sabato 18 marzo 2017

Roma, una settimana intensa sull'UE, le guerre in secondo piano. Ma siamo in tempo a metterle al centro, se lo vogliamo.


No all'euro, No all'Unione Europea, no alla Nato
Questo è lo slogan e programma della piattaforma sociale Eurostop che organizza una delle quattro manifestazioni del 25 marzo a Roma, quella che secondo i media dovrebbe essere la più partecipata.

Ma nelle precedenti iniziative della piattaforma era presente solo qualche cartello contro la guerra, credo uno ogni mille partecipanti.

Manca una settimana alla giornata imprevedibile nella quale sono annunciate nella capitale quattro manifestazioni. I quattro cortei sono indetti: da Eurostop; dall' Associazionismo  di centro sinistra filo Unione Europea con la partecipazione incomprensibile di Cobas, centri sociali, migranti e Rifondazione comunista; dalla destra; dai Federalisti europei. Questi ultimi si uniranno poi con i centri sociali, Cobas, migranti, rifondatori comunisti e associazioni di centro sinistra.

L' insieme della giornata è troppo carico di iniziative. La settimana era prevista da mesi ma per mesi non se ne è parlato nella maniera adeguata. L' avvicinamento a sabato 25 sarà riempito quasi completamente dagli allarmi per infiltrazioni violente e da notizie sull' organizzazione del summit che segnaleranno aspetti curiosi e gigantismo.

Si parlerà poco di contenuti in genere, in particolare si parlerà troppo poco dei disastri che l' Unione Europea sta combinando da anni nelle vicine Libia, Siria ed Iraq. Si parlerà poco della Nato, si parlerà poco dell' aumento delle spese militari che tutti considerano scontate e giuste, anche se per motivi diversi, secondo loro, da Trump, alla Merkel alla ministra Pinotti.

Ma siamo in tempo a mettere le guerre dell' Unione Europea al centro delle settimana, anche se insieme agli altri temi.

Sono il tema più gigantesco, piu' disastroso, più immorale,

Queste righe sono solo un piccolo test, il tentativo di verificare se davvero il tema è enorme, sentito ed è stato dimenticato.
Spero che le guerre diventino centrali nel dibattito del prossimo fino settimana.
Spero che saremo in tanti a cercare di mettere al centro della settimana le catastrofi e il sangue che l' Unione Europea, insieme agli USA, di Obama prima e di Trump adesso, sta fomentando e sostenendo.

Marco P.

martedì 14 marzo 2017

Petrolio. "Boom" Iran; record di export a febbraio; produzione 2016 +1mb/g. In crisi l'accordo Opec-non Opec.



L’ andamento del mercato petrolifero degli ultimissimi anni rappresenta probabilmente una crisi dello stesso e l’ abbondanza di offerta di greggio non è un segnale positivo, la prova che non ci saranno problemi di produzione in futuro, ma un sintomo negativo, la conseguenza della rottura dell’ equilibrio del mercato.

 I media spiegano la situazione solo con lo sviluppo dello shale gas USA, ma la congiuntura attuale è determinata anche da altri processi in corso e il cambiamento in atto potrebbe essere il più radicale di tutta l’ era del petrolio.

Il crollo del prezzo nell’ ultimo fine settimana


Negli ultimi giorni, dopo i dati settimanali sulle scorte USA che continuano a crescere, il prezzo del greggio è crollato di oltre il 7% e l’ accordo per il taglio di produzione tra Opec e 11 paesi non Opec appare ormai in tutta la sua fragilità, molto di immagine e di propaganda e poco di sostanza.
Il giorno precedente l’Iea, Agenzia energica dei paesi OCSE, aveva ammonito che senza nuovi investimenti a fine 2019 potrebbe verificarsi un periodo di crisi per l’ offerta di greggio e venerdì il sole24ore ha illustrato, titolando “Sorpresa, il boom di produzione di Iran, Iraq, Libia e Nigeria”, la crescita del greggio venduto dai quattro paesi Opec a inizio 2017. Un andamento che toglie molta credibilità all’ accordo Opec-non Opec per la riduzione di petrolio nel mercato mondiale.

La produzione in Iran


In questo quadro è importante seguire la produzione dell’ Iran in aumento negli ultimi mesi, una tendenza che se confermata rafforzerebbe molto l’ economia iraniana e accrescerebbe anche l’ importanza strategica di Teheran nel prossimo futuro.

Il greggio iraniano fu il primo del Medio Oriente ad essere sfruttato commercialmente. Con la sua scoperta nacque nel 1908 la Anglo Persian Oil Company (poi British Petroleum, BP). Successivamente, nel 1953,  il petrolio ebbe un ruolo centrale nel colpo di stato, organizzato dalla Cia con la complicità della Gran Bretagna, che riportò al potere la dinastia Pahlavi e allontanò dal governo il primo ministro eletto Mossadeq colpevole di aver nazionalizzato la concessione e i mezzi di produzione della Anglo Iranian Oil Company. La rivoluzione di Khomeini del 1979 causò una nuova rottura nei rapporti dell’Iran con USA ed Occidente e una nuova crisi petrolifera mondiale ad appena sei anni dall’ embargo dei paesi arabi all’ occidente del 1973.
Dopo il 1979 hanno reso difficile il cammino iraniano la lunga guerra negli anni ’80 con l’Iraq, sostenuto in segreto dagli USA, e le sanzioni economiche contro le sue attività nucleari.

Nel 2004 comunque il paese, che ospita il 10% delle riserve petrolifere globali, produsse una media di 3,94 milioni di barili il giorno, produzione che rimase costante fino al 2011, poi con l’ estensione delle sanzioni internazionali, dal 2012 a fine 2015 il greggio estratto si attestò attorno a 2,70 mb/g. A novembre 2015, dopo pochi mesi dall’accordo sul nucleare e in coincidenza con il crollo della quotazione del greggio, l’ Iran  produceva 2,84 mb/g.. Nel 2016 la media è salita a 3,70 mb/g, un incremento del 30%, e nel mese di febbraio 2017 le esportazioni del paese hanno avuto anche un picco di 3 mb/g, mai raggiunti dopo il 1979, e una media di 2,45 mb/g. L’ obbiettivo dell’ Iran è arrivare a 5 mb/g di produzione nel 2021. 

Il crollo dei prezzi dal 2015


Se osserviamo le date dei passaggi principali degli ultimi anni, vediamo che il crollo del prezzo del greggio non ha coinciso con lo sviluppo dello shale gas USA ma con la fine delle sanzioni all’ Iran nel secondo semestre 2015.  E il calo delle quotazioni era iniziato quando nell’estate 2015 l’Aramco, impresa petrolifera statale saudita, aveva proposto nei mercati asiatici prezzi di vendita al di sotto della quotazione delle borse. E’ vero che negli ultimi anni è cresciuta la quantità di petrolio prodotta negli USA, 3 o 4 mb/g, ma cresce anche la produzione di Iran e di Iraq, paesi con riserve enormi, il 20% di quelle globali, che negli ultimi decenni hanno subito sanzioni economiche ed hanno margini di crescita più facili da sfruttare rispetto agli altri paesi.
L’ articolo del Sole24ore che ho citato ipotizza una rivalità e un possibile conflitto economico tra Teheran e Baghdad. Questa rivalità diretta sembra però smentita dall’ incontro del 20 febbraio nella capitale irachena tra i ministri del petrolio dei due paesi, entrambi con governo sciita, per siglare un accordo di cooperazione nel settore energetico.

In crisi l’accordo Opec-non Opec, fragile sin dall’ inizio


Con il crollo del prezzo dell’ ultimo fine settimana sembra in crisi definitiva l’ accordo tra l’ Opec e 11 paesi non Opec. L’ accordo era molto fragile in partenza. Interessa in realtà solo la metà dei paesi Opec, in quanto Nigeria, Libia ed Iran sono esentati e Venezuela ed Algeria in questo momento hanno già problemi di produzione. Tra i paesi non Opec, la Russia avrebbe dovuto tagliare 300 mb/g, ma ne ha tagliati solo 120 mb/g nel mese di gennaio mentre a febbraio la sua produzione è rimasta invariata. Gli altri 10 paesi non Opec sono Oman, Barhein, e Brunei, alleati dei paesi del Golfo, Messico, Azerbajan, Sudan e Sud Sudan già in difficoltà con la produzione, e solo la Malesia e il Kazakistan hanno oggi una produzione senza problemi. Comunque questi paesi, se escludiamo la Russia, rappresentano solo il 10% della produzione non Opec.

I prossimi passaggi dell’ intesa saranno la diffusione dei dati sulla produzione di febbraio e il 26 marzo in Kuwait l’ incontro dell’ Opec con gli 11 paesi non Opec che hanno offerto la loro collaborazione alla riduzione della produzione.

Domande in attesa di risposta

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Ho riportato pochi dati che credo significativi, ma rimangono molte domande ancora senza risposte certe.

- L’ Opec riesce a governare ancora il mercato del petrolio ?
- L’Opec oggi si occupa anche di conquistare quote di mercato e non solo di regolare i prezzi del greggio ?
- Il petrolio dei paesi Opec, oltre alla concorrenza dello shale gas USA, in caso di alti prezzi, avrebbe anche una concorrenza inedita dalle fonti rinnovabili e dal risparmio energetico ?
- Oggi il petrolio tutto, Opec e non, manterrebbe il suo mercato se tornassero le quotazioni attorno a 100 $/b, molto frequenti negli ultimi 15 anni ?
- Cambieranno le proporzioni tra la produzione non Opec, 60% del totale pur avendo solo il 25% delle riserve globali, e la produzione Opec, 40% con più del 75% delle riserve mondiali ?
- Iran e Iraq, dopo alcuni decenni di emarginazione commerciale, potranno sviluppare tutte le loro potenzialità ?
- La Exxon dedica un terzo degli investimenti allo shale gas, sicuramente lo sfrutterà in modo più efficace dei piccoli produttori, ma questo non indica forse che non è più redditizio investire nel petrolio tradizionale, che comunque darebbe un ritorno economico anche in caso di prezzi bassi ?
- Ci saranno davvero le difficoltà nell’ offerta in caso di investimenti stagnanti o ancora in calo ?

In attesa che si chiariscano almeno alcune di queste incertezze, oggi c’è comunque una grossa crisi del mercato petrolifero e sicuramente ne riparleremo. Ma sarebbe giusto impegnarsi subito affinché l’ economia petrolifera smetta di alimentare le guerre.
Sono convinto che se tutti seguissimo meglio le vicende petrolifere ed energetiche le molte guerre attorno al petrolio sarebbero più difficili.
Dovrebbero essere accesi dei riflettori, ma è utile ogni contributo.
E nel prossimo futuro le occasioni non mancheranno.

Marco Palombo









giovedì 2 marzo 2017

Il futuro di Iran-Iraq e il declino dei paesi non Opec



La produzione petrolifera complessiva dei paesi non Opec, oggi 62 mb/g su 95 mb/g totali, inizierà a diminuire entro pochi anni o addirittura entro pochi mesi. Contemporaneamente crescerà la percentuale di mercato dell’ Opec che ha il 66% delle riserve accertate mondiali e soprattutto aumenterà l’ importanza strategica di Iran e Iraq che insieme hanno il 20% delle riserve mondiali, producono oggi circa l’ 8% della produzione globale e negli ultimi decenni non hanno sfruttato al meglio le proprie risorse a causa di sanzioni internazionali.

C’ è oggi un’ abbondanza di petrolio come mai era successo nei decenni precedenti ?

E’ vero che oggi c’è un’ offerta di petrolio superiore alla domanda, ma è sempre esistita una capacità di produrre petrolio in misura superiore a quanto richiedesse il mercato e l’ Opec, composta da tredici paesi grandi produttori, dalla sua fondazione ha sempre gestito le proprie  risorse in modo da tenere in equilibrio l’ offerta con la domanda e avere così i prezzi a livelli a lei graditi.
Un esempio recente:
dopo la profonda recessione mondiale che seguì la crisi finanziaria del 2008, l’ Opec nel giro di pochi mesi tagliò 4 milioni di barili il giorno su 28 mb/g prodotti in quel momento. Nel 2015 e 2016 invece, mentre i prezzi crollavano, non ha ridotto la sua offerta e solo dal primo gennaio 2017 ha diminuito di un milione b/g il petrolio estratto ma tagliando insieme ai paesi non Opec, non accadeva dal 2001, che nei prossimi mesi  ridurranno 558 mb/g dalla loro produzione del novembre 2016.
Il prezzo basso del 2016 è stato dunque conseguenza di una scelta dell’ Opec, o dell’Arabia saudita, suo paese guida. Una scelta dettata da motivi commerciali o politici e non obbligata.

Lo shale gas ha incrementato in modo ingovernabile il mercato di petrolio ?

Negli ultimi anni gli USA hanno prodotto tre milioni b/g in più grazie alla nuova tecnica, ma nello stesso periodo hanno anche ridotto i consumi di 2 mb/g migliorando l’ efficienza energetica. I nuovi 3 mb/g arrivati sul mercato con lo shale gas sono meno di quanto Norvegia, Messico e Gran Bretagna  hanno perso a causa del declino dei loro pozzi. Questi tre paesi non Opec infatti attorno al 2000 sono arrivati a produrre complessivamente anche 9 mb/g ed oggi non superano i 4,5 mb/g. Inoltre la tendenza a diminuire i consumi di petrolio non è solo degli USA  ma di tutti i paesi più avanzati. L’ Italia dal 2008 ha ridotto il suo consumo del 30%, in parte per la crisi economica ma anche per i miglioramenti nell’ efficienza energetica.
Il petrolio quindi è sempre prezioso ma è possibile consumarne molto meno con risultati equivalenti, è naturale di conseguenza che il suo valore scenda.

Il declino di produzione dei paesi non Opec.

La produzione complessiva non Opec del 2015 fu inferiore a quella del 2014 e potrebbe iniziare presto un declino continuo inesorabile.
Singolarmente i principali paesi produttori non Opec sono ormai ai loro massimi ed alcuni hanno iniziato nettamente il proprio declino produttivo. Ho già scritto di Norvegia, Gran Bretagna e Messico, grandi produttori ormai declinanti da anni. La Cina, che ha raggiunto i 4 mb/g di produzione, a fine 2015 era tornata ai livelli del 2013 e nel 2016 è calata del 6%. La sua produzione è prevista in calo nei prossimi anni, l’ incertezza è solo sulla velocità della discesa. Anche l’ Egitto sta diminuendo progressivamente la propria offerta.
USA e Russia invece sono ai massimi della loro produzione con livelli insperati pochi anni fa, ma le loro riserve accertate sono molto limitate rispetto alla produzione ed entrambi i paesi non reggeranno molto a questi ritmi. La produzione del Canada rimane al momento alta ma alcune sue riserve sono molto costose da mettere sul mercato e rischiano di rimanere inutilizzate.

Accordo Opec-non Opec del dicembre 2016

I paesi non Opec a inizio dicembre 2016 hanno concordato con l’ Opec un taglio di produzione di 558 mila b/g, 300 di questi in Russia. A gennaio la Russia aveva ridotto di 120 mb/g, dopo aver concordato una progressione lenta della sua diminuzione. Nello stesso mese gli altri non Opec complessivamente hanno ridotto di quasi 300 mila b/g mentre avevano concordato 258 mila b/g di riduzione.
Il declino naturale supera quanto era stato concordato di diminuire ? Vedremo nei prossimi mesi se gennaio è stato un eccezione, ma è possibile che l’ accordo non Opec - Opec, il primo dal 2001, nasconda il declino naturale dei paesi non Opec, facendolo passare per una volontaria strategia commerciale.

Nel 2015 e nel 2016 investimenti in calo di più del 20% annuo.

Negli ultimi due anni sono crollati gli investimenti in ricerca ed avviamento di nuovi siti produttivi, si dice a causa dei bassi prezzi di vendita. La diminuzione totale è calcolata in almeno 1.000 mld di dollari. L’ Iea, agenzia energia dei paesi OCSE, teme che questo porti problemi nell’ offerta di petrolio nei prossimi due tre anni.
Ma il calo potrebbe segnalare una tendenza definitiva, gli investimenti nel petrolio potrebbero non essere più convenienti ed oggi sicuramente offrono un ritorno economico meno ricco di prima. Ormai sono state sfruttate le risorse più facili da trovare e mettere in produzione. Le energie rinnovabili sono inoltre ormai sviluppate tecnologicamente e rendono il petrolio meno indispensabile.

Crescerà la percentuale di produzione Opec e soprattutto di Iran e Iraq.

Nel prossimo futuro, tra pochi anni o pochi mesi, il declino complessivo dei paesi non Opec provocherà l’aumento della quota di mercato dei paesi Opec che ora producono solo un terzo del petrolio mondiale pur avendo due terzi delle risorse. E tra i paesi Opec aumenteranno la loro quota di mercato soprattutto Iran ed Iraq che hanno insieme il 20% delle riserve accertate e producono oggi solo l’ 8% del petrolio totale. I due paesi, a guida sciita e poco in sintonia con i sauditi,  aumenteranno quindi produzione, entrate economiche ed importanza strategica.
L’ Iraq è stato sotto embargo dal 1991 al 2003. L’ Iran è stata oggetto di sanzioni economiche fino all’ accordo sul nucleare voluto da Obama. Negli ultimi 25 anni molte risorse dei due paesi sono state poco sfruttate e in entrambi i paesi ci sono margini di crescita superiori a tutti gli altri produttori mondiali.

Ricordiamo allora le loro possibilità future anche quando seguiamo la politica internazionale, quando i cittadini iracheni e iraniani vengono considerati, a differenza dei sauditi, potenziali terroristi. Ognuno ne tragga le conclusioni che più lo convincono ma non dimentichiamo i dati di questo mio confuso scritto.


 Marco Palombo