lunedì 28 luglio 2014

La Palestina, ora stato osservatore all'ONU, può portare Israele davanti al CPI?

Dall' articolo che segue si potrebbe dedurre che, dopo l'ammissione della Palestina alle Nazioni Unite come stato osservatore, siano aumentate le possibilità per le autorità palestinesi di ricorrere alla Corte Penale Internazionale. Questa possibilità era quasi inesistente dopo l' operazione Piombo Fuso nel 2009, oggi è più concreta.

Non sono un giurista, quindi non esprimo pareri tecnici, esprimo però una opinione personale di cui sono in questo momento assolutamente convinto: la strada della Commissione di inchiesta indipendente votata dal Consiglio dei diritti umani dell' ONU di Ginevra e i passi successivi vanno seguiti con determinazione ed attenzione. Andare a fondo su questa via, anche se può non dare risultati giuridici concreti, influenzerebbe molto l' opinione pubblica mondiale, specialmente occidentale, e questo è già molto importante.

Inoltre, come sembra di capire dall' articolo riportato di seguito, dopo l' ammissione della Palestina alle Nazioni Unite come stato osservatore, la posizione dello stato israeliano potrebbe essere molto più scomoda.

Marco

Conseguenze istituzionali
Il significato della Palestina all’Onu
Natalino Ronzitti
02/12/2012
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L’Assemblea generale delle Nazioni Unite (Ag) ha votato il 29 novembre a larga maggioranza (138 voti a favore, 9 contro e 41 astensioni) l’ammissione della Palestina come Stato osservatore. In realtà si è trattato di un upgrading, poiché la Palestina già godeva dello status di osservatore come movimento di liberazione nazionale fin dal 1974, prima in quanto Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) e poi, a partire dal 1988, con il nome di Palestina.

L’Ag non aveva fatto altro che sostituire il nome dell’Olp con quello di Palestina, senza riconoscerne la qualità statuale, nonostante che la Palestina, tramite il Consiglio nazionale palestinese, si fosse autoproclamato stato il 15 novembre 1988, con Gerusalemme capitale.

Il 23 settembre 2011 la Palestina ha fatto domanda d’ammissione alle Nazioni Unite. Per divenire membro dell’organizzazione mondiale occorre innanzitutto essere uno stato, qualifica contestata dagli Stati Uniti membro permanente con diritto di veto del Consiglio di sicurezza (Cds), e una decisione dell’Ag su proposta del Cds, cui spetta la prima mossa.

La domanda di ammissione è stata subito bloccata, poiché nel Comitato sulle ammissioni del Cds solo sei stati si erano espressi a favore. Più fortunata è stata la domanda di ammissione all’Unesco. La Palestina ne è divenuta membro il 23 novembre 2011, con una larga maggioranza, e con l’opposizione degli Stati Uniti, che hanno immediatamente bloccato il versamento di fondi all’Unesco.

In sé, l’ammissione in qualità di stato osservatore in seno all’Ag può sembrare ben poca cosa e non produrre significative ricadute politiche, positive o negative, per la soluzione del conflitto israelo-palestinese. Il punto è trattato da Aliboni nel suo articolo. Qui si esaminano solo le ricadute istituzionali.

Status di osservatore
Non è la prima volta che uno stato viene ammesso come osservatore nell’Ag. Il riferimento alla Città del Vaticano è improprio: lo status di osservatore in Ag è attribuito alla Santa Sede, della cui personalità internazionale nessuno dubita, ma che non è un ente statuale. Osservatori sono stati la Svizzera, prima dell’ammissione alle Nazioni Unite, e la stessa Italia fino al 1955.

Uno stato osservatore può intervenire, ma non votare, in Ag, né sponsorizzare candidature o firmare progetti di risoluzione (alla Palestina erano stati però riconosciuti nel 1988 diritti aggiuntivi, come quello di co-sponsorizzare risoluzioni sulla questione mediorientale). Né può divenire membro a pieno titolo di organi sussidiari dell’Ag o del Cds. Pertanto quando si paventa che la Palestina potrebbe divenire membro del Consiglio dei diritti umani si dice cosa sbagliata, poiché solo i membri delle Nazioni Unite hanno l’elettorato passivo.

Diverso è il caso delle conferenze internazionali di codificazione convocate sotto l’auspicio delle Nazioni Unite. Finora gli osservatori vi hanno partecipato in tale qualità, senza diritto di voto. Cosa accadrà per il futuro? Un primo assaggio si è già avuto con la conferenza delle Nazioni Unite sul commercio delle armi convenzionali che ha avuto tre settimane di stallo per la pretesa della Palestina di partecipare come membro di pieno diritto.

Trattati internazionali
Una prima mossa della Palestina sarà quella di aderire ai trattati internazionali multilaterali. Come potrà il Segretario generale delle Nazioni Unite respingere il deposito dello strumento di adesione ora che l’Ag ha riconosciuto la statualità della Palestina? Il riconoscimento non vincola gli Stati membri dell’Ag che hanno votato contro o si sono astenuti e una soluzione potrà essere trovata nel non considerare vincolante il trattato tra la Palestina e gli stati che ne contestano la statualità. È quanto già avviene nei rapporti tra buona parte degli stati arabi e Israele.

Corte internazionale di giustizia e Corte penale internazionale
Uno dei principali timori è che la Palestina possa adire la Corte internazionale di giustizia (Cig) per le molteplici controversie con Israele. Il timore è in larga parte infondato, poiché solo gli Stati membri delle Nazioni Unite sono considerati automaticamente aderenti alla Cig e possono sottoporre una controversia alla Corte. I non membri possono divenire parti dello statuto della Corte alle condizioni determinate dall’Ag su proposta del Cds ed è immaginabile che gli Stati Uniti e il Regno Unito bloccherebbero la delibera. Si possono escogitare altri meccanismi, ma il ricorso alla Cig mi sembra un’ipotesi residuale.

Più concreta è invece la possibilità che la Palestina attivi la Corte penale internazionale (Cpi). Ci ha già provato, indirizzando alla cancelleria della Corte una richiesta ad hoc, facendo leva sul meccanismo che consente di accettare la giurisdizione della Corte anche agli Stati non parti. Il Procuratore generale ha avuto buon gioco nel respingere la richiesta, affermando che la Palestina non era uno Stato e quindi non poteva attivare il meccanismo. Ma cosa succederà dopo il voto in Ag? La Palestina non avrà più bisogno di servirsi del meccanismo aperto agli Stati non parti e farà sicuramente domanda di adesione allo Statuto della Corte, domanda che non sarà facile respingere.


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domenica 20 luglio 2014

Mille persone a Bologna per la Palestina

La Bologna degna scende in piazza unita per la Palestina
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La Bologna degna scende in piazza unita per la Palestina
Continua la campagna a sostegno della popolazione palestinese a Bologna. Dopo le iniziative dei giorni scorsi, almeno un migliaio in piazza San Francesco il pomeriggio del 15 luglio, ottavo giorno dei bombardamenti israeliani su Gaza. Una partecipazione oltre ogni previsione solo in parte preannunciata dalle adesioni all'evento sul social network e dalle numerose e varie sottoscrizioni al comunicato che lanciava l'iniziativa.
Numerose realtà politiche, di movimento, sindacali, numerose associazioni e singoli si sono incontrati in un presidio che spontaneamente ha sfilato da piazza San Francesco a Piazza Maggiore con in testa lo striscione “Stop bombing Gaza”.
Il corteo ha unito trasversalmente tutti al di sopra delle diversità per lanciare un unico messaggio forte contro la devastazione israeliana su Gaza, contro la complicità delle istituzioni e dei media italiani alla politica israeliana, ma soprattutto per avvolgere in un forte e virtuale abbraccio la popolazione palestinese, ostaggio di una prigione a cielo aperto. Ciò si è sentito nei diversi interventi al microfono, anche di rappresentanti dei palestinesi a Bologna, e nella determinazione con cui il corteo ha respinto in piazza Maggiore i soliti squadristi provocatori che vogliono far scempio di questa città.

Oggi ha sfilato la Bologna degna che ha unito la sua ricchezza di diversità in solidarietà al popolo palestinese che da oltre 60 anni resiste ad una delle più ingegnate e feroci occupazioni. Lo striscione in testa al corteo è stato appeso e lasciato in via del Pratello, via bolognese simbolo della Resistenza partigiana che anche oggi si unisce idealmente alla Resistenza palestinese.

Continueremo anche nei prossimi giorni con iniziative a sostegno della Palestina occupata e di Gaza sotto attacco, così come chiesto nell'appello della società civile di Gaza. La solidarietà non si ferma.

Vita, Terra e Libertà per il Popolo Palestinese 

Rete dei Comunisti 
Comitato Palestina Bologna 
Noi Restiamo 
Ross@ Bologna 
TPO 
USB Bologna 
Pratello R'esiste 
Hobo 
PdCI Bologna 
Earth Riot 
Exaequo-bottega del mondo 
Comitato Ucraina Antifascista 
Coordinamento Campagna BDS Bologna
PCL
XM24
VAG61

mercoledì 16 luglio 2014

Insensato parlare di Gaza senza parlare dell' intero Medioriente

L' aggressione attuale di Gaza da parte di Israele è

resa possibile dal golpe delle forze armate egiziane nel luglio 2013.

Addirittura Morsi è stato accusato formalmente dal nuovo regime egiziano di spionaggio a favore di Hamas, dal luglio 2013 i valichi tra Egitto e Gaza sono molto più inaccessibili.

Nel 2012 la mediazione di Morsi fermò una aggressione israeliana a Gaza,

ma dopo il golpe e le accuse a Morsi poteva aver successo nel 2014 una mediazione egiziana ?

Evidentemente la situazione è completamente diversa e i rapporti tra Hamas ed Egitto non sono davvero gli stessi del 2012.

Oggi Repubblica e Corriere scrivono della geografia politica interna di Hamas,

Repubblica dà nel titolo al lettore la percezione che Hamas sia alleato dell' Iran, ma Hamas è legato ai Fratelli Musulmani (non solo egiziani) ed è passato dall' alleanza con Iran e quartier generale a Damasco, all' alleanza con il Qatar e quartier generale a Doha (Qatar). Poi esistono contatti vari e correnti diverse, ma i movimenti fondamentali "ad oggi" (domani non si sa) sono questi.

Erdogan e l' Emiro del Qatar sono stati gli unici capi di governo internazionali che hanno visitato Gaza.

Ma in occidente l' immagine da attribuire ad Hamas è quella di un gruppo terrorista, estremista, invece la percezione presso l' opinione pubblica che si vuole dare rispetto a Qatar e Turchia è quella di paesi filo occidentali, alleati,

il legame tra Hamas con Qatar e Turchia, oggi oggettivamente in difficoltà ma sempre validissimo, deve quindi essere totalmente occultato.

Così come deve essere occultato che Qatar, Turchia con i rivali arabi dell' Arabia saudita e Emirati arabi uniti, Egitto, e i paesi occidentali Italia, GB, Francia, Usa e Germania, formano l' alleanza del gruppo di Londra (ex paesi Amici della Siria)

che stanno finanziando gli integralisti islamici contro il governo di Assad.

" Il colpevole della carneficina di Gaza è solo Israele !!!! "

Grida chi non vuole che si parli delle alleanze di Hamas,

ma parlare della carneficina di Gaza 2014 senza parlare dell' intero scacchiere mediorientale non ha alcun senso.

Marco Palombo

lunedì 14 luglio 2014

Militari italiani in Libano dal 1 luglio senza autorizzazione

Vedo ora che nel resoconto del consiglio dei ministri del 10 luglio non c'e' il decreto per il rifinanziamento delle missioni militari,la mattina di giovedì 10 luglio era stato aggiunto invece al programma del CdM.

Il precedente finanziamento è scaduto il 30 giugno, ma il nuovo si preannuncia più insidioso per l'eventuale inserimento dell' operazione Mare Nostrum.

Verifico di nuovo ma il provvedimento, sia stato varato o meno,  E' COMUNQUE DA VEDERE ATTENTAMENTE E DISCUTERE.

Di seguito il resoconto del Consiglio dei Ministri del 10 luglio.

http://www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=76205



venerdì 11 luglio 2014

Ma si può parlare del legame tra Hamas,Palestina e petromonarchie ?


Iil legame TRA HAMAS E IL QATAR
     non si può OCCULTARE e credo che nessuno vorrebbe parlare solo di sionismo se conoscesse i finanziamenti delle petromonarchie ai campi profughi palestinesi. (questi miei accenni ai finanziamenti ai campi profughi palestinesi sono dovuti alla visita ad una mostra sulle donazioni dell' Arabia saudita che c'è stata in Via del Corso qualche mese fà, non so quanti, oltre a me, l' abbiano visitata)

Il quadro del Medio Oriente, e ormai anche Africa influenzata dall' islam, va visto solo nel suo insieme, ogni lettura parziale la credo ormai impossibile.

 Il Qatar è presente nelle "primavere" arabe della Libia, Egitto e Siria, finanzia Hamas ed è dentro il capitalismo europeo, tra l' altro tra otto anni ospiterà i mondiali di calcio,ed è proprietario di una squadra di Parigi e sponsor del Barcellona.
Quanto donerà poi l' Arabia saudita ai campi profughi ?
Gli Emirati arabi uniti comprano l' Alitalia e Dubai, uno dei sette emirati, ospita le centrali finanziarie dell' estremismo islamico.
(gli accenni alla finanza islamica e  EAU sono dovuti alla lettura di un libro on line sulla finanza islamica, in questo spesso si fa riferimento anche ad un lavoro di Loretta Napoleoni che varrebbe la pena trovare e darci una lettura).

Le petromonarchie preferiscono che le popolazioni facciano riferimento all' islam politico piuttosto che ad una sinistra più laica, in casa loro non ammettono nè partiti nè sindacati e ci sono rapporti di lavoro considerati forme di schiavitù.

Davvero non deve essere detto che il loro aiuto è anche (o soprattutto) interessato ?

sabato 5 luglio 2014

Ue. E se Renzi, senza volerlo e senza capirlo, avesse rotto un tabù ?

E se Renzi, senza volerlo e senza capirlo, avesse rotto un tabù importantissimo che impediva anche di poter accennare a possibili politiche economiche diverse dal neoliberismo ?

Ricordate quando in Grecia il governo voleva fare un referendum sulle politiche proposte dall' Ue e la Troika non lo permise ?

Infatti la politica dell' Ue deve essere considerata un dogma indiscutibile, non una scelta migliore di altre.

Metterla in discussione, anche solo a parole e senza volere entrare in conflitto con le oligarchie che comandano l' Ue, potrebbe avere un effetto dirompente ?

Io credo di si, soprattutto se ci sarà una pressione popolare contro l' economia neoliberista.

La sinistra di classe, ma anche il ceto medio impoverito o il ceto medio "riflessivo" che non sa dove cavolo potranno lavorare i suoi figli che hanno studiato, ha uno strumento per contestare le politiche dell' Unione, il controsemestre popolare,

che potrà decollare davvero se le forze, limitate ma presenti in tutto il paese, che si sono unite il 28 giugno nel corteo di Roma, faranno dei comitati locali e tematici per il controsemestre.

Se ci sarà questa spinta unitaria di una (piccola) parte della sinistra forse scopriremo che Renzi, senza volerlo o senza capirlo, ha messo in seria difficoltà l' Unione europea.

E' una mia convinzione bizzarra ma ne sono convinto, così come sono convinto che bloccheranno questa discussione su "Stabilità e flessibilità", perchè può rompere un incantesimo anche se nelle intenzioni vorrebbe essere solamente un gioco delle parti.

Marco Palombo

da www.contropiano.org

La porta in faccia a Renzi

Giovedì, 03 Luglio 2014 11:50
Alessandro Avvisato

Arrivato di corsa sulla vetta d'Europa, paracadutato lì da forze incontrollabili, Renzi sembra improvvisamente sull'orlo del precipizio. Succede, in montagna, a quelli che sono saliti con l'elicottero o la funivia, invece che a forza di scarpinare e scalare.

Il suo discorso è stato la solita accozzaglia di immagini pensate per captare benevolenza in casa (praticamente tutte le tv pubbliche e private sono state mobilitate per dargli il massimo di visibilità: l'endorsement pomeridiano di Piersilvio Berlusconi ha fatto capire quanto sia risibile la distanza tra governo e “opposizione” forzitaliota), un flusso di parole come pallottole capaci di rimbambire in casa, ma che non hanno però scalfito il muro dell'establishment di Strasburgo e Bruxelles. Un milieu abituato a ben altri protagonisti, consapevole di trovarsi di fronte a un giovane – anche da loro – paracadutato.

Al centro, il tormentone sulla “flessibilità” nel rispetto delle regole fissate dai trattati (debito e deficit in rapporto al Pil) proprio alla vigilia dell'entrata a regime del Fiscal Compact, che obbligherà i governi italiani dei prossimi 20 anni a tagliare il debito di 50 miliardi l'anno. Un rosario di frasi per “stimolare la crescita”, ovvero per ottenere almeno che una parte della spesa per investimenti non sia computata come spesa pubblica “cattiva”, dunque da tagliare.
Al di sotto delle parole, niente altro. E il “ragazzo fortunato” di Pontassieve rischia ora di fare i conti la tutte le sfortune fin qui sgombrate – non da lui, certamente - dal suo cammino.

Intanto, l'Unione Europea a guida tedesca (la sua presidenza semestrale è solo “pro forma”; persino i due gruppi principali – Pse e Ppe – sono entrambi sotto presidenza teutonica, con il riconfermato Martin Schultz e il neoletto Manfred Weber) rifiuta decisamente di “cambiare verso”. L'austerità e il rigore restano il dogma assoluto. Non solo per convinzione ideologica, ma perché rispondono perfettamente agli interessi economici delle aree e dei capitali più avanzati. Gli altri si fottano. Se proprio hanno bisogno di una “svalutazione competitiva”, la facciano tagliando i salari interni, precarizzando il lavoro, smantellando il welfare, privatizzando i servizi sociali e lasciando svalutare il patrimonio immobiliare, sia pubblico che privato. La deflazione per i Piigs non è un “errore” cui mettere rapidamente riparo, ma un programma di lavoro per ridisegnare le filiere produttive continentali.

Non si tratta di una porta in faccia da poco, un “niet” che possa essere aggirato passando da un'altra parte. Tutta la “strategia europea” di Renzi & co. si regge esattamente sullo scambio tra “riforme strutturali” e tempi più lunghi (“flessibili”) per il rientro dal debito. Sulle prime deve far conto sulla (poca) opposizione sociale interna, al momento meno importante di quella puramente “burocratica” degli apparati e degli gruppi affaristici coinvolti di striscio nella spending review (il mondo degli appalti pubblici, sostanzialmente, e quel che resta della “politica locale stipendiata”). Ma sul secondo termine – il rientro dal debito –, se non ottiene margini più ampi di manovra andrà a sbattere contro il muro.

L'ampio consenso interno certificato alle elezioni europee si regge per ora sull'attesa che le mirabolanti promesse dei primi quattro mesi vengano realizzate nel corso dei prossimi dodici. Ma i dati economici sono sempre indifferenti alle parole elettorali. I primi sei mesi si chiuderanno, spiega l'Istat, con una “crescita zero” o addirittura negativa. Quanto basta per far aumentare la disoccupazione, i costi degli ammortizzatori sociali, la base materiale delle prevedibili proteste dell'autunno. Soprattutto, sono dati che incrinano l'imagine – solo nazionale, come si è potuto constatare a Bruxelles – del giovane leader “vincente”, che fa crescere fiori e ricchezza là dove passa. E Renzi non ha, né potrebbe avere, un'immagine di riserva. Non possiede competenze né esperienza, “comunicazione” a parte. Ma la comunicazione può aiutare ad enfatizzare un diverso lato di un'immagine sfaccettata, non un'icona unidimensionale che coincide con l'abilità comunicativa stessa.
È dunque la materialità della crisi a presentarsi come il principale nemico dell'improvvisato Telemaco di Bruxelles. Sarà questa a scavargli la fossa, specie se i templari del “rigore” si mostreranno pronti a rimboccargli la lapide mantenendo le rigidità degli ultimi anni.

Il nostro Controsemestre popolare si annuncia interessante...

mercoledì 2 luglio 2014

Mare nostrum,Afghanistan.Le spine del dl missioni


Sta arrivando il decreto per il finanziamento dal 1 luglio delle missioni militari all’ estero.

Ne ha parlato la ministra Pinotti nell’ ultimo CdM del 30 giugno e, prima dell’ ultima strage di migranti, Gasparri aveva dichiarato che Forza Italia si sarebbe opposta alla presenza nel decreto di finanziamenti per l’ operazione Mare Nostrum, presenza che la Pinotti aveva anticipato in commissione.

E’ arrivata poi una nuova strage di migranti con le dichiarazioni della Lega Nord, quindi se l’ operazione mare Nostrum sarà effettivamente presente nel decreto il dibattito sarà aspro.

Il decreto finanzierà anche gli ultimi mesi della missione Isaf in Afghanistan che finisce il 31 dicembre 2014. Qualche indicazione e discussione sulla presenza italiana nel paese dal 1 gennaio 2015 dovrà quindi esserci.

Tutto questo mentre si teme la reazione di Israele contro i palestinesi, e in Iraq, Ucraina e Siria la guerra infuria con l’ Italia che, al rimorchio della Nato, ha un ruolo nelle vicende.

L’ ultimo decreto missioni per il primo semestre 2014 è passato inosservato, anche se è passato con la fiducia. L’ ultimo del 2013 invece ha visto l’ ostruzionismo di SeL e M5S che ha messo in difficoltà il governo alla Camera, poi improvvisamente al Senato è passato in due ore in commissione e con il voto di fiducia in aula in mezza giornata. Insomma l’ ostruzionismo non è stato portato fino in fondo.

La conversione in legge del decreto, quindi il passaggio nelle commissioni e nelle assemblee, avverrà prima dell’ inizio delle ferie estive , a inizio agosto. Inizierà quindi molto presto.

Passerà tutto inosservato, coperto dalle altre vicende politiche, o ci sarà una grande discussione sulla politica estera italiana, che è a rimorchio di quella disastrosa, fallimentare e guerrafondaia insieme, della Nato ?

Non lo so, comunque vi segnalo queste scadenze.