martedì 25 novembre 2014

La domanda che avrei voluto fare a Loretta Napoleoni ma mi è stata "stoppata" da Amedeo Ricucci


“Nel Medio Oriente c’è la tendenza alla disgregazione degli stati nazionali ma questo non incide più negativamente sulla produzione petrolifera, anzi spesso favorisce l’ incremento della stessa”

Lunedì 24 novembre l’ economista Loretta Napoleoni presentava alla Libreria Feltrinelli della Galleria Sordi, proprio davanti a Palazzo Chigi, il suo ultimo libro sull’ Isis. L’ incontro è stato introdotto da Amedeo Ricucci, giornalista Rai rapito dall’ Isis nell’ aprile 2013. Dopo alcune domande poste dal giornalista è stato il pubblico a intervenire ed anch’ io ho fatto una domanda.  In sostanza ho chiesto a Loretta Napoleoni.

“La disgregazione degli stati nazionali in Medio Oriente è una tendenza, o rischio, su cui concordano  tutti gli osservatori. La Libia è attualmente divisa tra due governi, uno sostenuto da Egitto l’ altro da Qatar e Turchia, l’ Iraq è diviso tra Kurdistan iracheno, la zona controllata dall’ Isis, la parte ancora sotto il governo centrale di Baghdad. La Siria è divisa tra quello che controlla ancora Assad, il territorio curdo siriano e la zona  occupata dalle milizie antiAssad, Isis e altre formazioni.
Però, in questa situazione frammentata, la produzione di petrolio continua senza troppe scosse, anzi in Libia nel 2014, anno che ha visto il paese conteso tra due governi, la produzione è aumentata ed è tornata vicina al milione di barili il giorno”.

Ma, non appena ho accennato a questa stima sulla produzione petrolifera libica, Amedeo Ricucci mi ha interrotto ed ha affermato che in Libia c’è l’ anarchia e non è vero che la produzione è aumentata. A questo punto, come in altri momenti della presentazione del libro, c’è stato un vivace scambio di battute. Io ho replicato che anche l’ AspoItalia, associazione per lo studio del picco petrolifero, sezione italiana, mi aveva confermato il dato. In effetti in uno scambio di commenti un esponente dell’ Aspo che cura il sito web dell’ associazione aveva confermato l’ aumento della produzione libica nel 2014 e, comunque, ero sicuro di aver letto più volte di questo aumento di produzione nell’ ultimo anno.

Uscito dall’ incontro, ho ricercato su internet dati sulla produzione petrolifera libica negli ultimi tempi ed ho avuto conferma del trend nel 2014. Ho letto anche altri particolari sulle modalità che  hanno portato la Libia a tornare, dopo la guerra e il crollo del 2011, nel 2013 ad una produzione attorno al milione di barili il giorno, subire poi  un nuovo crollo nel primo trimestre del 2014, tornando  a 200.000 barili/giornalieri, e risalire gradualmente  fino a 900 mila b/g  proprio nei mesi del 2014 in cui lo scontro tra le due principali fazioni si radicalizzava.

Intanto segnalo questa mia domanda che non ha avuto risposta da Loretta Napoleoni perchè Amedeo Ricucci mi ha contestato un dato vero.

Ma questo episodio mi ha convinto anche che questa sia una questione cruciale, cioè che:

“C’è la tendenza alla disgregazione degli stati nazionali e questo non incide più sulla produzione petrolifera, anzi spesso favorisce l’ incremento della stessa”.

Mi riprometto di approfondire ulteriormente il tema, ma lo voglio segnalare immediatamente. Perchè volevo farlo lunedì e mi è stato impedito.


Marco Palombo
attivista contro la guerra

venerdì 7 novembre 2014

Un commento di Alfonso Navarra al mio pezzo sul 2007



La sinistra cd radicale in Italia dovrebbe "rifondarsi" innanzitutto depurandosi dal vecchio sottoceto politico "poltronaro".
Siccome - per fare un solo esempio - RifCom non riesce a scrollare dalla segreteria l'ex ministro del lavoro Ferrero, e a dissolvere la sua "cordata", sarebbe allora forse compito dei movimenti, per il tramite degli attivisti con interessi politici complessivi, prendere con intelligenza le distanze da questi zombies politici, che trasformano in materia putrefatta tutto ciò che toccano.
In realtà siamo sempre a fare i portatori d'acqua per costoro, nelle elezioni che designano i rappresentanti istituzionali.

L'ultimo nostro errore - lo possiamo ora dire? - è stato la Lista TSIPRAS che ha eletto due giornalisti di Repubblica (Spinelli e Maltese) e una rifondarola (Fiorenza).
Ora stiamo correndo - è la logica delle cose - verso nuove elezioni politiche anticipate.
Possiamo aspettarci una mitragliata di appelli che inviteranno all'unità dietro il solito personaggio-leader che deve fare da foglia di fico a coprire una passione che da tempo non c'è più travolta dagli appetiti di "dittarelle" che sono interessate solo a parassitare un po' di risorse distribuite dal sistema politico ai mestieranti della rappresentanza.

Landini ha capito - credo - che insieme a costoro non si va da nessuna parte e fa bene a tenersi stretta la FIOM per tentare di scalare la CGIL.
In Italia purtroppo abbiamo ancora bisogno di sindacati che - con o senza bandiere rosse - sappiano semplicemente fare il loro mestiere...
Possiamo uscire da questa gabbia in cui noi stessi ci siamo rinchiusi?
Sì lo credo. Podemos. Ma dovremmo ascoltare più i giovani "indignati" (che si riallacciano al grande vecchio Hessel) che non chi si attacca alle patacche di vecchie simbologie che significano qualcosa di indeterminato solo per ultimi giapponesi che hanno perso ogni rapporto con la contemporaneità.
 
 

Un commento di Nella Ginatempo al mio pezzo sul 2007

Caro Marco, grazie per questa dettagliata ricostruzione. Mi hai fatto ricordare tante cose che avevo dimenticato.
Quali lezioni trarre da questa storia ? Come è stato possibile che un grande movimento si sia squagliato come neve al sole ? 

 E quello che si trae dalla tua ricostruzione è la tenacia di alcuni pezzi del movimento che cercano di riorganizzarsi e di continuare le iniziative nonostante la crisi politica del pacifismo dovuta  alle scelte del "governo amico". Quest'ultimo aveva prodotto molte nefaste conseguenze: il voto favorevole alla guerra in Afghanistan e alla base Dal Molin, condiviso da Rifondazione al governo e giustificato dalle maggiori associazioni vicine al centrosinistra come ARCI e CGIL. A sua volta  questi processi travolgono la precaria unità durata alcuni anni nel movimento dei social forum dove attorno al NO ALLA GUERRA SENZA SE E SENZA MA si erano incontrati sia moderati che radicali.  L'asservimento della sinistra italiana alla NATO diventa ormai insostenibile per i settori radicali del movimento, così Bastaguerra, social forum nazionale, si svuota perchè si svuotano i vari social forum dopo le spaccature tra associazioni pro governo e quelle anti governo. I partiti come Rifondazione e comunisti Italiani escono di scena dalle sedi del movimento perchè hanno tradito il loro ruolo di rappresentanti del NO ALLA GUERRA e vivono una crisi verticale di consenso. 

 I pezzi che resistono sulla scena politica dopo la crisi dei social forum producono alcune iniziative rilevanti tra cui soprattutto la manifestazione contro Bush e le carovane contro la guerra legate alla legge di iniziativa popolare contro le basi militari. Iniziative svolte senza e contro i partiti di governo, senza e contro le associazioni amiche del governo tra cui i sindacati confederali. Alla fine questi percorsi porteranno alla costituzione del Patto permanente contro la guerra che si rivelò all'inizio una buona scelta organizzativa, foriera di potenziali sviluppi.

 Ma purtroppo le divisioni interne tra i vari gruppetti e grupponi politici che la componevano condussero al naufragio questa esperinza, viziata da politicismo e autoreferenzialità dei vari componenti: differenti fazioni trozkiste con differenti rapporti con Rifondazione, rivalità tra Cobas e Disobbedienti, contrasti tra Cobas e altrisindacati di base con la rete dei comunisti, gruppettarismo esasperato. Credo ch una futura auspicabile rifondazione dei movimenti dovrebbe partire da una anlisi degli errori compiuti e dei successi che, nonostante tutto, la partecipazione popolare continuò a produrre ancora per qualche tempo, fino ad esaurire la prorpia spinta per mancanza di un punto di riferimento nazionale organizzato e per il crollo di molte speranze.

giovedì 6 novembre 2014

2007, contro le guerre senza la sinistra istituzionale

2007, contro le guerre senza la sinistra istituzionale
di Marco Palombo

Negli ultimi anni molti hanno parlato di scomparsa del pacifismo italiano, passato dalla enorme mobilitazione del 2003 contro la guerra in Iraq all' assenza completa durante i bombardamenti italiani in Libia.

In realtà tra il 2003 e il 2011 ci sono stati dei passaggi intermedi che proverò a ricordare affinchè da quelle mobilitazioni si possano ricavare idee per ricostruire un movimento nazionale contro le guerre. Credo infatti che una parte della sinistra storica protagonista del 2003 sia ormai legata alle strategie di Nato e UE e non più disponibile a iniziative che disturbino le due istituzioni internazionali.

A questo proposito è interessante ricostruire il 2007. In quei dodici mesi ci sono stati episodi che hanno rappresentato una cesura netta tra due fasi molto diverse del movimento pacifista. Gli appuntamenti di quell' anno sono stati molti e quindi sarò schematico e sintetico, sperando che queste righe siano solo l'inizio di una discussione più ampia.

Il 17 febbraio a Vicenza si svolge una manifestazione nazionale contro la costruzione della nuova base USA Dal Molin. La questura stima che abbiano sfilato 80.000 persone. Contribuiscono alla grande partecipazione anche Prc e CGIL che organizzano numerosi pulman da tutta Italia.

Il giorno seguente a Vicenza si riuniscono anche i primi firmatari di un appello per il ritiro dei militari italiani dall' Afghanistan. Le settanta persone presenti si danno un nuovo appuntamento a Firenze per il 3 marzo, da questo momento si chiameranno rete Semprecontrolaguerra perchè, nonostante il governo amico, la sinistra faceva scelte di guerra e questo movimento cercava una propria autonomia politica.

Il 21 febbraio abbiamo il voto al Senato su una mozione di politica estera presentata da Anna Finocchiaro, il documento ha come tema centrale la partecipazione alla guerra in Afghanistan. Non è la legge per il rifinanziamento per le missioni militari all' estero che avrebbe potuto contare anche sul voto del centrodestra, ma una mozione politica e il centrodestra vota contro. Mancano però anche alcuni voti alla maggioranza, tra questi quelli del senatore Turigliatto (Prc) e Fernando Rossi (PdCI ma già in procinto di uscire dal gruppo parlamentare) che al momento del voto escono dall' aula, di fatto astenendosi. Il risultato della votazione in aula vede 158 voti favorevoli, 135 contrari e 24 astensioni, sommate poi ai voti contrari. Prodi da le dimissioni, Ministro degli Esteri era Massimo D'Alema.

Il 3 marzo a Firenze si riunisce la rete Semprecontrolaguerra. Il giorno dopo nella città toscana si svolge anche un incontro della rete Disarmiamoli al quale partecipano alcuni attivisti della rete Semprecontrolaguerra. Nei due appuntamenti si lancia la manifestazione nazionale nel quarto anniversario dell' inizio della guerra all'Iraq.

Il 17 marzo si svolge la manifestazione a Roma contro le guerre in Iraq e Afghanistan. La Giornata mondiale contro le guerre è stata lanciata dal Forum Mondiale di Nairobi per il quarto anniversario dell' inizio della guerra all' Iraq, 20 marzo 2003. Partecipano al corteo almeno 10.000 persone senza nessuna presenza della sinistra istituzionale. Alla fine della manifestazione, in Piazza Navona, il Partito Umanista disegna un enorme simbolo della pace formato da centinaia di persone.

Un video con i servizi sulla manifestazione di TG1, TG2 e TG3.

15 aprile. Un' assemblea indetta a Bologna dalle reti Semprecontrolaguerra, Disarmiamoli e Fermiamo chi scherza con il fuoco atomico, lancia la carovana contro la guerra. Tre camper partiranno da diversi punti d' Italia e si ritroveranno a Roma il 2 giugno in una manifestazione davanti a Castel Sant'Angelo che si propone come alternativa alla tradizionale parata militare del 2 giugno ai Fori Imperiali. La carovana vuole lanciare la legge di iniziativa popolare contro le basi militari in Italia. L.I.P. Che raccoglierà 70.000 firme e sarà presentata in Parlamento nel 2008 senza essere però mai discussa fino ad oggi.

Intanto il 9 giugno è prevista una visita a Roma di George Bush. Un appello convoca una manifestazione nazionale che si concluderà in Piazza Navona, i primi firmatari sono le associazioni:
Action, Attac-Italia, Sinistra critica, Bastaguerra, rete Semprecontrolaguerra, Disarmiamoli, Cub, Cobas, Global meeting Network (almeno 30 centri sociali e tute le sedi italiane di Ya Basta), Partito Comunista dei lavoratori, Partito Umanista, Rivista Erre, Rete dei comunisti, UniRiot (Roma, Bologna, Napoli, Torino) e molti altri collettivi.
Le prime firme individuali all'appello sono di:Cinzia Bottene, Olol Jackson (Presidio permanente No Dal Molin), Sandro Bianchi, Giorgio Cremaschi, Mauro Bulgarelli, Franco Turigliatto, Fernando Rossi (senatori), Vauro, Tommaso Di Francesco, Manlio Dinucci, Luigi Pasi, Margherita Recaldini (Sdl intecategoriale),Nella Ginatempo e Melo Franchina (Bastaguerra), Doretta Cocchi (Bastaguerra Firenze).

Per la stessa giornata Fiom e Prc, insieme all' associazionismo vicino all' allora centrosinistra, convocano una manifestazione-presidio in Piazza del Popolo: “Con l' altra America contro tutte le guerre di Bush”. Qualcuno vorrebbe un' iniziativa unitaria e viene lanciato un terzo appello in questa direzione. Primi firmatari: Lidia Menapace, Alex Zanotelli, Haidy Giuliani, Franca Rame, Gianni Minà, Giannini.

Ma le due iniziative si svolgono distinte e 100.000 manifestanti sfilano da Piazza della Repubblica a Piazza Navona, mentre in Piazza del Popolo, convocate dalla sinistra che appoggia il governo Prodi, si concentrano solo 1.000 persone.

Qui una galleria di foto, proposta da Repubblica.it, delle due manifestazioni

Il 25 novembre un' assemblea a Roma convocata da Reti e movimenti No War discute delle iniziative future. Nasce il Patto permanente contro la guerra che unisce: reti contro la guerra, partiti della sinistra che non appoggiano il governo Prodi, sindacati di base, comitati territoriali contro le basi militari.

L'anno si conclude con una nuova grande manifestazione a Vicenza il 15 dicembre. Molto inferiore nei numeri a quella del 17 febbraio (ma parteciparono comunque alcune decine di migliaia di manifestanti), era ben visibile una forte presenza della comunità locale e degli ambienti cattolici. Nel corteo è presente anche il Prc e questo suscita qualche polemica visto che il partito continua a sostenere il governo Prodi ed a votare tutte le sue scelte.

Nel 2008 si conclude la raccolta di firme per la L.I.P: sulle basi militari e 70.000 adesioni certificate vengono consegnate alla Camera dei Deputati.

Nell' aprile 2008 le elezioni politiche vedono la scomparsa dal Parlamento nazionale della sinistra radicale che con la lista Sinistra Arcobaleno, composta da Prc, PdCI, Verdi, Sinistra democratica (ex Ds non entrati nel Pd), non raggiunge il 4% dei voti. Molti rimangono convinti che la causa principale di questa sconfitta sia stato l' atteggiamento tenuto nei due anni di Governo Prodi su guerre e politica estera.

sabato 1 novembre 2014

M.Correggia-Una storica rivolta nel segno di Sankara?

Risultati immagini per sankara
da  www.ilmanifesto.info

Una storica rivolta nel segno di Sankara?
—  Marinella Correggia, 1.11.2014
Burkina Faso. Voci dalla piazza che insorge

Il Bur­kina Faso festeg­gia la par­tenza di Blaise Com­paoré. Ma torna a cam­mi­nare al ritmo di Tho­mas San­kara – a 27 anni dal suo assas­si­nio — oppure corre il rischio di essere un’altra «pri­ma­vera» mani­po­lata? L’intensa espe­rienza rivo­lu­zio­na­ria san­ka­ri­sta fu inter­rotta nel 1987 con un san­gui­noso colpo di Stato, ordito pro­prio dal pre­si­dente appena fug­gito in Costa d’Avorio, con con­ni­venze di potenze regio­nali e occidentali.

A Oua­ga­dou­gou, Samsk Le Jah, musi­ci­sta, con­dut­tore radio­fo­nico, è uno dei lea­der della pro­te­sta. Per lui non c’è dub­bio: «Gli ideali di Tho­mas sono al cen­tro del pro­cesso: la dignità, il lavoro sulle coscienze, il coin­vol­gi­mento di tutti…». Il movi­mento di Samsk, «Balai citoyen» (scopa dei cit­ta­dini) è mobi­li­tato da oltre un anno, ma ha alle spalle un lungo periodo di edu­ca­zione e sen­si­bi­liz­za­zione — soprat­tutto dei gio­vani – per il quale Samsk e gli altri hanno rischiato la vita. Adesso occor­rono vigi­lanza e con­trollo continui.

Il «Balai citoyen» in un comu­ni­cato di ieri — che si con­clude con «la Patria o la morte, abbiamo vinto» — chiede di evi­tare i sac­cheggi e le distru­zioni di strut­ture civili, ed esorta le «popo­la­zioni degne del Faso a rima­nere vigi­lanti nel periodo di tran­si­zione che si apre, affin­ché la dolo­rosa vit­to­ria non sia con­fi­scata da poli­tici o mili­tari di parte». Samsk spiega che «non è un colpo di Stato mili­tare»: se l’esercito non si fosse assunto le pro­prie respon­sa­bi­lità, la città sarebbe caduta nel caos. Il capo di Stato di tran­si­zione scelto dai mili­tari, il colon­nello Isaac Ziba, ha dichia­rato che è stato il popolo a fare la rivo­lu­zione e l’esercito non la scipperà.

Ma come con­tra­stare le ine­vi­ta­bili inge­renze esterne? L’obiettivo uni­fi­cante dei mani­fe­stanti è stato far cadere il pre­si­dente. Finora li hanno lasciati fare. Ma l’opposizione par­ti­tica più citata non è certo quella dei par­titi san­ka­ri­sti (ne sono nati tanti nei decenni) ma quella di Zéphi­rin Dia­bré dell’Upc (Union pour le pro­grès et le chan­ge­ment), la fazione ben accetta alla Francia.

Ne è cosciente Alas­sane Dou­lou­gou, che vive da tempo in Cam­pa­nia dove fa il media­tore cul­tu­rale, oltre che il musi­ci­sta e l’attore: «Certo che c’è da temere. San­kara ha pro­vato sulla sua pelle cosa vuol dire ribel­larsi alla potenza colo­niale. Com­paoré, ora sca­ri­cato, è stato per decenni l’alfiere degli inte­ressi di Parigi nell’area. Altro che media­tore di pace, tutti sanno che era un pom­piere piro­mane! C’è stato il suo zam­pino nei con­flitti in Sierra Leone, Togo, Costa d’Avorio dove appog­giò Ouat­tara, Togo, Cen­tra­frica». Alas­sane sogna per il suo paese «una vera rivo­lu­zione, sennò che vuol dire demo­cra­zia? Biso­gna ricreare uno Stato con il con­senso di tutti e biso­gna fare come i latinoamericani.

San­kara era amico di Fidel e del Nica­ra­gua. Cha­vez venne dopo, ma più volte ha citato il lea­der del paese degli inte­gri». In piazza – nei prin­ci­pali cen­tri del Bur­kina Faso — di certo «ci sono ragazzi come quel dicias­set­tenne che nel 2007 sulla tomba di Tho­mas ci venne a dire pian­gendo che aveva capito e che nel suo remoto vil­lag­gio non avrebbe mai più inneg­giato a Compaoré».

A pro­po­sito: che ne è del mondo con­ta­dino, delle mag­gio­ri­ta­rie cam­pa­gne, che la rivo­lu­zione degli anni 1980 mise al cen­tro, per essere però stron­cata in mezzo al guado, troppo pre­sto? «Pur­troppo Com­paoré e il suo governo hanno con­tato sulla mise­ria delle cam­pa­gne, dispen­sando pic­coli favori, lavo­retti. Occor­rerà tempo», spiega ancora Alas­sane.
Da Oua­ga­dou­gou, Samsk ci pre­cisa il con­te­nuto sociale che deve avere la rivo­lu­zione– «La nostra Carta degli obiet­tivi mette le que­stioni sociali al cen­tro: sono i popoli che fanno le rivo­lu­zioni, e se i popoli non sono in buone con­di­zioni la rivo­lu­zione rimane una speranza.

Quindi occor­re­ranno riforme in tutti i campi. Pochi ric­chi si sono acca­par­rati tante terre. Salute e istru­zione sono state sabo­tate. Non si sa dove andava il denaro rica­vato dalle espor­ta­zioni minerarie…»

venerdì 31 ottobre 2014

Burkina, Compaorè dimesso, ma sarà davvero il popolo a scegliere il futuro ?

Patrizia Donadello

Compaorè estromesso dal governo del Burkina Faso.

Speriamo che non sia una scelta dell' Occidente ma che questo possa aiutare i sostenitori di Sankara, presidente fino al 1987 e ucciso quasi sicuramente per ordine di Compaorè, a tornare a partecipare alla vita pubblica.

martedì 28 ottobre 2014

Roma,una piccola luce per illuminare la notte di Aleppo



Ci può essere ancora speranza? Noi crediamo proprio di sì e dalle idee siamo passati ai fatti: sabato abbiamo raccolto 2.783 euro!! La somma servirà alle attività della parrocchia "San Francesco d'Assisi" di Aleppo, in particolare per le necessità dei gruppi parrocchiali.

Sabato 25 abbiamo realizzato l'evento "A light for Sirya" al Palatino: tanta gente, più di ogni nostra aspettativa, e insieme abbiamo ascoltato con attenzione la situazione drammatica dei nostri fratelli in Siria. Immagini, parole, preghiera e musica per ricordare i cristiani di Aleppo che a Novembre raggiungerà fra Ibrahm Alsabagh.

Un grazie sentito a tutti coloro che hanno partecipato, sono stati segno importante di una presenza che crede che il male non può avere il sopravvento. Perchè l'ultima parola non è data alle guerre, alla distruzione e all'odio.

Grazie in particolare a fra Luigi Recchia, Adnane Mokrani e a padre Ibrahim per la loro preziosa presenza, all'OFS di S. Bonaventura al Palatino che ci ha preparato il buffet, grazie agli Scout del "Cisterna 1" che ci hanno aiutato enormemente nella logistica, ad Alessandro, Monica e Riccardo che hanno ideato e coordinato l'evento e ai frati minori del convento di San Bonaventura! E tanti tanti altri (Igor, Andrea, le mamme appresso ai bimbi, ecc...)! Grazie a tutti!
Speriamo che questo spirito creato il 25 sera non svanisca. In pentola già bollono altre idee, vi faremo sapere presto!
Piccoli Passi Possibili

martedì 14 ottobre 2014

Osservatorio sul petrolio e sui nessi con le guerre. 14 ottobre 2014.


Negli ultimi tre/quattro mesi si è verificato un brusco calo del prezzo del petrolio, il Brent è passato da 115 $/b a 87 $/b (14 ottobre), in coincidenza con una guerra in pieno Medio Oriente che coinvolge molti dei paesi con maggiori giacenze di petrolio. Un fenomeno mai accaduto.
Si legge che il prezzo potrebbe ulteriormente scendere fino a 70 $/b.

La prima causa di questo calo è stata individuata, per lo più dagli osservatori dei media generalisti, nella crescita della produzione USA dopo lo sviluppo della tecnica per l'estrazione dello shale gas.
In effetti la produzione USA è cresciuta negli ultimi anni di 3 mb/g (milioni di barili al giorno) su una produzione mondiale giornaliera di circa 85 mb/g. A questo aumento di produzione vanno aggiunti negli USA risparmi nel consumo di petrolio per 2 mb/g dal 2007. Risparmi che non sono stati difficilissimi visto che gli Stati uniti con il 5% della popolazione mondiale consumavano circa il 25% del petrolio mondiale.

Gli Usa consumano ancora oggi più petrolio di quanto ne producano, ai 10 mb/g prodotti devono aggiungere per i loro consumi ancora 7-8 mb/g acquistati all' estero. Tuttavia è  vero che circa 5 mb/g che prima venivano venduti negli USA ora sono nel mercato mondiale ad aumentare l' offerta. L' aumento USA comunque si è svolto nell' arco di cinque anni, il calo attuale è degli ultimi 3/4 mesi.

Ma anche l' Arabia saudita nella congiuntura attuale ha avuto un comportamento anomalo. Invece di operare con gli altri paesi Opec ad una diminuzione della produzione per tenere alto il prezzo, ha aumentato la sua quota prodotta ed ha diminuito i prezzi ai suoi clienti.  La spiegazione addotta per questo comportamento è stata la necessità di difendere la sua quota di mercato, non dagli USA, che ancora consumano più di quello che producono, ma dall' insieme dei produttori mondiali.

E' vero anche che la discesa del prezzo del greggio crea molti problemi al Venezuela (primo paese al mondo per riserve accertate) ed alla Russia (secondo paese produttore). Tanto che Caracas ha chiesto l' anticipo del vertice Opec previsto per il 27 novembre che discuterà inevitabilmente di questi temi.

Sul mercato sono presenti anche quantitativi di greggio al di fuori del controllo di stati nazionali. Il Kurdistan iracheno ora esporta il suo greggio con la protezione dell' Occidente. Un commercio che fino a giugno era già presente, ma senza il consenso del governo centrale iracheno. Il petrolio dell' Isis, secondo alcuni media (tra i quali la Stampa e Repubblica), potrebbe essere immesso, a 40$/b, direttamente nel mercato ufficiale della grandi compagnie petrolifere (per mezzo di passaggi illegali).

La Libia nell' ultimo anno si è divisa per i continui scontri armati interni e ad oggi la Tripolitania è controllata  dal Congresso generale nazionale (Gnc) a maggioranza islamista, mentre la Cirenaica è sotto il Consiglio dei rappresentati uscito dalle elezioni di giugno.  Bengasi a sua volta è controllata dagli islamisti come Ansar el Sharia. Nonostante questo, la produzione di greggio è risalita da circa 0,300 mb/g a 0,900 mb/g. Ma la raffineria di Zawya, le piattaforme offshore e la base ENI di Mellitah, sono controllate dagli islamisti e sicuramente quindi finanziano  milizie armate estranee ad ogni stato nazionale. I prezzi e la quota di produzione saranno anch' essi al di fuori di ogni accordo internazionale e finalizzate solo ai bisogni finanziari immediati delle milizie armate islamiche.

E' iniziata dunque una fase di grosse turbolenze nel mercato del greggio dalle conseguenze imprevedibili. Il crollo del prezzo per esempio mette in grossa difficoltà sia il Venezuela e la Russia sia la produzione USA da shale gas che costa ben 60$/b di sola estrazione e che non è quindi conveniente in caso di ulteriori ribassi del prezzo.

Per capire qualcosa della situazione non resta che seguirla costantemente.

Marco Palombo
14 ottobre 2014.

giovedì 9 ottobre 2014

La scarsa libertà religiosa nelle petromonarchie del Golfo che combattono l'Isis


Dal rapporto 2012 - Libertà religiosa nel mondo- della Fondazione di diritto pontificio “Aiuto alla Chiesa che soffre”:

ARABIA SAUDITA
Area 2.149.690 Km2 - Popolazione 27.136.977

Il Regno wahhabita continua ad essere indicato da tutti gli osservatori internazionali come un "paese di particolare preoccupazione" (CPC,Country of Particular Concern) per la persistenza di violazioni gravi della libertà religiosa, nei fatti e nelle disposizioni legislative.

CRISTIANI
Negli ultimi anni si sono moltiplicate le dichiarazioni in cui i responsabili sauditi hanno affermato la possibilità per i lavoratori non musulmani di celebrare il proprio culto in privato. Tuttavia la nozione di "privato" rimane vaga. Questa posizione , sebbene ufficiale, viene comunque violata, dato che continuano a verificarsi casi in cui la polizia religiosa fa irruzione in abitazioni private in cui si svolgono simili riunioni di preghiera.

Nel periodo esaminato si sono verificati diversi casi di arresto di fedeli cristiani, in alcuni casi, la notizia non sarebbe stata diffusa, per garantire il buon esito delle trattative per il loro rilascio che venivano stabilite tra Governo Saudita e il Paese di provenienza degli arrestati.

Altro motivo di preoccupazione per i cristiani (come per tutti i non musulmani residenti nel regno) è l' eccessivo lasso di tempo - settimane - necessario per l' espatrio delle salme di lavoratori stranieri deceduti. L' Arabia saudita non autorizza la sepoltura nei propri territori di non musulmani e su tale questione ha richiamato l'attenzione una delegazione americana in visita nel Paese.

SCIITI E ISMALITI
Nonostante rappresentino tra il 10-15% della popolazione, sciiti e ismaeliti sono considerati cittadini di seconda categoria, tanto che non ce ne sono nel Governo e solo cinque dei 150 membri della Shura (Consiglio consultivo) appartengono a questa comunità; sono poi pochissimi quelli che occupano posizioni di rilievo negli organi dello stato, in particolare nelle agenzie di sicurezza.

VARII
Nel febbraio 2012 per sfuggire ad accuse di apostasia e di blasfemia, il 32enne blogger Hamza Kashgari ha lasciato l' Arabia saudita e si è rifugiato in Malesia. Kashgari aveva ricevuto diverse minacce di morte per aver postato su Twitter commenti ritenuti poco conformi con l'Islam. Dopo alcuni giorni, le autorità della Malesia lo hanno rispedito in Arabia, dove è stato rinchiuso in un carcere di Jeddah in attesa del processo.

POLIZIA RELIGIOSA
Gli agenti della polizia religiosa vigilano sull' applicazione delle leggi che regolano la sfera civile, religiosa e sessuale nel Paese. Tra i loro compiti c'è quello di verificare che i negozi siano chiusi durante la preghiera, fermare le coppie non sposate e le donne non coperte dalla testa ai piedi assicurandosi anche che esse non guidino automobili.

BARHAIN
Area 678 Km2 - Popolazione 1.234.571

La Costituzione stabilisce che l' Islam è la religione di Stato e che la Sharia è fonte del diritto. Pur essendovi una maggioranza sciita, il potere politico è saldamente nelle mani di una famiglia sunnita.

Gli sciiti lamentano da tempo discriminazioni religiose e politiche da parte della monarchia, sostenendo che i distretti elettorali per il Parlamento sono stati disegnati in modo da assicurare una maggioranza ai sunniti, che sunniti di altri paesi sono stati naturalizzati e reclutati nell' esercito e nella polizia, che nell' impiego pubblico si trovano soprattutto sunniti. Specie nei settori della difesa e dell' interno e soprattutto nei ruoli di alto livello, che essi sono stati favoriti nell' assegnazione delle case e in genere negli interventi del governo.

MOSCHEE SCIITE
Nel paese si contavano nel 2011 circa 750 moschee sciite e 460 sunnite. Nel bilancio del governo la somma stanziata per la costruzione di nuove moschee viene suddivisa tra le varie comunità, ma nei nuovi centri urbani, che comprendono una popolazione mista, le autorità tendono a privilegiare la componente sunnita.

In un comunicato congiunto pubblicato il 18 maggio, cinque leader religiosi sciiti hanno denunciato la distruzione di moschee sciite. Secondo il ministero della giustizia le costruzioni non erano moschee ma strutture abusive costruite senza licenza. La replica dell' ufficio beni religiosi sciiti del Bahrein ha affermato che alcune moschee sono state costruite 20-30 anni fa, alcune molti secoli fa, e che la loro presenza precede le norme governative sulle licenze.

KUWAIT
AREA 17.818 Km2 Popolazione 3.582.054

La costituzione del 1962 dichiara l'Islam religione di Stato e la Shari'a fonte principale della legislazione. Ma all' art 29 viene affermato che “tutti gli uomini sono uguali in dignità umana nei diritti e nei doveri pubblici di fronte alla legge, senza distinzione di razza, origine, lingua o religione”.

DIFFICOLTA' PER MINORANZE CRISTIANE
Decisioni giudiziarie o atti amministrativi sollevano periodicamente difficoltà alle minoranze cristiane. Nel novembre 2010 un giovane convertito dall' Islam al cristianesimo non ha potuto indicare la sua conversione sul certificato di nascita in quanto la richiesta avrebbe violato le leggi sull' apostasia.

Nel marzo 2012 una delegazione kuwaitiana ha posto al Gran Mufi dell' Arabia saudita la questione della legittimità della costruzione di chiese nel paese. Lo sceicco Al Sheikh, Gran Mufi, ha risposto che bisognava eliminare tutte le chiese presenti nella regione. Dopo molte proteste ha precisato che per regione intendeva solo la penisola araba. Il responso sarebbe basato su un “adhit” (famoso ma controverso) di Maometto secondo il quale “non possono esserci due religioni in Arabia”.

Qatar
Area 11.000 Km2 Popolazione 1.699.435

L' Islam è la religione di stato e la Shari'a la principale fonte di legislazione. Nonostante questo il Qatar è uno dei paesi islamici più aperto alla libertà religiosa.

Emirati Arabi Uniti
Area 83.600 Km2 Popolazione 4.707.307 (nel 2012, ma in aumento vertiginoso. Erano 100.000 nel 1971 quando ebbero l' indipendenza completa, fino a quell' anno erano un protettorato britannico)

L' Islam è la religione di Stato e la Shari'a la principale fonte del diritto, ma i sette emirati hanno buoni rapporti diplomatici con la Santa Sede

domenica 28 settembre 2014

Il sasso nello stagno.Il prezzo del greggio cala per i commerci dei gruppi armati?

Il sasso nello stagno.

In questi giorni molti organi di informazione si sono soffermati su due anomalie:

- Mentre infuria la guerra in Medio Oriente, e rischia di allargarsi ancora di più , il prezzo del greggio scende. Il petrolio ha perso infatti negli ultimi due mesi più del 10% del suo valore. Solitamente in situazioni del genere il prezzo invece si impenna.

- Si parla del commercio di petrolio dell' Isis, che dalla produzione di greggio ricaverebbe parte delle cifre ingenti con cui paga i suoi combattenti. In realtà anche i curdi iracheni hanno iniziato a fare più alla luce del sole quello che già facevano nonostante l' opposizione del governo centrale. Vendere cioè il loro petrolio direttamente, tramite la Turchia.(casualmente la stessa strada sospettata per il i traffici dell' Isis).
Ma  l' Unione europea autorizzo' anche i commerci con i gruppi armati dell' opposizione siriana, indicando la Coalizione siriana come interlocutore. Ma chi controlla realmente i territori dove il governo di Assad non ha più potere?
Lascio a voi la risposta.

Nessuno ancora ha ipotizzato che queste due anomalie potrebbero essere collegate tra loro, cioè che

il prezzo del greggio scenda perchè è commerciato illegalmente da molti gruppi armati.

. Il tema va seguito seriamente e mi piacerebbe  farlo con qualche persona degli ambienti che frequento (rete No War, redazione Sibialiria, Coordinamento per pace in Siria, che ha ora un suo sito, Siriapax.org).

Ma il sasso nello stagno lo voglio lanciare subito.

Marco

sabato 13 settembre 2014

Siria:"Chi ha fatto salire l'asino sul minareto, lo faccia scendere"

Dal manifesto del 13 settembre 2014
"Chi ha fatto salire l’asino sul minareto, lo faccia scendere "
—  Marinella Correggia, 12.9.2014
Siria. Intervista a padre George Abu Khazen, vicario apostolico di Aleppo: «Come si combatte l'Isis?»
Padre George Abu Kha­zen, liba­nese, è vica­rio apo­sto­lico dall’anno scorso di Aleppo, la straor­di­na­ria e sto­rica città per le sue vesti­gia cul­tu­rali, ora deva­stata dalla guerra civile in corso. Il vica­rio vive nella città siriana dal 2004. Lo abbiamo incon­trato a Roma.
Il pre­si­dente degli Stati uniti Barack Obama ha costruito un’«alleanza con­tro il calif­fato» che com­prende oltre a vari paesi della Nato, le petro­mo­nar­chie arabe. L’idea è bom­bar­dare anche la Siria…cosa ne pensa?
Nei paesi arabi c’è un pro­ver­bio: «Chi è riu­scito a far salire l’asino sul mina­reto, saprà anche come farlo scen­dere». Ebbene, chi lo ha fatto salire? In fondo lo ha detto la stessa Hil­lary Clin­ton: «Adesso com­bat­tiamo quel che abbiamo creato».
 Per fer­mare l’Isis e gli altri ter­ro­ri­sti, biso­gna prima di tutto imporre ad Ara­bia sau­dita, Qatar, Tur­chia e anche Usa di tagliare qua­lun­que rifor­ni­mento o finan­zia­mento agli assas­sini, anche quelli per vie tra­verse come è suc­cesso in Siria con il soste­gno alle varie bande armate. E poi chi com­pra a buon mer­cato il petro­lio ven­duto da que­sti taglia­gole? Io sono con il Santo padre, che ha detto di fer­marli, non di bom­bar­dare paesi. Abbiamo visto che gli inter­venti di guerra degli ame­ri­cani e dei loro alleati non sono mai andati a buon fine, in pas­sato, pro­vo­cando solo distru­zione e morte…Pensiamo all’Iraq, e alla Libia.
La con­vi­venza in Siria è finita?
In Siria con­vi­vono da secoli tanti gruppi reli­giosi. E tanti popoli: que­sto paese, ora ber­sa­gliato dalla guerra e dalle san­zioni eco­no­mi­che, in pas­sato ha accolto cen­ti­naia di migliaia di ira­cheni, pale­sti­nesi, liba­nesi, suda­nesi. E, sot­to­li­neo, non ha mai creato dei campi pro­fu­ghi fatti di tende, come adesso nei paesi cir­co­stanti, nei quali sono fug­giti tanti siriani. L’Isis, ma anche al Nusra e altri gruppi minac­ciano o ucci­dono chi non accetta il loro set­ta­ri­smo. Noi lo diciamo da anni ma non ci hanno ascol­tati; adesso tutto il Medio Oriente è a rischio, soprat­tutto se crol­lasse l’istituzione sta­tale in Siria.
Com’è la situa­zione ad Aleppo?
È tra­gica. Come in tutto il paese. Dopo que­sti anni di guerra, adesso l’avanzata dell’Isis in Iraq e anche verso Aleppo ter­ro­rizza ulte­rior­mente la popo­la­zione. Il 60% dei cri­stiani della città (erano circa 200mila) è andato via, se pos­si­bile all’estero. Sono rima­sti i poveri…Nei quar­tieri abi­tati in pre­va­lenza da cri­stiani ci si sente asse­diati, anche se un po’ più al sicuro per­ché sono con­trol­lati dall’esercito nazio­nale. A lungo i gruppi armati anti­go­ver­na­tivi – ai quali si mesco­lano anche delin­quenti comuni — hanno cir­con­dato buona parte di Aleppo.
 Man­cava tutto, pane, frutta, acqua, com­bu­sti­bile. Adesso c’è un pas­sag­gio per far entrare l’essenziale. Ma la vita è molto dif­fi­cile. Anche tutte le fab­bri­che sono distrutte, sac­cheg­giate. Non si lavora…solo chi è nella pub­blica ammi­ni­stra­zione o i pen­sio­nati hanno ancora una fonte di red­dito. Quanto agli ospe­dali, fun­zio­nano ma ai minimi ter­mini, e tanti medici sono andati via. Chi è rima­sto fa un ser­vi­zio enorme.
Cosa fanno i reli­giosi cri­stiani ad Aleppo?
Innan­zi­tutto va detto che per­fino fra i reli­giosi stra­nieri – donne e uomini — non se ne è andato nes­suno; abbiamo sul posto afri­cani, lati­noa­me­ri­cani, europei…Siamo attivi nell’assistenza uma­ni­ta­ria e nel con­forto. Cer­chiamo anche di ripri­sti­nare i ser­vizi; quando hanno fatto sal­tare l’acquedotto ho fatto sca­vare un pozzo, l’acqua era a 152 metri…un po’ tor­bida, ma che gioia.Le mense delle suore di madre Teresa, delle fran­ce­scane, dei fra­telli mari­sti, dei gesuiti fun­zio­nano per tutti, cri­stiani e musul­mani. Un’organizzazione cari­ta­te­vole musul­mana che dà allog­gio ad anziani e disa­bili si è tro­vata ad un certo momento in piena zona di bat­ta­glia; si sono spo­stati da noi, nella casa chia­mata «Gesù ope­raio». È così in tanti posti. Que­sto aiu­terà la ricon­ci­lia­zione, se e quando la guerra finirà. Se dall’esterno smet­te­ranno di sostenerla.
http://ilmanifesto.info/chi-ha-fatto-salire-lasino-sul-minareto-lo-faccia-scendere/

sabato 6 settembre 2014

Per la pace in Siria, 7 settembre - Una giornata di preghiera e un rosario di pallottole

Vicariato Apostolico della Siria
Vicariat Apostolique Syrie ha aggiunto 2 nuove foto.
Domenica 7 settembre 2014:
Una giornata di preghiera e un rosario di pallottole
Ad un anno dalla giornata di preghiera e digiuno indetta da Papa Francesco per la Siria, il Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria propone un momento di preghiera e riflessione per questo martoriato Paese e per i suoi fedeli
Le foto di Samaan Daoud mostrano una Aleppo distrutta e Monsignor Georges Abu Khazen (successore di Monsignor Nazzaro ed attuale Vicario Apostolico di Aleppo) con un rosario di pallottole fatto con i proiettili raccolti intorno alla sua sede di Aleppo
LE INTENZIONI DI PREGHIERA DA NOI PROPOSTE :
A un anno dalla storica Giornata di Preghiera per la Pace in Siria proclamata da Papa Francesco, rinnoviamo oggi con le parole del Papa il grido al Cielo per la Pace in Siria, da parte di tutto il popolo cristiano:
Per i nostri fratelli in Siria indifesi e perseguitati, ricordando che sono nel cuore della Chiesa e che la Chiesa soffre con loro ed è fiera di loro, fiera di avere tali figli, perché sono la sua forza e la testimonianza concreta e autentica del suo messaggio di salvezza, di perdono e di amore, perché il Signore li benedica e li protegga sempre, preghiamo:
Ricordando le parole di Papa Francesco, che ci ha detto che la chiesa è Madre e, come tutte le madri, sa accompagnare il figlio bisognoso, sollevare il figlio caduto, curare il malato, cercare il perduto e scuotere quello addormentato e anche difendere i figli indifesi e perseguitati, preghiamo per i nostri fratelli cristiani che soffrono persecuzione in Siria, in Iraq e in molte parti del mondo. Perché il Signore li accompagni e sostenga il loro cammino, preghiamo

Mogherini-Ucraina-Russia-Aiutino involontario di una pacifista (amica?).


Il 4 settembre sul sito della rete Disarmo è stato pubblicato l' articolo che segue. E' stato tradotto da Lisa Clark della rete Disarmo che negli ultimi anni ha collaborato moltissimo con la ministra degli esteri Mogherini.

Di questo si può vedere un esempio nel secondo articolo riportato.

E' sicuramente un caso che l' articolo sia uscito il giorno che la Nato ha deciso 5 nuove basi nell' Est Europa,

ma qualche lettore potrebbe capire che i pacifisti italiani sono d' accordo con la Nato riguardo all' "atteggiamento belligerante" della Russia.

e nel giorno delle 5 nuove basi Nato nell' est Europa potrebbe essere, secondo me, un piccolo aiuto alla ministra.

Trovo quindi inopportuna la pubblicazione dell' articolo, presente inoltre automaticamente  nella Home page di Peacelink e pubblicato anche da Azione Nonviolenta.it il sito del giornale del Movimento Nonviolento.

Marcopa

Perché la Nato farebbe bene ad eliminare le sue nucleari tattiche, nonostante l'atteggiamento belligerante della Russia

tradotto da Lisa Clark, Rete Italiana per il Disarmo

4 settembre 2014 - Hans M. Kristensen, Adam Mount

I leader che si riuniscono al vertice della Nato in Galles si troveranno, ancora una volta, di fronte alla necessità di dover decidere cosa fare delle armi nucleari custodite nelle basi Nato sparse per l'Europa. Si tratta di una rimanenza della Guerra Fredda, quando si riteneva che il dispiegamento su suolo europeo di quelle bombe statunitensi potesse azzerare le ambizioni nucleari degli alleati europei e anche rafforzare l'alleanza minacciata. Quasi 200 di queste bombe tattiche sono tuttora in alcune basi in Belgio, Paesi Bassi, Germania, Italia e Turchia.

Alcuni commentatori hanno sostenuto recentemente che l'aggressione della Russia nei confronti dell'Ucraina orientale dimostri che tali armi sono necessarie oggi più che mai. I fatti, invece, mostrano che è vero il contrario: le armi nucleari tattiche statunitensi distolgono risorse e attenzione da altre iniziative di difesa che sarebbero molto più utili.

NATO Nuclear In primo luogo, niente fa pensare che queste armi abbiano avuto la benché minima influenza sulle decisioni trasgressive del Presidente russo Putin in Ucraina, Georgia o negli Stati baltici. La Russia ha scelto di agire in maniera aggressiva, nonostante la presenza delle nucleari tattiche in altri Stati europei. Né si può affermare che la presenza di queste bombe abbia rassicurato gli alleati dell'est europeo sull'impegno statunitense a difenderli. I nuovi membri della Nato, più geograficamente vicini alla Russia, sembrano anzi essere più preoccupati che mai: cercano sostegno e rassicurazione dalle forze non-nucleari dell'occidente. Il motivo per cui le armi nucleari tattiche risultano totalmente irrilevanti è il seguente: la minaccia nei confronti del territorio Nato non è sufficientemente grave per avallare un ruolo delle armi nucleari.

Inoltre, i leader riuniti a Cardiff farebbero bene a non trascurare le continue richieste da parte degli alleati Nato che ospitano le nucleari tattiche affinché queste siano rimosse. Considerare più importanti le richieste dell'Estonia e della Lettonia, che chiedono di essere difesi dalla Russia, rispetto alle richieste della Germania e del Belgio, che chiedono che le proprie basi vengano liberate dalla presenza delle bombe nucleari, può essere una scommessa molto pericolosa: anzitutto perché ignora totalmente la necessità di raggiungere il consenso tra tutti i membri dell'alleanza. Sarà necessario invece raggiungere un compromesso sostanziale per risolvere la questione. Alcuni commentatori continuano a sostenere che queste poche bombe, dispiegate a grande distanza dagli Stati baltici, offrano realmente una garanzia ai leader di quei paesi. Ma, nel fare ciò, trascurano e si lasciano sfuggire un'opportunità di cruciale importanza: la possibilità di spostare i fondi dalla missione nucleare tattica per coprire i costi di un sistema di difesa capace di rispondere alle minacce che tali Stati devono realmente affrontare.

La creazione recente di una forza Nato di Rapida reazione è un esempio di risposta convenzionale alle minacce convenzionali cui devono far fronte gli alleati orientali. A Cardiff, i leader della Nato farebbero bene a concordare azioni come questa, rafforzate anche da un più efficace coordinamento nella deterrenza e difesa dalle minacce cibernetiche; come pure altre iniziative che garantiscano che le forze esistenti della Nato, se necessario, riescano ad entrare in azione in maniera efficace. Poiché è improbabile che gli Stati della Nato prevedano un aumento significativo degli attuali livelli di spese militari, il mantenimento di costosissime armi nucleari tattiche in Europa finisce per distogliere le risorse che servono urgentemente per rafforzare le forze non-nucleari.

La Nato è e rimane un'alleanza nucleare, ma come sottolineato nel Concetto strategico del 2010 la “garanzia suprema della sicurezza degli alleati è affidata alle forze nucleari strategiche” dei membri dell'alleanza. Coloro che sostengono – quasi come un riflesso condizionato – che le bombe tattiche sono necessarie per dimostrare la serietà dell'impegno USA a difendere la sicurezza europea stanno equivocando la questione con l'impegno alla difesa reciproca degli alleati (con forze convenzionali, quindi). E' l'arsenale strategico statunitense che rende la Nato un'alleanza nucleare, non le tattiche dispiegate in Europa. In giugno, quando il Pentagono decise di inviare un avvertimento nucleare alla Russia, quelle armi tattiche non furono considerate utili: gli Stati Uniti trasferirono bombardieri strategici in Europa.

Gli appelli a mantenere in Europa le armi nucleari tattiche fanno perdere di vista i notevoli benefici che offrirebbe la loro eliminazione. Per mantenere attivo e rafforzare il Trattato di Non Proliferazione, le potenze nucleari dovranno dimostrare di aver compiuto qualche passo verso il disarmo nucleare alla Conferenza di Riesame del TNP dell'anno prossimo. Il ritiro delle armi nucleari tattiche, per concentrarsi maggiormente su una difesa non-nucleare in Europa, invierebbe un segnale forte e chiaro: la Nato sta prendendo sul serio la promessa di “creare le condizioni per un mondo libero da armi nucleari”. Eliminando questa classe di armi – costosa ma militarmente insignificante – gli Stati Uniti potrebbe generare un risparmio notevole. E inoltre non rischierebbero di venir meno all'impegno assunto di non aumentare le forze nucleari in Europa: infatti, ad oggi è previsto un programma di ammodernamento del costo di oltre 10 miliardi di dollari che potenzierebbe le bombe B61 attualmente dispiegate in Europa, da utilizzarsi sui nuovi cacciabombardieri stealth F35.

Le bombe nucleari tattiche in Europa non sono più utili né per la difesa, né per la deterrenza, né per la rassicurazione degli alleati. Chi oggi chiede che tali armi restino in Europa propone una visione del passato e non una soluzione per il futuro. Quelle bombe sono una distrazione; contribuiscono a creare divisioni all'interno dell'alleanza, anziché unificarla. Presto dovranno essere affrontate delle decisioni circa l'ammodernamento di quelle armi e la costruzione degli aerei per trasportarle. Il vertice della Nato a Cardiff dovrebbe invece decidere di spostare le risorse disponibili verso le forze non-nucleari: per rafforzare l'alleanza ed offrire agli alleati europei una vera rassicurazione.

http://www.disarmo.org/ican/a/40572.html

UNA COSCIENZA CIVILE PER IL DISARMO NUCLEARE
Presentazione della campagna “SenzAtomica” per arrivare all’adozione di una convenzione sulle armi nucleari. Servizi di Sky e TG2 Storie

Roma, Palazzo Marini, 1 febbraio 2011

03/03/2011: Il 1 febbraio 2011 a Roma a Palazzo Marini, Camera dei Deputati, si è tenuta una conferenza di presentazione della campagna nazionale “SenzAtomica: trasformare lo spirito umano per un modo libero da armi nucleari”, attraverso la quale la Soka Gakkai si impegna concretamente nella campagna per il disarmo nucleare attraverso l’adozione di una convenzione sulle armi nucleari.


Erano presenti diverse personalità che da anni si impegnano in prima linea nella lotta al nucleare:

 l’onorevole Federica Mogherini, coordinatrice dei parlamentari impegnati nel disarmo nucleare, PNND;

Alberto Quattrucci della Comunità di Sant’Egidio;

Lisa Clark, rappresentante di Mayors for peace;

Fabrizio Battistelli dell’Archivio Disarmo; Francesco Calogero dell’USPID; Michele Di Paolantonio dell’IPPNW Italia; Betty Williams, premio Nobel per la pace 1976 e, per l’Istituto Buddista Soka Gakkai, Andrea Bottai. Il denominatore comune di tutti gli interventi è stato l’importanza del rispetto della vita umana e del risveglio delle coscienze individuali per realizzare l’obiettivo finale dell’abolizione totale delle armi nucleari.

Ospite d’eccezione giunto direttamente dal Giappone per partecipare all’evento, il sig. Shigeru Nonoyama – uno degli ultimi superstiti dell’esplosione della bomba atomica di Hiroshima – ha generosamente raccontato la sua drammatica esperienza sottolineando che finché avrà vita si batterà per l’eliminazione delle armi nucleari dal pianeta. La sua testimonianza può essere trasformata in decisioni e azioni di ciascuno di noi.
Con questa campagna si vuole infatti innescare una “cascata di eventi che generano eventi” per arrivare a sensibilizzare sull’argomento il maggior numero di persone. A tal fine si stanno organizzando in Italia numerosi eventi, come concerti e conferenze, al fine di creare una catena virtuosa di persone consapevoli che decidono di agire in concreto, per combattere l’ammissibilità dell’annientamento dell’altro e la nozione che le armi nucleari siano un male necessario.

La mostra SenzAtomica verrà inaugurata a Firenze il 26 marzo prossimo, dove rimarrà fino al 16 aprile; poi si sposterà a Milano e Roma e in ogni altra città che la vorrà ospitare.

http://www.sgi-italia.org/press/Notizie.php?id=407

martedì 19 agosto 2014

Martedì 19/8-Alcuni punti fermi della vicenda Iraq-Isil-Curdi-Siria


 Provo a definire alcuni punti fermi nel diluvio di notizie sulla vicenda irachena, esplosa sui media nelle ultime settimane ma che covava da tempo.

1)      Il giorno di Ferragosto ci sono stati due passaggi nelle istituzioni internazionali.

All’ONU una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che infligge sanzioni all’ Isil, Al Nusra ed altri gruppi legati ad al Qaeda. Il documento approvato richiama il Cap. VII della Carta ONU che tra i suoi articoli ne contiene due cruciali. Uno che autorizza sanzioni a chi non rispetta le condizioni poste dalle Nazioni Unite. L’ altro che autorizza l’ uso della forza militare per imporre le condizioni volute dall’ ONU.

Nel Consiglio degli esteri europeo, sempre il 15 agosto, i 28 paesi hanno concordato che sarà possibile fornire armi ai curdi iracheni da parte dei paesi che lo vorranno. I dettagli della decisione non sono stati spiegati, probabilmente è stato modificato l’ embargo esistente per i paesi dell’ Unione europea a cedere armi in Iraq. Francia, Gran Bretagna e Italia forniranno armi. L’ Italia lo farà dopo un passaggio parlamentare che si svolgerà il 20 agosto nelle commissioni difesa e esteri di Senato e Camera.  I parlamentari presenti saranno pochissimi ma il numero difficilmente sarà diffuso dai media.

2)      Gli Usa hanno aiutato con bombardamenti i combattenti curdi, rispondendo positivamente allo loro richiesta, a differenza del rinvio che avevano scelto per rispondere alla stessa richiesta dell’ ex premier Maliki.

3)      Gli aiuti occidentali sono giudicati in genere insufficienti a sconfiggere l’ Isil e utilissimi invece agli indipendentisti curdi ,che vogliono maggiore autonomia e possibilmente la completa indipendenza da Baghdad.

4)      Questo giudizio accomuna sia coloro che  vogliono una vera e propria guerra occidentale con militari sul territorio iracheno sia coloro che si oppongono anche alla fornitura di armi ai curdi.

5)      Differenze di posizioni sono presenti fra i paesi occidentali, dove alcuni stati e ambienti vogliono una guerra completa, sia nella Chiesa  dove c'è chi invoca l’ intervento militare di USA e UE, come il Patriarca Caldeo Sako, mentre papa Francesco afferma che deve essere l’ ONU e non uno stato (USA ?) a decidere come intervenire e dichiara che devono essere fermati gli aggressori ma non con bombardamenti.

6)      Una intervista del Pontefice è stata riportata alla stessa maniera da quasi tutti i media ma ognuno di essi ha messo un titolo diverso secondo la frase di Bergoglio che preferiva sottolineare: “E’ lecito fermare l’ aggressore”, “Non si deve bombardare”, ”Deve essere l’ ONU a muoversi” , ”E’ la terza guerra mondiale”.

CONCLUSIONE- A questo punto la situazione è aperta ad esiti diversissimi tra loro. Il futuro sarà deciso da un complicato conflitto di posizioni diverse.

E’ bene che i pacifisti lo capiscano subito, più e meglio si muoveranno meno guerra e violenza ci sarà.

domenica 17 agosto 2014

Padre Balducci-Le ragioni del martirio di Gandhi:il rifiuto dell' antagonismo tra le religioni e della violenza come strumento di giustizia.

Mahatma Gandhi Biography. Anti-War Activist (1869–1948)

Padre Ernesto Balducci: 

Dalla premessa del  libro “Gandhi”, 1988, Edizioni Cultura della Pace
“…..Due sono dunque le ragioni del martirio di Gandhi: il suo rifiuto dell’ antagonismo tra le religioni e il suo rifiuto della violenza come strumento di giustizia…..”

Premessa

Scrivo queste pagine introduttive il 30 gennaio 1988, precisamente nel quarantesimo anniversario della morte di Gandhi. Mi tornano vive alla memoria le cronache dei giornali di quel 30 gennaio 1948. Erano le 5 del pomeriggio e il Mahatma, stremato dal suo digiuno, si stava recando, sorretto da due sue giovani congiunte – “i miei bastoni”, egli diceva – a una riunione di preghiera in un giardino di Delhi, com’ era sua consuetudine. Tra la piccola folla che lo attendeva, un mezzo migliaio di persone, c’era anche un giornalista, Nathuram Godse, dall’ aria devota come gli altri. Trovatosi faccia a faccia col Mahatma, Godse fece una riverenza così profonda che una delle due ragazze lo trattenne per una spalla. Egli si alzò di scatto, estrasse una pistola e sparò tre colpi.


Come appare dalle lettere che scrisse al figlio di Gandhi e dalle sue deposizioni in tribunale, prima dell’ impiccagione, Godse non era un fanatico rozzo. Il suo inchino dinanzi alla vittima non fu una simulazione, fu il tributo di una riverenza sincera, prima dell’ esecuzione di un mandato ricevuto dal partito di cui era membro, l’ Hindu Mahasabha, che ripudiava di Gandhi la dottrina della nonviolenza e in particolare il progetto di conciliazione tra indù e musulmani. “Ho voluto mettere in guardia il mio paese – così dichiarò Godse in tribunale – dagli eccessi del gandhismo, che avrebbe significato non soltanto il dominio dei musulmani su tutto il paese, ma l’ estinzione dell’ induismo stesso”.

 Due sono dunque le ragioni del martirio di Gandhi: il suo rifiuto dell’ antagonismo tra le religioni e il suo rifiuto della violenza come strumento di giustizia…..

giovedì 14 agosto 2014

Armi a curdi iracheni, i curdi siriani invece non ammessi a Ginevra2


ARMI AI CURDI IRACHENI
La Francia ha deciso di inviare armi ai curdi iracheni senza aspettare la riunione dei ministri degli esteri dell' Unione europea convocata d' urgenza il giorno di Ferragosto. Parigi ha spiegato che la decisione è stata presa in accordo con Baghdad, la Germania invece ha deciso di fornire attrezzature militari e non armi al governo iracheno. Il premier britannico Cameron a sua volta ha svelato che c'è un piano internazionale per evacuare 30.000 profughi yazidi dalle montagne del Sinyar e la Gran Bretagna ha un ruolo in questo progetto. La Mogherini aspetta a pronunciarsi che l' incontro di Ferragosto decida una azione comune forte e coordinata. Insomma aspetta che tutta l' Ue si accodi a Francia e Gran Bretagna che, in caso contrario, le loro scelte nazionali le hanno comunque già fatte, come sempre.

CURDI IRACHENI VOGLIONO INDIPENDENZA DA BAGHDAD
Chiara Cruciati sul manifesto scriveva in occasione del viaggio di Kerry in Iraq “...Kerry ha raggiunto Irbil, capitale della regione autonoma del Kurdistan . La comunità curda, da decenni impegnata in una dura battaglia politica con Baghdad, rivendica maggior autonomia e approfitta della debolezza dello stato iracheno: i peshmerga hanno preso la città di Kirkut e controllano buona parte della zona a sud del Kurdistan, la più ricca di greggio. E proprio la questione energetica è protagonista della spaccatura interna, con le autorità curde impegnate nella vendita non autorizzata di greggi all' estero. Ieri Kerry ha tentato di fare da mediatore tra le istanze irachene e curde. Il presidente curdo Massoud Barzani ha messo le carte in tavola: “Assistiamo ad una nuova realtà ed a un nuovo Iraq. E' ovvio che il governo centrale ha perso il controllo di tutto. Maliki ha adottato le pratiche sbagliate. E' molto difficile che l' Iraq resti unito.”. Kerry ha chiesto che i leader curdi partecipino ad un eventuale governo di unità nazionale al fianco di Baghdad (comunità fondamentale che rappresenta il 20% di iracheni), richiesta a cui Barzani ha risposto con la minaccia di indire un referendum per l' indipendenza del Kurdistan.....”

I DRONI CHIESTI DA MALIKI NON SONO ARRIVATI SUBITO
Sempre Chiara Cruciati il 26 giugno:
“....Maliki dice no. Non intende farsi da parte né coinvolgere le diverse fazioni politiche, espressione delle differenti etnie e religioni irachene, in un nuovo governo nazionale......Uno schiaffo in piena faccia per il Presidente Obama: Kerry aveva annunciato due giorni fa la formazione di un nuovo governo entro la prossima settimana...
...E mentre Washington freme e resta in attesa – rimandando ancora i bombardamenti con i droni chiesti da Baghdad – il conflitto che investe l 'Iraq rischia di trasformarsi in una guerra regionale. Ieri tre guardie di frontiera iraniane hanno perso la vita, mentre pattugliavano il confine, in un attacco proveniente dal territorio iracheno......

Intanto sempre il 26 giugno C.Crucciati in un trafiletto sull'Arabia saudita:
“...e mentre i miliziani si avvicinano al confine con l' Arabia saudita (occupata la città irachena di Nukhayn, a 130 km dalla frontiera) ...Kerry annuncia per domani la visita a re Abdallah al Saud per discutere:-..le misure per fermare la minaccia rappresentata dall' Isis e sostenere le opposizioni moderate in Siria”. “Dimenticando” (commenta Cruciati n.d.r.) che i petrodollari sauditi finora sono piovuti nelle casse dei gruppi islamisti radicali.”

CURDI SIRIANI IN GUERRA CON ISIS E ESL ED ESCLUSI DA GINEVRA2
Ma ben altra considerazione da parte dei paesi europei, compresa l' Italia, e da Stati uniti hanno i curdi siriani. Nonostante da tempo siano impegnati in sanguinosissimi scontri con l'Isis e Al Nusra, in occasione di Ginevra2, la conferenza di pace sulla Siria del 22 gennaio 2014, non furono ammessi all' incontro internazionale.
Scriveva Geraldina Colotti sul manifesto il 23 gennaio 2013:
“....Altra grande assente la componente curda, nonostante il suo peso politico e militare nel conflitto e nella regione “il popolo curdo – scrive il movimento indipendentista – ha partecipato alla rivoluzione siriana. Ha sfidato la dittatura del regime sciovinista e protetto i propri territori dagli attacchi dei fondamentalisti e dei jihadisti. E' impossibile arrivare ad una soluzione seria della crisi siriana senza tener conto delle aspirazioni dei curdi e delle altre comunità etniche e religiose...”

LA GUERRA TRA CURDI SIRIANI E ISIS (insieme ai vecchi alleati sostenuti dall' occidente)
E gli scontri dei curdi siriani con i terroristi dell' Isil sono stati davvero durissimi. Scrive Marinella Correggia sul manifesto del 4/8/2013:
IL MASSACRO DEI CIVILI CURDI-
”IL 31 luglio gruppi islamisti hanno massacrato oltre cinquanta tra donne e bambini nei villaggi curdi di Tall Hassil e Tall Aran. Ci risulta anche il primo agosto venti donne e bambini..sono stati uccisi vicino a Tall Aran e che oltre 350 civili sono tuttora ostaggi “ via skipe da Aleppo l' agenzia di informazione curda Anha conferma quanto già denunciato nei giorni scorsi da partiti e reti curde...La zona non si trova nel Kurdistan siriano ma in provincia di Aleppo e nell' area i curdi sono circa 40.000....La maggior parte dei bambini e delle donne uccise farebbe parte di famiglie di membri del...fronte curdo alleato del Ypg (formato da uomini e donne) che combattono contro i gruppi vicini ad al Qaeda e contro l' Esercito libero siriano (sostenuto dall' Occidente ndr)....

Un comunicato del Pyd accusa Unione europea , Stati uniti e paesi arabi per il loro silenzio di fronte ai massacri e precisa che “gruppi affiliati ad al Qaead e Esl sono sostenuti da paesi esteri , soprattutto la Turchia che lascia passare uomini e armi per far la guerra ai curdi”....Il Pyd sostiene di battersi contro la minaccia di un Califfato islamico anche nelle regioni curde. L' ufficio d' informazione del Kurdistan in Italia riferisce inoltre di dodici camion di aiuti alimentari destinati alle zone curde della Siria e bloccati da due giorni al confine di Nusaybin; la Turchia non li lascia entrare”.....”

Intanto, oggi 14 agosto, su Avvenire:
“L'ISIS IN MARCIA VERSO ALEPPO NON LASCIAMO SIA UN'ALTRA MOSUL”
….Un appello è arrivato anche dal sottosegretario agli esteri Mario Giro “ Non lasciamo che Aleppo divenga un' altra Mosul” ha detto. A sostegno della città si erano mobilitati più di cento parlamentari italiani e numerose figure internazionali , firmando un appello lanciato dal fondatore della comunità di Sant' Egidio, Andrea Riccardi (ex ministro del governo Monti n.d.r).

Se son spine......

Marco Palombo
14 agosto 2014


martedì 5 agosto 2014

La Lente - Un osservatorio su media e guerra siriana

https://www.facebook.com/pages/Coordinamento-Nazionale-per-la-Pace-in-Siria/793270050724133?fref=ts

Con questo post prende avvio l’attività del gruppo “la Lente” del Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria. Esso ha il compito di chiarire vari aspetti poco chiari o fuorvianti del discorso sulla guerra siriana, mettendo in luce fattori quali la scarsa attendibilità di alcune fonti o l’uso improprio di terminologie largamente utilizzate dai mass-media.

Sabato 2 agosto molti media italiani hanno ripreso una notizia riguardo il numero di morti negli scontri armati del mese di luglio in Siria. Le cifre sono state diffuse dall'Osservatorio siriano per i diritti umani in Siria (Ondus), una ONG con sede in Gran Bretagna e legata all'opposizione siriana.

Segnaliamo come nessuno dei media presi in esame abbia ricordato che le Nazioni Unite, nel luglio 2013, hanno interrotto la diffusione di stime numeriche sulle persone uccise nel conflitto siriano. Inoltre, nel gennaio 2014 Rupert Colville, portavoce del Consiglio dei diritti umani dell’ONU, giustificò l'interruzione del conteggio con l'impossibilità di fornire stime attendibili vista l'ormai scarsa e difficile presenza di ONG sul territorio siriano. Il portavoce si espresse anche sull’Ondus di Londra, affermando che le stime da esso fornite non potessero essere considerate attendibili.
( http://www.ilpost.it/2014/01/07/onu-morti-guerra-siria/| http://america.aljazeera.com/articles/2014/1/7/un-abandons-deathcountinsyria.html )

Alla luce di questo fatto, riteniamo vi siano gravi lacune nella maniera in cui vengono date alcune notizie sui principali mezzi di informazione presi in considerazione. Possiamo notare come nei tre anni della guerra siriana le informazioni diffuse dall'Ondus siano state sovente citate da tutti i maggiori media; negli ultimi mesi alcuni di essi hanno inoltre iniziato a specificare la vicinanza dell’Ondus ai cosiddetti “ribelli moderati” dell’opposizione siriana.

Va notato che in occasione della notizia sul luglio siriano, solo l'AdnKronos ha specificato la vicinanza dell'Osservatorio di Londra all'opposizione siriana, dichiarando l’impossibilità di verificare questa notizia da fonti indipendenti
( http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2014/08/02/siria-ong-solo-luglio-oltre-morti_TLM5aRNRD26kZXshZXLzAP.html ).

L’Ansa ha titolato "Siria, ong: oltre 5.300 morti a luglio", mettendo quindi in evidenza l’origine dell’informazione.
( http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2014/08/02/siria-ong-oltre-5.300-morti-a-luglio_c50d2960-2779-46c3-a4fd-8fa25e488997.html )

Ciononostante, i media che hanno ripreso la notizia dall'agenzia non hanno messo nei loro titoli il riferimento alla fonte dei dati. Ad esempio “l'Avvenire”, titolando "Siria, oltre 5mila morti a luglio", dà per certa una notizia fornita da una fonte di parte indicata solo nel corpo dell' articolo. È inoltre da ritenere tendenziosa la descrizione delle diverse forze impegnate nel conflitto armato: nell'ampia parte centrale dell’articolo si precisa per ben tre volte, infatti, che gli Hezbollah libanesi combattono a fianco dell’esercito siriano, ma nelle stesse righe non è presente alcun accenno alle presenze straniere nei gruppi armati dell’ opposizione. L’esercito governativo siriano viene definito come “Forze lealiste” e lo stato siriano come “regime”, sostantivi che esprimono inoltre un giudizio palesemente negativo. I combattenti stranieri nei gruppi armati anti governativi vengono citati solo nelle ultime cinque righe. Nello stesso tempo però, indicando 1.000 stranieri morti nelle file jihadiste e 100 nei gruppi filo governativi, si dimostra come sia verosimilmente maggiore la presenza straniera nelle frange antigovernative rispetto ai gruppi filo-Assad, e come questa sia quindi molto rilevante nell'insieme delle forze in lotta nel paese.
( http://www.avvenire.it/mondo/pagine/siria-5mila-morti-a-luglio-lontano-dai-riflettori.aspx )

Riscontriamo le stesse gravi lacune nella titolazione di un articolo de “Il Messaggero”, dove viene inoltre riportato che il numero dei morti nelle file governative sarebbe il più alto in percentuale dall'inizio del conflitto.
( http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/ESTERI/siria_morti_guerra_civile_libano_scontri/notizie/831668.shtml )

L'enfatizzazione delle "perdite inflitte al nemico" è una costante della propaganda bellica, per saperlo basta aver visto qualche film di guerra. Detto ciò, riteniamo sia opportuno che venga quantomeno segnalato quando le cifre arrivano da una ONG assolutamente non neutrale.

La Lente
Coordinamento Nazionale per la Pace in Siria
5 Agosto 2014

https://www.facebook.com/pages/Coordinamento-Nazionale-per-la-Pace-in-Siria/7932700507

lunedì 28 luglio 2014

La Palestina, ora stato osservatore all'ONU, può portare Israele davanti al CPI?

Dall' articolo che segue si potrebbe dedurre che, dopo l'ammissione della Palestina alle Nazioni Unite come stato osservatore, siano aumentate le possibilità per le autorità palestinesi di ricorrere alla Corte Penale Internazionale. Questa possibilità era quasi inesistente dopo l' operazione Piombo Fuso nel 2009, oggi è più concreta.

Non sono un giurista, quindi non esprimo pareri tecnici, esprimo però una opinione personale di cui sono in questo momento assolutamente convinto: la strada della Commissione di inchiesta indipendente votata dal Consiglio dei diritti umani dell' ONU di Ginevra e i passi successivi vanno seguiti con determinazione ed attenzione. Andare a fondo su questa via, anche se può non dare risultati giuridici concreti, influenzerebbe molto l' opinione pubblica mondiale, specialmente occidentale, e questo è già molto importante.

Inoltre, come sembra di capire dall' articolo riportato di seguito, dopo l' ammissione della Palestina alle Nazioni Unite come stato osservatore, la posizione dello stato israeliano potrebbe essere molto più scomoda.

Marco

Conseguenze istituzionali
Il significato della Palestina all’Onu
Natalino Ronzitti
02/12/2012
più piccolo più grande
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite (Ag) ha votato il 29 novembre a larga maggioranza (138 voti a favore, 9 contro e 41 astensioni) l’ammissione della Palestina come Stato osservatore. In realtà si è trattato di un upgrading, poiché la Palestina già godeva dello status di osservatore come movimento di liberazione nazionale fin dal 1974, prima in quanto Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e poi, a partire dal 1988, con il nome di Palestina.

L’Ag non aveva fatto altro che sostituire il nome dell’Olp con quello di Palestina, senza riconoscerne la qualità statuale, nonostante che la Palestina, tramite il Consiglio nazionale palestinese, si fosse autoproclamato stato il 15 novembre 1988, con Gerusalemme capitale.

Il 23 settembre 2011 la Palestina ha fatto domanda d’ammissione alle Nazioni Unite. Per divenire membro dell’organizzazione mondiale occorre innanzitutto essere uno stato, qualifica contestata dagli Stati Uniti membro permanente con diritto di veto del Consiglio di sicurezza (Cds), e una decisione dell’Ag su proposta del Cds, cui spetta la prima mossa.

La domanda di ammissione è stata subito bloccata, poiché nel Comitato sulle ammissioni del Cds solo sei stati si erano espressi a favore. Più fortunata è stata la domanda di ammissione all’Unesco. La Palestina ne è divenuta membro il 23 novembre 2011, con una larga maggioranza, e con l’opposizione degli Stati Uniti, che hanno immediatamente bloccato il versamento di fondi all’Unesco.

In sé, l’ammissione in qualità di stato osservatore in seno all’Ag può sembrare ben poca cosa e non produrre significative ricadute politiche, positive o negative, per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Il punto è trattato da Aliboni nel suo articolo. Qui si esaminano solo le ricadute istituzionali.

Status di osservatore
Non è la prima volta che uno stato viene ammesso come osservatore nell’Ag. Il riferimento alla Città del Vaticano è improprio: lo status di osservatore in Ag è attribuito alla Santa Sede, della cui personalità internazionale nessuno dubita, ma che non è un ente statuale. Osservatori sono stati la Svizzera, prima dell’ammissione alle Nazioni Unite, e la stessa Italia fino al 1955.

Uno stato osservatore può intervenire, ma non votare, in Ag, né sponsorizzare candidature o firmare progetti di risoluzione (alla Palestina erano stati però riconosciuti nel 1988 diritti aggiuntivi, come quello di co-sponsorizzare risoluzioni sulla questione mediorientale). Né può divenire membro a pieno titolo di organi sussidiari dell’Ag o del Cds. Pertanto quando si paventa che la Palestina potrebbe divenire membro del Consiglio dei diritti umani si dice cosa sbagliata, poiché solo i membri delle Nazioni Unite hanno l’elettorato passivo.

Diverso è il caso delle conferenze internazionali di codificazione convocate sotto l’auspicio delle Nazioni Unite. Finora gli osservatori vi hanno partecipato in tale qualità, senza diritto di voto. Cosa accadrà per il futuro? Un primo assaggio si è già avuto con la conferenza delle Nazioni Unite sul commercio delle armi convenzionali che ha avuto tre settimane di stallo per la pretesa della Palestina di partecipare come membro di pieno diritto.

Trattati internazionali
Una prima mossa della Palestina sarà quella di aderire ai trattati internazionali multilaterali. Come potrà il Segretario generale delle Nazioni Unite respingere il deposito dello strumento di adesione ora che l’Ag ha riconosciuto la statualità della Palestina? Il riconoscimento non vincola gli Stati membri dell’Ag che hanno votato contro o si sono astenuti e una soluzione potrà essere trovata nel non considerare vincolante il trattato tra la Palestina e gli stati che ne contestano la statualità. È quanto già avviene nei rapporti tra buona parte degli stati arabi e Israele.

Corte internazionale di giustizia e Corte penale internazionale
Uno dei principali timori è che la Palestina possa adire la Corte internazionale di giustizia (Cig) per le molteplici controversie con Israele. Il timore è in larga parte infondato, poiché solo gli Stati membri delle Nazioni Unite sono considerati automaticamente aderenti alla Cig e possono sottoporre una controversia alla Corte. I non membri possono divenire parti dello statuto della Corte alle condizioni determinate dall’Ag su proposta del Cds ed è immaginabile che gli Stati Uniti e il Regno Unito bloccherebbero la delibera. Si possono escogitare altri meccanismi, ma il ricorso alla Cig mi sembra un’ipotesi residuale.

Più concreta è invece la possibilità che la Palestina attivi la Corte penale internazionale (Cpi). Ci ha già provato, indirizzando alla cancelleria della Corte una richiesta ad hoc, facendo leva sul meccanismo che consente di accettare la giurisdizione della Corte anche agli Stati non parti. Il Procuratore generale ha avuto buon gioco nel respingere la richiesta, affermando che la Palestina non era uno Stato e quindi non poteva attivare il meccanismo. Ma cosa succederà dopo il voto in Ag? La Palestina non avrà più bisogno di servirsi del meccanismo aperto agli Stati non parti e farà sicuramente domanda di adesione allo Statuto della Corte, domanda che non sarà facile respingere.


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