cose da cui volete dissuadere il vostro lettore. Nella lettera, avete citato molti brani di Krishna e fatto riferimento ad altri passi. Vi sarei grato se mi voleste dare il titolo del libro da cui sono state tratte queste citazioni.
Vi ho affaticato con queste lettera. Mi rendo conto che coloro che vi onorano e si sforzano di seguirvi non hanno alcun diritto di abusare del vostro tempo; anzi è loro dovere astenersi il più possibile dal disturbarvi. Io, tuttavia, pur essendovi completamente sconosciuto, mi sono preso la libertà di rivolgermi a voi nell' interesse della verità, e per ottenere il vostro consiglio su problemi per la cui soluzione voi avete lavorato tutta la vita.
Con rispetto, rimango vostro servo ubbidiente.


M.K. Gandhi

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