sabato 29 dicembre 2018

Conte sulle armi ai sauditi. Un lapsus ma anche un po' cazzaro, nell' indifferenza di tutti


Conte risponde sulle armi vendute ai sauditi: "Poichè si parla di Emirati Arabi, ho incontrato al G-20 lo sceicco..."

In occasione della conferenza stampa di fine anno del Presidente del Consiglio, Reuters e l' Ansa hanno dedicato due brevi news alla risposta di Conte sulle armi vendute ai sauditi. Incuriosito sono andato allora sul sito di Radio Radicale per vedere e ascoltare la risposta integrale del premier alla domanda sulla vendita di armi al Regno della dinastia Saud.

La domanda sullo Yemen è stata posta dopo 1 h e 38 ' dall' inizio della conferenza stampa e insieme alla risposta ha occupato quattro minuti delle 2 h  e 54' del video pubblicato da Radio Radicale.

Il tema delle armi all' Arabia è stato sollevato da Paolo Santalucia dell’ Associated Press, APTN, curiosamente in maglione e non in giacca e cravatta come tutti gli altri giornalisti.

Metto tra virgolette la sua domanda e la risposta di Conte per facilitare la lettura, ma le parole che riporto sono una mia sintesi:

“ L'Italia sostiene con altri paesi la coalizione a guida saudita che sta operando in Yemen. C’è un quadro giuridico internazionale che legittima la posizione dell' Italia ma è ormai datato, risale al 2015, e nel frattempo ci sono state decine di migliaia di morti, una catastrofe umanitaria e in ultimo il caso Khashoggi.

A settembre la ministra Trenta e il vice premier Di Maio, si sono detti contrari alla vendita di armi ad un paese impegnato in una guerra del genere, ma le vendite continuano anche se con un trend decrescente. Nel 2017 sono state vendute armi ai sauditi per un valore di 52 milioni di euro.

Alla luce di tutto questo, qual' è la posizione dell' Italia ?"

Risposta del presidente Conte:

" Confermo che la questione è nell' agenda  delle nostre riflessioni e stiamo valutando  con il ministro degli esteri, con la ministra della difesa e con il vice premier Di Maio sempre attento a tutti i dossier. Tra breve trarremo le nostre conclusioni.

Poichè si parla di Emirati arabi (sic!) al recente G-20 ho incontrato lo sceicco (sic!, sic!). L'incontro era già prefissato ma ho chiesto esplicitamente, anche a nome degli altri paesi europei con i quali avevo avuto un incontro in mattinata, che sia fatta piena luce sulla vicenda Khashoggi e che si svolga un processo secondo gli standard internazionali. Ho chiesto anche l' autorizzazione alla presenza di un esperto italiano tra chi segue la vicenda giudiziaria  e che il nostro ambasciatore sia costantemente informato

Siamo contrari alla vendita di armi  e ora si tratta ormai solo di formalizzare la decisione, a breve le nostre conclusioni."

A fine risposta, avvertito da qualche collaboratore, ha precisato che la citazione degli Emirati Arabi è stato un lapsus ed intendeva dire Arabia saudita. 
La risposta nel suo insieme è comunque approssimativa, e curiosamente è simile all' episodio avvenuto di recente al comune di Roma e raccontatato da una giornalista presente:

"Non so francamente come raggiungere la signora Gemma Guerrini che i romani hanno eletto consigliera a Roma. Se qualcuno sa come fare le recapiti quanto segue.

Signora Guerrini, lei con la fascia tricolore da sindaco e rappresentando degnamente la Raggi, stamattina 17 dicembre ha presentato un incontro al Campidoglio su Simon Bolivar confondendo a più riprese Bolivia e Venezuela, boliviano e bolivariano, arrivando poi al dunque a presentare "'l'ambasciatore della repubblica boliviana del Venezuela" (beh sarebbe bello che i paesi dell'Alba si fondessero! Ma dubito che lei sappia cos'è l'Alba). Io sono quella che alla fine del suo intervento (pieno di fuffa; non si è capito nulla oltretutto) le ha lanciato un "ha confuso Bolivar con boliviano e Bolivia con Venezuela", al che lei ha risposto tranquillissima: "ha ragione, ma credo che mi potrà scusare". 

Ora, non si pretende che lei conosca la geografia latinoamericana (si studia alle elementari, comunque). Però, forse un po' di umiltà non guasterebbe: quando ci si mette la fascia tricolore per introdurre un incontro, si prendono 5 minuti per cercare informazioni sul tema. Magari sui vostri amati social.

saluti da una non cittadina romana (per fortuna)  "

Il presidente Conte è più scusabile della consigliera comunale romana. La sua è una risposta di due minuti in una conferenza stampa di tre ore. Inoltre in giorni  tempestosi per il suo governo.
Ma nel tema trattato da Conte il nostro paese è un attore importante anche se non protagonista e la vicenda yemenita è attuale e tragica.

Ma alla luce di questa, sempre evasiva e non episodica,  superficialità del governo Lega-5S su guerre e relazioni internazionali, i pacifisti non si chiedono se almeno loro, noi, possiamo fare di più e meglio ?

Buon 2019 

Marco Palombo

mercoledì 19 dicembre 2018

Documento dell' assemblea nazionale antirazzista "Indivisibili"


Il 16 dicembre si sono riviste a Roma le realtà che hanno promosso la manifestazione nazionale del 10 novembre contro il governo, il razzismo e il decreto Salvini.
  Di seguito il testo approvato che si rivolge sia a tutte le realtà che hanno deciso di partecipare alla manifestazione e sia a quelle che non c'erano, ma sono interessate a costruire un percorso di impegno solidale e antirazzista unitario, ampio e plurale.


Sintesi approvata nell’assemblea nazionale del 16 dicembre

L'assemblea del 16 dicembre considera la manifestazione del 10 novembre una prima significativa mobilitazione nazionale contro il governo, il razzismo e il decreto Salvini. Il corteo ha dimostrato che si può reagire e lottare unitariamente per fronteggiare le misure antipopolari, razziste e repressive del governo.
Vogliamo avvalorare la novità del metodo inclusivo, aperto, rispettoso con cui è stato preparato e realizzato il 10 novembre che ha permesso l'adesione di oltre 450 realtà e di tante personalità.
Ci proponiamo di continuare a mantenere vivo uno spazio nazionale inclusivo e accogliente che permetta la più ampia convergenza possibile tra tutti coloro che condividono l’esigenza di far crescere in ogni ambito solidarietà, antirazzismo, lotta all'esclusione sociale.
Intendiamo dare continuità a questo processo perché c'è bisogno di un impegno costante e determinato per fronteggiare tutte le derive reazionarie, razziste e neofasciste che provengono dai governi, dalle istituzioni statali e padronali e si sviluppano anche dal basso nella società.
Ci uniamo perciò integrando i contenuti fondamentali della piattaforma del 10 novembre, pronti a mobilitarci in caso di qualsiasi attacco repressivo del governo gialloverde:

▪ Per il ritiro della legge “immigrazione e sicurezza” varata dal governo e contro tutta la legislazione razzista.
▪ No al disegno di legge Pillon.
▪ Accoglienza e regolarizzazione per tutte le persone migranti;
▪ Contro l'esclusione sociale e la disumanizzazione, costruiamo solidarietà attiva per il cambiamento sociale.
▪ Contro l'apertura dei nuovi Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e per la chiusura immediata di quelli esistenti.
▪ Difendiamo le occupazione abitative e gli spazi liberi autogestiti.
▪ Solidarietà attiva contro sgomberi, discriminazioni e gli effetti della legge Salvini.
▪ No ai respingimenti e alle espulsioni.
▪ Contro ogni forma di razzismo, la minaccia fascista, la violenza sulle donne, l'omofobia e ogni tipo di discriminazione.

A partire da questi principi l'assemblea ha deciso di:

▪ raccogliere e rilanciare l'invito a partecipare all'assemblea di Milano del 19 gennaio “No CPR”

▪ Promuovere dal 2 al 9 febbraio una settimana di iniziative e mobilitazioni territoriali antirazziste contro la legge Salvini(utilizzando l’hashtag #indivisibili).

La settimana si concluderà con un'assemblea nazionale domenica 10 febbraio a Macerata per la costituzione di un forum permanente solidale contro il razzismo e l'esclusione sociale; uno spazio pubblico dove far convergere reti di solidarietà attiva e pratiche di lotta per i diritti e il cambiamento sociale.

lunedì 17 dicembre 2018

La Lega voterà No a una mozione M5S per blocco vendita armi all'Arabia saudita ?




In questo documento di Amnesty,ReteDisarmo ed altri viene dato per sicuro in commissione esteri della camera il voto "nei prossimi giorni" di una mozione sullo Yemen. Il M5S dovrebbe essere a favore di un blocco immediato alla vendita di armi ai sauditi, vedi 
Io ho messo il punto interrogativo al voto ravvicinato sulla mozione anche perché le stesse associazioni non portano mai avanti con convinzione le loro rivendicazioni. vedi anche F-35, 
e una mozione presentata alla stampa a fine giugno 2017 e con inizio di discussione in assemblea di Montecitorio a metà luglio, venne poi votata a metà settembre senza una nota stampa di sollecito e protesta delle associazioni
che tra l' altro lavorano spesso con Art.21 e il sindacato giornalisti Rai
Resto dell' idea che pure i pacifisti non di professione e più coerenti, anche in pochi, dovrebbero occuparsi di questi temi. Non sarebbe testimonianza, come dice qualcuno, ma le azioni avrebbero qualche risultato, pur relativo e molto dipendente anche dalla capacità e decisione a portare avanti le rivendicazioni. Però risultati ci sarebbero quasi certamente e sicuramente non ci sarebbero danni. A parte perdita di tempo ed eventuali brutte figure, cose assolutamente non paragonabili a morire sotto un bombardamento.
Intanto seguiamo il cammino di questa mozione.
Marco
Da Stoccolma a Washington due segnali di speranza per lo Yemen: cosa farà l’Italia?
Importante accordo ieri in Svezia tra le parti coinvolte nel conflitto in Yemen, mentre il Senato statunitense vota per porre fine al sostegno USA alla coalizione guidata dall’Arabia Saudita.
Due segnali importanti che il Parlamento ed il Governo italiano devono cogliere senza indugio.
Le organizzazioni della società civile italiana che da tempo si stanno mobilitando per porre fine alla guerra e alle sofferenze della popolazione civile yemenita accolgono con favore l’accordo raggiunto ieri in Svezia tra le parti coinvolte nel conflitto in Yemen.
L'accordo dà speranza agli yemeniti in un periodo davvero buio, ma questa speranza rimane fragile visto il proseguimento dei combattimenti, i salari non pagati e l’aumento delle vittime per fame e malattie. Le nostre organizzazioni considerano quindi l’accordo come una base promettente per la pace nello Yemen, che deve essere perseguita con determinazione e velocità.
Un altro segnale importante e positivo arriva inoltre dal Senato statunitense che, nella serata di ieri, ha votato in maniera bipartisan (56 favorevoli contro 41) una Risoluzione con cui si prendono definitivamente le distanze dall’Arabia Saudita (e dalla coalizione che guida) chiedendo, oltre che la fine del sostegno militare USA, anche un significativo intervento economico in favore dello Yemen colpito dalla più grave emergenza umanitari dei nostri tempi. L’iniziativa ha un alto valore politico anche se per essere concretizzata necessita ora di un similare volto alla Camera dei Rappresentanti. Ciò nonostante i Senatori statunitensi hanno finalmente dimostrato, con questo voto, che la vita degli yemeniti viene prima del profitto e degli affari.
L’Arabia Saudita, senza dimenticare i suoi alleati e la presenza nell'alimentare il conflitto anche di altri soggetti a livello internazionale che usano lo Yemen come scacchiera per i propri scontri, risulta infatti essere tra i principali responsabili di una guerra mostruosa e devastante. Se si pensa che solamente tre anni fa nessun senatore USA si oppose alla vendita di bombe all’Arabia Saudita destinate al gravissimo conflitto in Yemen, il voto di ieri è un risultato che potrebbe dare la svolta decisiva alle sorti del conflitto.
Sono dunque maturi i tempi affinché pure l’Italia e i suoi rappresentanti politici agiscano con coraggio e responsabilità, per fermare anche i coinvolgimenti del nostro Paese nel conflitto (come già richiesto numerose volte in Risoluzioni del Parlamento Europeo). Per le nostre organizzazioni i due importanti accadimenti di ieri devono diventare stimolo e spinta decisivi per il Governo ed il Parlamento italiano affinché vengano intrapresi passi decisivi nel porre fine alle esportazioni di armi italiane verso il conflitto, a nostro parere illegali oltre che con impatto negativo.
In particolare nei prossimi giorni dovrebbero essere discusse nell’ambito della Commissione Esteri della Camera dei Deputati alcuni documenti sul tema, tra cui una Risoluzione presentata da una delle forze di maggioranza (il Movimento 5 Stelle). Il nostro appello ed auspicio è che il testo che verrà votato ed approvato contenga disposizioni concrete che impongano un embargo immediato e la sospensione delle attuali licenze di esportazione di armi oltre che un aumento sensibile delle risorse destinate all’aiuto della popolazione yemenita.
Amnesty International Italia - Fondazione Finanza Etica - Movimento dei Focolari Italia - Oxfam Italia - Rete della Pace - Rete Italiana per il Disarmo - Save the Children Italia

sabato 15 dicembre 2018

Oggi a Roma la prima manifestazione visibile dei Gilet gialli in Italia ? Tra poco sapremo

 


Sabato 15 dicembre ore 13.20
Oggi a Roma la prima manifestazione visibile dei "Gilet gialli" in Italia ?
Tra due o tre ore sapremo.
15 Dicembre. “Get up Stand Up, in piazza per i diritti di tutti
di Redazione Contropiano

E’ urgente una risposta di massa unitaria, di lavoratori italiani e migranti, bianchi neri e di qualsiasi altro colore di pelle.
Non solo perché il “decreto sicurezza” è un’infamia che grida vendetta, moltiplicherà i migranti senza fissa dimora e dunque “l’insicurezza percepita”, che si trascina dietro risposte ancora più autoritarie e idiote.
Non solo perché quel decreto mira a rendere impossibile qualsiasi mobilitazione – con quelle regole i Gilets Jaune francesi sarebbe stati affrontati a colpi di cannone, come ai tempi del generale criminale Bava Beccaris – e a criminalizzare la resistenza sociale.
Urge una risposta in quanto lavoratori, di ogni settore e mansione. Perché se in un paese è “legale” sfruttare manodopera pagata due-tre euro l’ora, facendola dormire in baraccamenti che esistono da anni, sotto gli occhi di polizie locali, nazionali e internazionali, allora nessun lavoratore può sentirsi sicuro di non esser spinto anche rapidamente nella stessa condizione. Senza poter difendere il livello del salario, i propri diritti sul posto di lavoro, a partire dal diritto di farsi rispettare dal padrone.
Per questo, dunque, la mobilitazione del 15 dicembre non è una manifestazione genericamente “di migranti” o antirazzista. E’ anche questo, naturalmente. Ma è in primo luogo una manifestazione di lavoratori. Che, come il capitale, non hanno colore né nazione.Ma sanno unirsi contro il nemico comune.
Ci vediamo in piazza! Sabato 15 dicembre, ore 14.00 Piazza della Repubblica, magari con un gilet giallo.
Qui di seguito l’appello degli organizzatori:
*****
Le disuguaglianze sociali che si soffrono in Italia, indipendentemente dalla provenienza geografica e dal colore della pelle, non si risolvono seminando odio o facendo guerra ai “diversi”.
Siamo parte di quelle donne e quegli uomini che continuano a produrre la ricchezza di questo paese e tutto ciò viene falsificato da una propaganda demagogica. Noi viviamo le stesse difficoltà e la stessa precarietà che vivono le persone che abbiamo già trovato in questo Paese, che è anche la nostra terra di vita. Noi viviamo lo stesso sessismo che vivono le nostre concittadine. Noi viviamo la stessa mancanza di servizi; viviamo l’abbandono in periferia; viviamo le difficoltà a pagare affitti troppo costosi rispetto ai salari che percepiamo; viviamo lo stesso sfruttamento e la medesima povertà.
Il 15 dicembre a Roma potremo reclamare ciò che ci stanno negando in termini di libertà e giustizia sociale in una grande manifestazione nazionale, contro qualsiasi forma di razzismo, sessismo e discriminazione. Alla manifestazione “Get up, Stand Up! Stand up for your rights” devono poter partecipare tutti. Il diritto a manifestare deve essere anche e soprattutto di chi non ha i soldi per farlo. Con questa campagna vi chiediamo di aiutarci a rendere effettivo questo diritto, donando per affittare dei pullman che permettano a tutti i lavoratori, spesso sfruttati, senza diritti e senza reddito, di raggiungere Roma da ogni parte d’Italia. Vogliamo permettere a tutte e a tutti (lavoratori, neet, studenti, precari, disoccupati) di manifestare, anche se non riescono a pagarsi il viaggio.
Questa campagna è per il diritto di tutti a manifestare, per il diritto al reddito minimo per tutte e tutti, per spese e servizi sociali fuori dal patto di stabilità.
14 dicembre 2018 - © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: 14 di

martedì 11 dicembre 2018

Commissioni esteri M5S:"Ministero esteri sospenda subito invio di bombe italiane all' Arabia saudita"




Da Il Velino 10 dicembre 2018

"Basta parole e annunci, è ora di agire concretamente per interrompere la vendita di armi italiani a Paesi in guerra che macchia la reputazione internazionale del nostro Paese. Il Ministero degli Esteri deve intervenire subito per sospendere il trasferimento di bombe italiane all’Arabia Saudita impiegate nel conflitto in Yemen”. Così in nota congiunta senatori e deputati M5S delle Commissioni Affari Esteri di Palazzo Madama e Montecitorio commentano la denuncia di Amnesty International nei confronti dell’Italia nel suo rapporto annuale sullo stato dei diritti umani nel mondo. 

“E’ intollerabile che la Germania abbia deciso di interrompere le sue forniture militari dirette a Riad, ma continui a venderle bombe attraverso la succursale italiana di una fabbrica tedesca, la RWM Italia di Domusnovas, con una plateale triangolazione. E’ evidente che la legge italiana che vieta queste vendite, la 185/90, abbia dei ‘buchi’ che consentono di aggirarne l’applicazione e infatti il Movimento 5 Stelle sta per presentare un disegno di legge per ‘tappare’ questi buchi. Ma nell’attesa di migliorare legislativamente i meccanismi di controllo, urge una coraggiosa decisione politica”.

da Il Velino 10 dicembre 2018

lunedì 10 dicembre 2018

Roma,Parco Archeologico Centocelle: persi 5 milioni di euro senza novità entro fine anno.



Mobilitazione per il Parco Archeologico di Centocelle
Pinuccia basta falsità, la bonifica dove sta?

Mercoledì 12 dicembre ore 16,00- Piazzale Porta Metronia Assessorato Sostenibilità Ambientale

A quasi due anni dall'Ordinanza della Sindaca la promessa bonifica del Parco non ha fatto passi avanti. Anzi il Parco è a rischio chiusura e questa prolungata inerzia lo sta trasformando in una potenziale minaccia per la salute dei cittadini.

Questa amministrazione nonostante le tante promesse lascia 125 ettari destinata a verde pubblico in balia di roghi tossici, autodemolitori, falde inquinate, rifiuti interrati e suoli contaminati. Allo stato attuale è emerso che non è neanche stato regolarizzato il passaggio di proprietà dal Demanio militare, nonostante le sollecitazioni.

E quasi 5.000.000 (5 milioni!) di € stanziati dalle precedenti amministrazioni per la realizzazione del Parco e la musealizzazione delle ville romane stanno per andare persi con l'approvazione del bilancio 2019 di Roma Capitale.

Comitato PAC Libero e Cinecittà Bene Comune invitano cittadini, comitati e associazioni ad un presidio presso l'Assessorato Sostenibilità Ambientale, per chiedere all'Assessore Pinuccia Montanari:
di procedere con le procedure di bonifica, facendosi carico di chiedere per il bilancio 2019 lo stanziamento dei fondi eventualmente necessari
di assicurarsi che siano messe in campo le opportune procedure amministrative affinché con il nuovo bilancio comunale non vadano persi i fondi già disponibili
Un'area verde che interessa 300.000 abitanti, una risorsa per il turismo e l'economia locale non può andare persa così!

Per info e adesioni:

pac.libero@gmail.com - cinecittabenecomune@gmail.com

www.parcodicentocelle.it - https://cinecittabenecomune.wordpress.com/

https://it-it.facebook.com/pac.libero/ -

https://it-it.facebook.com/cinecittabenecomune.ilmunicipiodegliacquedotti/

martedì 4 dicembre 2018

MBS, Cop24, sanzioni all' Iran: verso la fine dell' era del petrolio

Il cordiale saluto al G 20 tra Putin e il principe saudita Bin Salman

Arabia saudita, Cop24, sanzioni all' Iran

Tre grandi temi, che in queste settimane occupano molto spazio sui media, hanno in comune tra loro un elemento: la presenza centrale dei combustibili fossili, soprattutto del petrolio.
Non è una scoperta di oggi l' importanza del petrolio nelle relazioni internazionali, ma la novità cruciale è che i prossimi due o tre decenni vedranno molto probabilmente l' inizio del calo del suo utilizzo.

La previsione più attendibile viene dall' Iea, l' agenzia energetica dei paesi OCSE, che nell' ultimo rapporto 2018 ipotizza il 2040 come anno in cui il nostro pianeta toccherà il massimo della domanda petrolifera.
I paesi OCSE sono già vicinissimi al loro picco di domanda e gli USA, primi consumatori mondiali, e la nostra Italia, hanno già iniziato a diminuire sensibilmente la quantità di petrolio utilizzata.

Attorno al 2025 dovrebbe arrivare il picco del consumo petrolifero per le automobili, un quarto del consumo globale di petrolio, ma per una ventina di anni la diminuzione di consumi petroliferi per auto sarebbe compensata dall' aumento di consumi per altre attività, come l' industria petrolchimica e il trasporto aereo.

Se la transizione energetica appare sicura, il modo in cui avverrà è al momento imprevedibile. Alcune tendenze sembrano certe, ma la combinazione di molti processi intrecciati tra loro rende assolutamente imprevedibile il percorso.

Vediamo ora come le tre vicende citate nel titolo sono legate alla fase attuale, cioè all' avvicinarsi  della fine dell' era del petrolio.

Arabia saudita.

Il caso Khasshogi ha dimostrato al grande pubblico quanto sia feroce la politica del Regno dei Saud nonostante il grande legame di alleanza dell' Arabia con i paesi dell' occidente. La difficoltà attuale dei sauditi con l' opinione pubblica occidentale arriva proprio mentre Riyad è impegnata in una grande azione di pubbliche relazioni per attirare investimenti occidentali, necessari al suo programma economico Vision 2030, che dovrebbe traghettare il paese dalla monoeconomia petrolifera al futuro post era del petrolio.
Nei mesi passati era già in difficoltà la prevista quotazione in Borsa del 5% delle azioni della Saudi Aramco, l' impresa energetica statale, un' operazione slittata verso una data da definire. Anche se sarà collocato sul mercato solo il 5% dell' Aramco, l' operazione finanziaria sarebbe ugualmente la più grande di tutti i tempi e New York, Londra ed Hong Kong stanno facendo ponti d' oro ai sauditi per aggiundicarsi l' esclusiva dell' operazione in aggiunta alla Borsa di Riyad.

I leader occidentali, e Putin, al recente G-20 di Buenos Aires non hanno fatto pesare al principe ereditario Bin Salman il sopetto di essere il mandante dell' assassinio del giornalista saudita Khasshogi, ma l' opinione pubblica occidentale non dimenticherà l' episodio così in fretta come stanno facendo i suoi governanti, e il programma Vision 2030 ne soffrirà non poco.

Cop24 e USA

Il ritiro degli USA dagli accordi sul clima di Parigi è stato presentato come frutto della avidità e ignoranza del presidente Trump, incapace di indirizzare le proprie azioni verso risultati non visibili in tempi strettissimi. Ma se gli accordi di Parigi fossero applicati in modo completo nei tempi previsti, tutta la transizione energetica, oggetto di questo scritto, sarebbe accelerata moltissimo e il declino dell' uso petrolio sarebbe immediato.

E la fine dell' era del petrolio potrebbe segnare un indebolimento sensibile dell' egemonia economica degli Stati Uniti sul mondo intero. L' industria petrolifera USA, dentro e fuori i confini, il dollaro e i legami internazionali di Washington, con la fine dell' era del petrolio hanno molto da perdere e poco da guadagnare e la transizione energetica potrebbe essere una concausa importante di future difficoltà  per l' egemonia mondiale USA in campo economico, militare e politico.

Ritardare la transizione energetica può allora essere davvero utile agli USA e non una sciocca mossa suicida, come spesso è presentata.

Sanzioni all' Iran

Abbiamo visto negli ultimissimi anni come ci sia una tendenza alla sovraproduzione petrolifera e come questa provochi prezzi bassi e difficoltà a tutta la filiera produttiva. L' emarginazione parziale dell' Iran dal mercato petrolifera aiuterebbe a gestire meglio l' eccesso di produzione e la gestione ottimale dei prezzi da parte dell' Opec e degli altri produttori.
Dal 1979, anno della rivoluzione di Komeini, l' Iran è stata limitata nello sviluppo della sue potenzialità produttive da pesanti sanzioni economiche. L' accordo 5 + 1 sulla industria nucleare iraniana aveva riportato Therhan protagonista nell' industria petrolifera mondiale ma aveva reso questa meno gestibile dai sauditi.
Sauditi e alleati hanno quindi bisogno dell' emarginazione iraniana dal mercato petrolifero per condizionare in modo a loro più conveniente la fase storica attuale che si annuncia cruciale soprattutto per il futuro dei paesi produttori.

Queste righe sono solo un piccolo accenno alla transizione energetica in corso, ma vedrete che nel futuro la fine dell' era del petrolio sarà molto chiara a tutti, anche se le sue conseguenze sono difficilmente prevedibili.

Marco Palombo

domenica 25 novembre 2018

Bombe Yemen, Rete Disarmo incontra la ministra della Difesa Trenta e salta un' iniziativa con altre associazioni ?




Un appello per la cessazione delle vendita di armi italiane all’ Arabia Saudita, pubblicato dal sito di Amnesty International il 12 novembre, annuncia una iniziativa comune per il 22 novembre di varie associazioni:

Amnesty International Italia, Fondazione Finanza Etica, Movimento dei Focolari, Rete della Pace, Rete Italiana Disarmo, Oxfam Italia, Save the Cildren Italia,

Nel pomeriggio del 12 novembre si è poi svolto un incontro con la ministra Trenta di quattro esponenti della Rete Disarmo dove sono stati toccati anche altri temi che stanno a cuore alla Rete, per il coordinamento erano presenti:

Lisa Clark (Beati costruttori di Pace), Martina Pignatti Morano (UN Ponte per), Francesco Vignarca (coordinatore della Rete Disarmo), Mauro Simoncelli   (Archivio Disarmo)

Questo l’inizio dell’ articolo che si può leggere integralmente al link

Rete Disarmo: confronto aperto e positiva interlocuzione istituzionale con la Ministro della Difesa Elisabetta Trenta
Oltre un’ora di scambio di valutazioni e proposte sui temi di competenza della RID, che ritiene positiva l’attenzione dimostrata dal Dicastero di via XX Settembre alle istanze della società civile italiana su disarmo, spese militari e controllo degli armamenti.
12 novembre 2018
Fonte: Rete Italiana per il Disarmo - 12 novembre 2018

Questo pomeriggio una Delegazione della Rete italiana per il Disarmo si è incontrata a Roma con la Ministro della Difesa Elisabetta Trenta. In oltre un’ora di confronto aperto e concreto si sono affrontati e discussi, pur nella diversità dei ruoli e delle prospettive, i diversi temi che sono oggetto delle azioni e delle campagne della Rete e di tutte le sue organizzazioni aderenti.
In particolare gli esponenti di RID hanno sottolineato la necessità di mettere fine alle irresponsabili e problematiche esportazioni italiane di armamenti, prime fra tutte quelle dirette alla Coalizione a guida Saudita che sta intervenendo militarmente nel conflitto sanguinoso in Yemen. Una decisione che sarebbe necessaria non solo da un punto di vista della protezione dei civili yemeniti e per poter avviare un intervento umanitario e di di pacificazione della regione, ma anche per evitare problemi alla nostra stessa sicurezza. Continuare infatti, come nel recente passato, a rilasciare autorizzazioni all’esportazione di armamenti solo sulla base di motivazioni legate al sostegno dei produttori di armi è controproducente per il nostro Paese e non rispondente anche allo stesso mandato del Ministero della Difesa che non può essere considerato un mero “mediatore di affari” armati.


Dell’ iniziativa del 22 novembre non ho invece trovato alcuna traccia sul web.

Che sia saltata dopo l’ incontro con la ministra Trenta ?

Sicuramente no, è un mio dubbio senza alcuna prova e in questo momento c’è anche un’ apertura dell’ Arabia Saudita al negoziato ONU per la guerra yemenita,

ma sarei contento che qualcuno mi spiegasse i motivi per cui è saltata, per ora, l’ iniziativa del 22 novembre.

Marco Palombo

sabato 24 novembre 2018

Il prezzo del greggio perde il 9% in 5 giorni solo per una mossa dell' amministrazione Trump


La scelta dell' amministrazione Trump di tornare alle sanzioni all' Iran e di esentare da queste 8 paesi, comunicando questa seconda mossa in modo quasi improvviso dopo che erano molto salite le quotazioni del greggio,

ha provocato una rapida discesa del prezzo del petrolio, e questa settimana il calo è stato del 9%, sostanzialmente identico per il Brent del Mare del Nord e per il WTI statunitense.

L' oscillazione di prezzo ha portato lo spostamento di enormi risorse finanziarie in tutto il mondo. Qualcuno avrà guadagnato molto, altri avranno perso, a seconda dei tempi erano stati effettuati i loro investimenti sul petrolio o le loro dismissioni.

Tutto questo sta succedendo solo per la mossa del governo di un paese che rappresenta circa il 5% della popolazione mondiale.

Non azzardo davvero ipotesi di nessun tipo, segnalo però la vicenda, che comunque dimostra che negli ultimi anni si è rotto l' equilibrio nel mercato del greggio che sta oscillando moltissimo.

Di seguito un articolo di Sissi Bellomo sul Sole24ore.

M.P.




Il Black Friday del petrolio: Brent sotto 60 dollari
·         –di Sissi Bellomo

·         24 novembre 2018

È stato un Black Friday davvero. Per il petrolio la settimana si è chiusa con un’altra seduta nera, anzi nerissima. E come nei negozi si sono visti prezzi da super-saldi:il Brent è scivolato addirittura sotto 60 dollari al barile, mentre l’americano Wti vede ormai vacillare la soglia dei 50 dollari.
Entrambi sono ai minimi da ottobre dell’anno scorso, dopo aver di nuovo subito un tonfo di circa il 7%, come era già successo martedì scorso e anche il martedì precedente. Sedute di volatilità estrema, che sembrano fatte con lo stampino e che fanno sospettare forti riposizionamenti da parte di soggetti finanziari:forse non più fondi o Cta (Commodity Trading Advisors), che hanno ormai finito di liquidare le posizioni rialziste, ma piuttosto banche, che hanno fatto da controparte alle operazioni di hedging di compagnie petrolifere e governi
Non sono molti i Paesi produttori di petrolio che si proteggono dal rischio di ribassi attraverso contratti derivati, ma il Messico e il Brasile l’hanno certamente fatto, entrambe utilizzando opzioni put (che danno diritto a vendere al raggiungimento di un certo livello di prezzo). Ein gioco non ci sono solo quattro spiccioli.
Il programma messicano, soprannominato Hacienda Hedge, di solito copre 200-300 milioni di barili di greggio l’anno. Nel 2018 il “paracadute” è costato 1,3 miliardi di dollari, aveva dichiarato il ministero delle Finanze, e in media proteggeva da una caduta dei prezzi sotto 46 dollari al barile. Più o meno ci siamo.
Le forze ribassiste sui mercati petroliferi – ormai in discesa per sette settimane consecutive – sono comunque tante. Indubbiamente il quadro dei fondamentali giustifica l’inversione di tendenza (se non la forza del crollo), dopo la corsa che aveva portato le quotazioni del barile al record da 4 anni a ottobre, oltre 86 $ nel caso del Brent.
Le prospettive di crescita dell’economia mondiale sono peggiorate, anche sull’onda delle tensioni commerciali Usa-Cina. Ma soprattutto l’allarme per le sanzioni Usa contro l’Iran è scomparso dopo la decisione a sorpresa di concedere esoneri a otto Paesi importatori, sia pure solo parziali e temporanei. Nel frattempo l’offerta è cresciuta moltissimo, soprattutto negli Usa, in Russia e in Arabia Saudita:in tutti e tre i Paesi la produzione è ai massimi da decenni.
Riad in particolare, cedendo alle pressioni di Trump, non solo ha aperto i rubinetti dalla primavera scorsa, ma a giugno era anche riuscita a convincere tutta l’Opec Plus ad avallare una riduzione dei tagli. Ora si rende conto dell’errore, ma fare marcia indietro al prossimo vertice del 6 dicembre rischia di non essere facile.
https://i2.res.24o.it/art/finanza-e-mercati/2018-11-22/ecco-perche-borse-hanno-perso-15mila-miliardi-2018-170912/images/fotohome6.jpg
·         GRAFINOMIX


·         23 novembre 2018
Il ministro saudita Khalid Al Falih ieri ha confermato le indiscrezioni secondo cui Riad sta producendo a livelli senza precedenti: «Eravamo intorno a 10,7 milioni di barili al giorno a ottobre e ora siamo al di sopra», ha detto Al Falih, assicurando però di essere pronto a tirare il freno. «Non inonderemo il mercato, non manderemo petrolio a clienti che non ne hanno bisogno. Abbiamo già iniziato a diminuire a dicembre e mi aspetto che continueremo nell’anno nuovo».
Nel frattempo le compagnie petrolifere cercano di tenere duro. «Tra i 50 e i 55 dollari al barile abbiano neutralità di cassa con tutti i costi inclusi», ha rassicurato Claudio Descalzi, ceo dell’Eni. Dall’Opec «vedremo se ci sarà un taglio e che tipo di taglio». Se questo non sarà sufficiente, secondo Descalzi bisognerà attendere sei mesi, ossia la scadenza degli esoneri alle sanzioni, per capire cosa succederà all’export iraniano. «In questo periodo penso che il petrolio oscillerà tra 60 e 70 dollari al barile».






giovedì 22 novembre 2018

Nella Ginatempo: Disarmo e smilitarizzazione. Che fare ?


http://contropiano.org/interventi/2018/11/22/disarmo-e-smilitarizzazione-che-fare-0109754
Ciò che non si vede più nelle piazze e sulla scena della politica è un movimento nazionale di massa contro la guerra. Ma in modo puntiforme, a volte sommerso, a volte visibile, nei punti caldi della militarizzazione, resistono gruppi di lotta, di mobilitazione, di controinformazione. Penso alle aree invase e devastate dalla militarizzazione, ai poligoni di tiro in Sardegna, alle basi militari come Sigonella e il Muos, come Camp Darby in Toscana, le basi atomiche di Aviano e Ghedi, le fabbriche di esplosivi, i gruppi di testimonianza come le DonneinNero, i compagni di Genova con l’ora in sienzio per la pace, e tanti piccoli gruppi sparsi che resistono nell’indifferenza generale o quasi. La maggior parte di questi comitati di lotta sul territorio si sviluppano e durano nel tempo perché sentono la guerra vicina in quanto i processi di militarizzazione sono per loro concreti, visibili, pericolosi e inquinanti.
Io penso a loro come tante perle sparse sul territorio nazionale. Il problema è che tante perle non fanno una collana, perché per fare una collana ci vuole un filo, e un gancio di chiusura per non farle sfilare. Così per un movimento contro la guerra vicina, voglio dire contro la militarizzazione, è necessario un soggetto politico che consapevolmente e responsabilmente costituisca questo filo. Cioè offra organizzazione, messa in rete, iniziative comuni, una agenda, una piattaforma comune, una comune rivendicazione di obiettivi. Penso per esempio a iniziative concrete come una giornata nazionale contro le basi militari, ad una carovana contro la guerra che attraversi tutti i territori militarizzati creando assemblee, controinformazione, presidi. E tante altre idee si potrebbero lanciare ma ci vuole una volontà comune di mettersi insieme. Insieme come movimento nuovo. Senza ripetere gli errori del passato.
Elenco questi errori sinteticamente a partire dalla mia esperienza nei social forum:
-costituire una federazione di partiti e associazioni piccole e grandi con una leadership stile intergruppi che litiga all’infinito e non si integra mai
-delegare la principale soluzione dei problemi a rappresentanti politici che puntino al governo. Vedi la brutta fine delle promesse fatte da rifondazione prima e dai 5stelle poi. F35, missioni militari, spese militari, fedeltà alla Nato: tutto in cenere perché il governo è letale, porta alla cogestione,al tradimento delle aspettative.
-perdere l’autonomia del movimento, frazionarsi in comitati elettorali dei diversi partiti di sinistra, buttare energie nel problema della rappresentanza e non in quello del radicamento sociale. Non ho nessuna soluzione pronta e smetto qui di fare la maestrina.
Spero di avere scritto cose utili.

mercoledì 21 novembre 2018

Nella Ginatempo: una riflessione sul perchè il movimento contro le guerre è sparito

di Nella Ginatempo , articolo uscito su Contropiano il 17/11/2018
Ero tra le persone maggiormente impegnate a organizzare un grande movimento nazionale contro la guerra. Era l’inizio di questo secolo, subito dopo il crollo delle Torri gemelle (11 settembre 2001), i social forum si costituivano in tutte le città d’Italia, dentro la generale tematica “No alla globalizzazione, un altro mondo è possibile”.
Dopo i fatti di Genova e l’uccisione di Carlo Giuliani, un grande movimento di massa era nato in tutta Italia. Le piazze erano piene di lotte per tutte le tematiche economiche sociali e ambientali. In questo clima organizzavo insieme ad un gruppo di compagni in varie città d’ Italia il social forum Bastaguerra che affrontava la tematica generale del sistema di guerra e contribuì a numerose mobilitazioni locali e nazionali tra cui soprattutto la gigantesca manifestazione contro la guerra in Iraq che ebbe luogo a Roma e in tutte le capitali del mondo il 15 febbraio 2003 con milioni di persone in piazza.
Tra gli attivisti del movimento e tra la grande massa di persone che ci seguiva gli obiettivi erano chiari: no alle missioni militari ( ritiro delle truppe), no alle basi militari ( rimozione degli armamenti a partire da quelli atomici e dalle armi di distruzione di massa), no alle spese militari ( riconversione delle spese in spese sociali), no alle fabbriche di armi ed al commercio di armi.
Ma soprattutto era chiaro il sentimento collettivo di ripudio della guerra in quanto tale, e dunque rottura della complicità italiana col sistema di guerra da cui bisognava sganciarsi.
C’erano fattori incoraggianti che motivavano l’attivismo: la partecipazione di massa, la presenza nel movimento dei social forum, di associazioni e partiti di sinistra come Rifondazione .
Quando nel 2016 le sinistre andarono al governo con Prodi e con l’appoggio di Rifondazione si ebbe la battuta di arresto. La prima avvisaglia fu la spilletta arcobaleno sul bavero della giacca di Bertinotti alla parata militare del 2 giugno, parata che per anni i pacifisti avevano contestato come vetrina delle macchine di morte e delle spese militari. Subito dopo i parlamentari eletti col voto dei pacifisti in Parlamento fecero l’esatto contrario di quanto promesso prima del voto nelle numerose manifestazioni che si erano fatte per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan. Cioè votarono come richiesto dal “governo amico” per la continuazione delle missioni militari, cioè la guerra. Inoltre, mentre una parte delle associazioni presenti nei social forum contestavano il governo amico e protestavano contro le sinistre “con l’elmetto”, viceversa le grandi associazione come Arci, Libera e naturalmente Cgil, Acli e varie, si schierarono a difesa del governo.
Questo ebbe i seguenti effetti a catena: si spezzò l’unità interna ai social forum; si espansero le fratture tra i gruppi piccoli e grandi primi tra tutti Cobas e Disobbedienti; la delusione di massa fu devastante e totale così la partecipazione si spense di colpo; non ci furono più grandi manifestazioni contro la guerra; la generale mancanza di risultati ottenuti dopo anni di mobilitazioni creò sfiducia e disorientamento. Il movimento contro la guerra tornò a inabissarsi nell’indifferenza della società.
Oggi comunemente la guerra non è più sentita come un problema vitale di cui preoccuparsi. La guerra è lontana, il sentimento collettivo prevalente è l’indifferenza o la rassegnazione. Non c’è più un soggetto politico che informi, coinvolga, sveli i nessi tra spese militari e austerity, tra guerra e flussi migratori, tra barbarie in Yemen e Palestina e barbarie domestica tra noi, nelle fabbriche d’armi, nei processi di militarizzazione. Lottare contro la guerra , poi, a molti militanti sembra fuori portata, una prospettiva troppo lontana, troppo generale, troppo utopica, irraggiungibile.
Eppure una volta dicevamo locale è globale e anche UN ALTRO MONDO E’ POSSIBILE.

lunedì 19 novembre 2018

Eni e Russia: cosa manca nei commenti sulla Libia e piano di pace ONU



La Conferenza di pace sulla Libia, che si è svolta a Palermo il 12 e 13 novembre, è stata ormai commentata da tutti i pochi osservatori interessati. Mancano però dalle analisi due elementi fondamentali sul ruolo russo e dell' Eni nella complessa vicenda libica.

Il summit palermitano voluto dal governo italiano ha avuto come filo conduttore il piano di pace che l' incaricato delle Nazioni Unite Ghassan Salamè ha presentato al Consiglio di Sicurezza ONU qualche giorno prima della Conferenza di Palermo
Il piano prevede un percorso politico istituzionale in tempi molto stretti, non più di 12 mesi, e mette a fuoco i due principali ostacoli che questo percorso dovrà superare. Il ruolo delle milizie armate, soprattutto a Tripoli e nella sua regione, e la divisione e l' utilizzo dei proventi petroliferi che sono tornati enormi. Il piano stima 13 miliardi di dollari di entrate nei primi sei mesi del 2018, in un paese di sei milioni di abitanti.

A Palermo lunedì 12 si sono tenuti due tavoli di lavoro: uno sulla sicurezza nella area della capitale, l' altro sulle riforme economiche, che vedono al centro la gestione dell' industria energetica libica.
I passi fondamentali per avviare il percorso di pace sono stati individuati nella istituzione di forze militari regolai dello stato libico e nella unificazione e certificazione internazionale della produzione libica di idrocarburi e dei suoi proventi economici. Riunificando la Compagnia energetica libica e la Banca Centrale ora gestite in modo autonomo dai governi di Tripoli e di Tobrouk nei territori da loro amministrati.

In generale i media e i commenti degli osservatori hanno illustrato queste tematiche, nessuno ha citato però due questioni: il ruolo fondamentale dell' Eni per aiutare l' ONU ad attuare i suoi propositi nell' industria libica degli idrocarburi e l' interesse attuale russo per petrolio del Medio oriente.

Il ruolo fondamentale dell' Eni nella riforma della produzione degli idrocarburi e della Banca centrale libica.

L' Eni è stata, paradossalmente, avvantaggiata dalla guerra libica in corso dal 2011. Lo spiega questo articolo su Lindro, citando il Wall Street Journal:


Negli anni successivi alla caduta di Gheddafi e alla guerra civile che ancora imperversa nel Paese, la più importante azienda energetica italiana – in parte controllata dallo Stato – ,l’ENI ha acquisito di fatto il monopolio della produzione e distribuzione di petrolio e gas in Libiagrazie alle alleanze strette con le milizie islamiche e potentati locali nel vuoto di governo, come rivelato da un servizio del Wall Street JournalL’ENI può contare una presenza di lungo corso in Libia, dove si è installata dal 1959, radicandosi territorialmente attraverso accordi e compromessi con le tribù in grado di fornirle protezione. Nel 2015 l’ENI gestiva un terzo di tutta la produzione di gas e petrolio della Libia, mentre prima della guerra del 2011 e dell’uccisione di Gheddafi il giro di affari si aggirava a un quinto della produzione totale. Secondo i dati forniti dal Sole 24 Ore, ENI adesso fornisce 384 mila barili di petrolio al giorno, corrispondenti a quasi il 70% della produzione del Paese. Nello scorso luglio l’azienda energetica italiana ha avviato la seconda fase della produzione dal giacimento di gas off-shore di Bahr Essalam, il più grande dello Stato africano, con riserve pari a 260 miliardi di metri cubi di gas. Bahr Essalam, così come il gasdotto Greenstream, collegato direttamente a Gela, è situato a 120 chilometri da Tripoli, nel territorio controllato dal governo di al-Sarraj – il cui governo è sostenuto dall’Italia. Lo scorso ottobre la libica National Oil Corporation (Noc), l’ingese British Petroleum (BP), ed ENI, hanno firmato un accordo per l’assegnazione a Eni di una quota del 42,5% nel patto di esplorazione fra BP e Noc in Libia, con l’obiettivo di rilanciare le attività di esplorazione e sviluppo e di promuovere investimenti nel Paese. “

E' evidente quindi che, dato il ruolo dell' Eni nel sistema produttivo libico, l' impresa italiana sarà decisiva per la riuscita dell' riunificazione dell' industria petrolifera e per il ritorno ad una unica Banca Centrale.

L' interesse attuale russo per il petrolio del Medio oriente.

La Russia è vicina alla sua possibile massima produzione di petrolio, nei prossimi anni il greggio prodotto da Mosca inizierà inevitabilmente a diminuire. Nello stesso tempo aumenterà notevolmente l' importanza del petrolio del Medio Oriente. Il petrolio dei paesi Non Opec è sostanzialmente ai suoi massimi, ha margini di aumento di produzione solo lo shale gas USA. Ed anche in caso di sovraproduzione petrolifera rispetto alla domanda mondiale, il greggio mediorientale sarà più importante in futuro, avendo costi di estrazione molto più bassi rispetto al resto del mondo.
Quindi, qualsiasi scenario si verificherà in futuro nel complesso scacchiere petrolifero mondiale, il petrolio del Medio Oriente acquisterà molta più importanza rispetto ad oggi.

Per questo la Russia sarà nei prossimi anni più interessata al Medio Oriente rispetto al passato. E prima in Siria, ora in Libia lo sta dimostrando.

Marco P.