martedì 29 gennaio 2019

Da Repubblica: Venezuela. La mossa della UE per il negoziato


L' Europa lavora a un gruppo di contatto per il Venezuela. Il format sarà discusso dopodomani dai ministri degli Esteri dell' Unione a Bucarest.  Del gruppo dovrebbero far parte alcuni paesi europei come Spagna e Italia (i partner con più cittadini in Venezuela), Francia, Regno Unito, e Germania (membri del Consiglio di Sicurezza ONU). Si punta a coinvolgere gli altri big delle Nazioni Unite (USA, Cina e Russia) e alcuni attori della regione, tra cui Cuba.

L' idea non è di mediare, visto che Europa e USA, rifiutano contatti con Maduro, ma di favorire il dialogo tra le due parti per evitare violenze e arrivare a elezioni. Gli europei sperano di lanciare il gruppo di contatto entro il fine settimana. Una novità che oltretutto eviterebbe alla UE il riconoscimento di Guaidò - sul quale premono Spagna e Francia - ma frenano gli altri - allo scadere degli otto giorni concessi a Maduro per convocare elezioni.

lunedì 28 gennaio 2019

UE, governo italiano, M5S: " Linea comune sul Venezuela "


Il governo italiano e la commissaria europea Mogherini si dichiarano concordi, in ogni loro dichiarazione, sulla linea da tenere sulla questione venezuelana. Il M5S, con il vise ministro esteri Di Stefano, si dichiara assolutamente in linea con Conte e Moavero.

Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna, ormai però fuori dall' UE, e altri hanno annunciato invece che se Maduro non concederà nuove elezioni entro 8 giorni riconosceranno Guaidò come rappresentante legittimo del Venezuela. Ma ufficialmente l' UE ha parlato solo di urgenza e di tempi rapidi per arrivare a nuove elezioni.

M.P

Di seguito da La Stampa la posizione ufficiale di Federica Mogherini:

Ma l’alto rappresentante Ue, Federica Mogherini, a nome dell’intera Unione europea «chiede con forza che con urgenza si tengano elezioni presidenziali libere, trasparenti e credibili in linea con gli standard democratici internazionali e l’ordine costituzionale venezuelano». «In assenza dell’annuncio dell’organizzazione di nuove elezioni con le necessarie garanzie - prosegue la Mogherini - la Ue intraprenderà ulteriori azioni, anche sulla questione del riconoscimento della leadership del Paese, in linea con l’articolo 233 della Costituzione venezuelana».

domenica 27 gennaio 2019

Scheda di Sissi Bellomo per Treccani (2015):"Il petrolio extrapesante del Venezuela"

Il petrolio extrapesante del Venezuela

Atlante Geopolitico 2015 
Il petrolio extrapesante del Venezuela
di Sissi Bellomo
È la più grande riserva di petrolio al mondo ed è tuttora sfruttata solo in minima parte: la fascia dell’Orinoco, un’area di 54mila chilometri quadrati lungo il corso del fiume omonimo in Venezuela, potrebbe contenerne fino a 1300 miliardi di barili secondo le stime più ottimiste, una quantità quasi pari a quella di tutte le risorse di petrolio convenzionale del globo. Già, perché quello dell’Orinoco convenzionale non è, ma rientra nella categoria – più difficile e costosa da estrarre – dei greggi non convenzionali. Stessa categoria dello shale oil statunitense, dunque. Ma il petroleo extra pesado venezuelano non gli assomiglia affatto, mentre ha molto in comune con le sabbie bituminose del Canada: come le oil sands, il greggio dell’Orinoco è molto pesante, con una densità che lo colloca tra 4 e 16 gradi nella scala Api, dunque all’estremo opposto rispetto ai greggi leggeri o leggerissimi estratti dalle shale rocks negli Usa.
L’extra pesado venezuelano si trova a profondità tra 150 e 1400 metri, spesso mescolato a formazioni sabbiose. Ha l’aspetto e la consistenza della melassa, con una viscosità fino a 10.000 centipoises: in parole povere, scorre a un ritmo 10.000 volte inferiore a quello dell’acqua. Tutte caratteristiche che lo rendono difficile da estrarre e – una volta estratto – impossibile da trasportare attraverso un oleodotto. Per agevolarne la commercializzazione bisogna diluirlo con greggi più leggeri o prodotti raffinati (di solito nafta) o comunque sottoporlo a lavorazioni in impianti di trattamento che lo trasformino in syncrude,petrolio sintetico: processi che aggiungono ulteriori costi a quelli legati all’estrazione, che pure è meno complicata di quella delle oil sands canadesi, ancora più dense, tanto da poter essere tecnicamente classificate in alcuni casi come bitume.
Il progresso delle tecniche estrattive ha fatto passi da gigante negli ultimi anni e in teoria – utilizzando sofisticati sistemi di riscaldamento del terreno e trivellazione orizzontale – il Venezuela potrebbe recuperare fino al 70% del petrolio dell’Orinoco. Le sue riserve petrolifere ufficiali – aggiornate nel 2010 – sono già salite a 298,3 miliardi di barili, collocando Caracas al primo posto nella classifica mondiale secondo l’annuario Bp, una delle fonti statistiche più accreditate nel settore: un upgrading che le ha consentito di superare l’Arabia Saudita, che ha 265,9 miliardi di barili di riserve, e il Canada, che grazie alle sabbie bituminose ne ha 174,3 miliardi. Gli Stati Uniti, nonostante tutto il clamore sullo shale oil, sono solo decimi in classifica, con 44,2 miliardi di barili, superati anche da Iran, Iraq, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Russia e Libia.
Il problema è che il Venezuela, almeno fino a oggi, non è in grado di sfruttare se non in minima parte le enormi ricchezze che racchiude nel sottosuolo. Il paese è sull’orlo del collasso economico, in gran parte proprio a causa della gestione disastrosa delle sue risorse petrolifere, da cui deriva il 97% delle entrate statali, e la sua produzione petrolifera – che nel 2005 aveva raggiunto un picco di 3,6 milioni di barili al giorno – invece di aumentare diminuisce: oggi arriva a malapena a 2,3 milioni di barili al giorno (anche se Caracas sostiene di estrarre intorno a 3 milioni di barili al giorno).
La compagnia petrolifera di Stato, Petroleos de Venezuela (Pdvsa), dalla fine degli anni Novanta è stata usata come strumento per finanziare le politiche populiste del regime di Hugo Chavez prima e del suo successore Nicolas Maduro poi, senza alcun riguardo per i più banali criteri di redditività ed efficienza gestionale. Basti pensare che il Venezuela, costretto a importare benzina – e recentemente persino petrolio, per diluire il greggio extra pesado – praticamente regala il pieno di carburante ai suoi cittadini e attraverso l’alleanza Petrocaribe invia greggio a prezzi stracciati a Cuba e ad altri 16 paesi dell’area.
Ad aggravare la situazione per Pdvsa c’è l’enorme perdita di know-how subita dal 2003, anno in cui oltre 18.000 dipendenti della società, in gran parte dirigenti e tecnici specializzati, furono licenziati perché ‘colpevoli’ di aver partecipato a uno sciopero: dalla fuga di cervelli che ne seguì Pdvsa non si è mai più ripresa. Anche gli investimenti sono stati trascurati e il poco che è stato fatto ha comportato l’accumulo di enormi debiti, che ultimamente sono diventati ancora più difficili da sostenere: in parte proprio per finanziare lo sviluppo dell’Orinoco, Caracas ha ipotecato la produzione futura, ottenendo dalla Cina prestiti per circa 40 miliardi di dollari, che adesso sta ripagando in natura, con l’invio di quantità crescenti di petrolio a prezzi bloccati e facendosi carico dei costi di trasporto. Nonostante la distanza, le importazioni cinesi di greggio dal Venezuela sono decuplicate dal 2008 a oggi, superando i 600.000 barili al giorno. Quelle degli Stati Uniti sono invece crollate sotto gli 800.000 barili al giorno, ai minimi da quasi trent’anni.

Analogie tra Venezuela e Libia 2011. Petrolio, Trump come Sarkozy. M5S "NI" come la Lega nel 2011 ?



Analogie tra Venezuela e Libia 2011: Petrolio, Trump come Sarkozy. M5S “ NI”  come la Lega nel 2011 ?

Sono due le analogie fondamentali tra la vicenda del Venezuela nel 2019 e la guerra Nato alla Libia nel 2011.

La prima è il petrolio.

 Il Venezuela è il primo paese al mondo per riserve auto.certificate di petrolio, il 20% del totale. In quantità il potenziale petrolifero dichiarato dal Venezuela è maggiore anche a quello dell’ Arabia Saudita. E’ però di una qualità che ha bisogno di particolare raffinazione e di taglio con altre qualità di greggio. La produzione attuale è attorno a 1 milione di barili il giorno, ma in tempi normali, è comunque superiore ai 2 mb/g.
 La Libia è il primo paese africano per riserve autocerticate, il 3% delle riserve mondiali. Ma la qualità è particolarmente pregiata.  Nel 2010 produceva 1,8 mb/g, ma negli anni ’60 arrivava anche a 3 mb/g, poi l’ oculata gestione di Gheddafi ha prodotto meno greggio ma con guadagni per ogni barile estratto molto maggiori.

La seconda analogia è che Trump in Venezuela ha messo gli alleati occidentali davanti al fatto compiuto come fece Sarkozy in Libia nel 2011.

Sarkozy inizio’ a bombardare costringendo i riluttanti alleati a entrare in guerra direttamente contro la Libia di Gheddafi. La forzatura della Francia è ormai sostenuta da moltissimi osservatori occidentali, anche se pochi presero posizione all’ epoca. Trump ha invece riconosciuto Guaidò come legittimo presidente venezuelano, stravolgendo addirittura la legislazione venezuela che è un  Repubblica presidenziale, come la Francia e gli USA, dove il presidente della Repubblica è eletto direttamente a suffragio universale, ed ha un potere anche esecutivo, un potere di tipo molto diverso da quello che ha in Italia il presidente della Repubblica. Fatta la scelta, Trump sta costringendo ora tutto l ‘Occidente a seguirlo.

Ma c’ è anche una terza analogia: la posizione della Lega nel 2011 e quella del M5S oggi.

La Lega nel luglio 2011 dopo molte trattative votò la guerra alla Libia, ma solo fino al 30 settembre 2011. Secondo gli accordi di cui parlarono tutti i media, la partecipazione italiana alla guerra dal 1 ottobre andava nuovamente valutata ed eventualmente rivotata in parlamento. Nel decreto missioni di inizio luglio 2011 infatti, tutte le missioni avevano finanziamenti e autorizzazioni fino al 31 dicembre 2011, meno la missione in Libia, autorizzata e finanziata fino al 30 settembre.
Ma, arrivato ottobre,tutti si dimenticarono di questa scadenza che a luglio era stata ampiamente diffusa da tutti i media e la partecipazione alla guerra dell’ italia continuò. A metà ottobre si accorsero della cosa i senatori PD ed era prevista una discussione in aula attorno al 26 ottobre, ma il 20 ottobre Gheddafi venne barbaramente assassinato e di fatto la guerra finì. La partecipazione italiana alla missione dal 1 ottobre venne poi  autorizzata retroattivamente a fine dicembre.

Oggi il M5S si dice contrario al riconoscimento di Guaidò come presidente del Venezuela. L’ Unione Europea ha invece dichiarato che, se non saranno indette nuove elezioni , riconoscerà Guaidò come legittimo presidente. Naturalmente poi l’ Italia potrà scegliere se adeguarsi alla scelta dell’ Unione, sia nel consiglio europeo che eventualmente ufficializzerà la decisione ventilata dalla commissione europea, sia direttante come paese.

Il governo italiano quindi potrà essere chiamato a una scelta precisa. Cosa succederà in caso di parere diverso tra gli alleati di governo M5S e Lega ?

Io non ho risposta a questa domanda, ma ritengo sensato porsela.

La risposta della solidarieà italiana al popolo venezuelano deve però essere decisa, autonoma  e immediata. Se poi il governo M5S-Lega prenderà decisioni diverse dal resto dei paesi occidentali tanto meglio.

Marco Palombo


venerdì 25 gennaio 2019

Le parole esatte di Di Battista sul Venezuela: Meno male che c'è Putin


MENO MALE CHE C’È PUTIN
Comunque la pensiate su Putin dovreste riconoscere che per la pace a livello mondiale una Russia forte politicamente è fondamentale. Guardate la crisi venezuelana. Senza Putin già ci sarebbe stato un intervento armato USA (che non escludo purtroppo ancora del tutto). Qua non si tratta di stare o non stare con Maduro. Io non l’ho mai difeso come non ho mai difeso Gheddafi (e ovviamente non li sto paragonando). Qua si tratta di evitare che il Venezuela già martoriato dalle violenze possa diventare una Libia sudamericana.
Guardate la Libia oggi. Nessuno sostiene che fosse un paradiso sotto Gheddafi ma non era l’inferno che è adesso, un inferno creato ad hoc dai francesi con quell’intervento armato scellerato avallato purtroppo da collaborazionisti degli interessi di Parigi come Napolitano o da codardi come Berlusconi.
Oggi, a distanza di anni da quella guerra infame, tutti dicono che le bombe sulla Libia non vennero sganciate per i diritti umani violati ma per il petrolio. L’Italia ci ha rimesso. Ci ha rimesso l’ENI e ci ha rimesso la sicurezza nazionale con l’aumento dei flussi migratori. Ci ha rimesso anche la popolazione libica non scordiamolo.
Poi è venuta fuori un’altra storiaccia. Gheddafi stava pensando di proporre a diversi paesi africani l’utilizzo di una nuova moneta agganciata al dinar libico. In pratica stava portando avanti un progetto che avrebbe messo in pericolo il Franco delle Colonie, la moneta che si stampa ancora oggi a Lione e che viene utilizzata da 14 paesi dell’Africa nera. Pensate che Maduro (che ha commesso svariati errori politici) lo si voglia buttare giù per altro rispetto alla questione petrolifera? Siamo seri per cortesia. Questo può provare a farlo credere soltanto Saviano...
L’Italia ha il dovere di scongiurare qualsiasi ipotesi di intervento armato in Venezuela. Sarebbe una tragedia ancor peggiore per la popolazione. Questo Putin l’ha capito, Macron evidentemente no.
Commenti

Le parole esatte del sottosegretario Esteri M5S Di Stefano sul Venezuela. Nessun accenno a Trump


Il principio di non ingerenza è sacro. Qualsiasi cambiamento in deve avvenire in un contesto politico, democratico e non violento. ignora queste ovvietà, prende posizione discordante da e la rete lo asfalta. L'Europa sia super partes in difesa del popolo.


Queste le parole scritte da Manlio Di Stefano ieri su Twitter. 

Non un accenno a Trump,

giovedì 24 gennaio 2019

Digiuno per il Venezuela perché temo un bagno di sangue come nel Cile del 1973, e non posso fare altro


Digiuno per il Venezuela
                     
Perché temo un bagno di sangue e non posso fare altro. 
Vorrei oggi pomeriggio essere in strada, ma, anche a Roma, so solo di una manifestazione sabato alle 12 e vedrete che alle 12 di sabato saremo già in un’ altra situazione, peggiore naturalmente.

Digiuno
Perché credo che, come nel Cile del 1973, non si voglia solo mandare la sinistra all’ opposizione, ma si voglia metterla nell’ impossibilità di fare politica.
Una sinistra sconfitta, ma che potesse continuare ad operare, sarebbe troppo fastidiosa per un eventuale nuovo governo filo USA.

Digiuno
Perché è “prima del sangue” che dobbiamo fare qualcosa per evitare bagni di sangue, anche a costo di dare un allarme eccessivo. Spero quindi di sbagliare, ma digiuno ugualmente.

Digiuno
Perché si diranno una valanga di bugie ed anche tonnellate di mezze verità che però con la loro incompletezza diventeranno tonnellate di falsità,
e perché questo avverrà anche da parte di chi, come me, sostiene la sinistra.

Digiuno
Perché sono arrabbiato con chi non fa mai niente, con chi non si mobilità per la tragedia dello Yemen, per la situazione catastrofica nella striscia di Gaza. Sono arrabbiato con chi dice che dobbiamo rassegnarci, tanto non possiamo incidere minimamente sulla realtà, ma non fa neanche lo sforzo di dire una parola, di prendere pubblicamente una posizione che in privato sostiene con molta determinazione.

Digiuno
Perché è meglio che stia zitto e che smetta anche di scrivere, ma voglio comunque fare qualcosa per non sentirmi complice del bagno di sangue, che potrebbe arrivare o meno.

Per ora digiuno un giorno e mezzo, e poi vedrò,
e spero proprio di sbagliarmi.

Marco

martedì 22 gennaio 2019

Mastrolilli-LaStampa: Summit USA anti Iran in Polonia


Paolo Mastrolilli
la Stampa 12 gennaio 2019

Gli Usa organizzano una conferenza in Polonia sull’Iran, «per costruire la coalizione» contro Teheran, e cominciano il ritiro dalla Siria. Sono gli effetti della dottrina del presidente Trump per il Medio Oriente, che il segretario di Stato Pompeo aveva delineato nel discorso di giovedì al Cairo.

.....
Questa divergenza nell’amministrazione resta, ma intanto Pompeo procede con l’altro punto chiave della strategia mediorientale di Trump. Parlando con la Fox News, il segretario di Stato ha annunciato che il 13 e il 14 febbraio a Varsavia sarà ospitata «una conferenza ministeriale sulla pace, la libertà e la stabilità in Medio Oriente. Riuniremo dozzine di Paesi da tutto il mondo, Asia, Africa, emisfero occidentale, Europa, e ovviamente dalla regione. Ciò include l’importante elemento di garantire che l’Iran non sia una influenza destabilizzante».

Fonti molto vicine all’amministrazione, favorevoli alla linea dura contro Teheran, dicono che «è venuto il momento di passare dalle parole ai fatti».

Intendono che «il ritiro dall’accordo nucleare era il primo passo essenziale, ma ora bisogna attivamente sostenere la protesta interna che sta destabilizzando il regime». Questo potrebbe essere il vero scopo, anche se non ufficiale, della conferenza in Polonia. Il dubbio resta quello espresso dopo il discorso del Cairo, da critici come il presidente del Council on Foreign Relations Richard Haass: «Pompeo ha articolato obiettivi ambiziosi, come espellere dalla Siria ogni iraniano, ridurre l’arsenale missilistico di Hezbollah, costruire un Iraq libero dall’influenza di Teheran, riducendo allo stesso tempo la presenza Usa in Medio Oriente. Nessuna politica può avere successo, con obiettivi e mezzi così divergenti».


Michele Giorgio su summit USA anti Iran in Polonia,13-14 febbraio



Dal manifesto 22 gennaio 2019
Michele Giorgio

La mano pesante Netanyahu intende usarla in vista anche della conferenza internazionale incentrata sul Medio oriente annunciata lo scorso 11 gennaio dal segretario di Stato Usa, Michael Pompeo in un’intervista rilasciata alla Fox News. L’incontro in realtà non affronterà le varie crisi mediorientali. Il tema sarà pressoché unico: la “minaccia iraniana”.

 Si terrà a Varsavia il 13-14 febbraio a livello di ministri degli esteri e sono stati invitati i rappresentanti di 70 paesi, alcuni dei quali arabi, in particolare le monarchie sunnite schierate contro Tehran e alleate di Washington.

Accanto a loro troverà posto Netanyahu, a rappresentare quell’alleanza dietro le quinte (e neanche più tanto) tra alcuni paesi arabi, con in testa l’Arabia saudita, e lo Stato ebraico in funzione anti-Iran di cui Netanyahu parla da almeno tre anni. Della “Nato araba”, alla quale Pompeo spera di dare vita, Israele ovviamente non può far parte in via ufficiale. Tuttavia considerati l’enorme interesse nella questione e le capacità belliche di Tel Aviv è evidente che Netanyahu può garantire, assieme a Donald Trump, la copertura militare esterna di cui i petromonarchi necessitano se e quando andranno alla guerra contro l’Iran.

Tra gli obiettivi sotto traccia della conferenza voluta dagli americani ci sono il ridimensionamento del peso di Mosca in Medio oriente – non sorprende che la Russia abbia annunciato che non vi prenderà parte – e spaccare la fragile unità dell’Unione europea sulla difesa dell’accordo internazionale sul nucleare iraniano siglato nel 2015. Accordo dal quale lo scorso maggio Trump è uscito annunciando la ripresa delle sanzioni Usa contro Tehran e i paesi che continueranno ad avere rapporti con l’Iran.

Alla conferenza non sarà presente l’Alto rappresentante della politica estera, Federica Mogherini, che facendo irritare Trump e Netanyahu è stata fautrice del meccanismo per aggirare, almeno in parte, le sanzioni Usa contro Tehran. Tuttavia il fronte europeo non è blindato. La convocazione a Varsavia della conferenza è indicativa del tentativo dell’Amministrazione Usa di mettere gli europei gli uni contro gli altri, con i paesi dell’Est, più vicini di quelli occidentali alla linea di Trump e di Netanyahu di scontro duro con l’Iran.


lunedì 21 gennaio 2019

L'escalation guerrafondaia USA-Israele contro l' Iran è verosimile. E' necessario opporsi subito.


La notizia di oggi, 21 gennaio, è che Israele bombarda in Siria obiettivi che definisce iraniani, e, per la prima volta, rivendica gli attacchi in Siria mentre in occasioni precedenti aveva mantenuto il silenzio su operazioni militari nel paese di Damasco che tutti gli osservatori, anche occidentali, attribuivano a lei.

Una notizia della scorsa settimana, era invece il vertice anti Iran che si terrà a Varsavia il 13 e 14 febbraio, organizzato e guidato dagli USA.

La coalizione che si vuole mettere in piedi in occasione del vertice polacco di febbraio punta dichiaratamente a destabilizzare il governo iraniano.

"Sostenendo l' opposizione esistente" dichiarano gli USA. Ma quasi sicuramente, creando una opposizione, ora assente, che miri al rovesciamento della repubblica islamica attuale e non aspiri solamente a riforme democratiche nel quadro attuale.

La volontà bellicosa e avventurista degli Stati Uniti è verosimile, infatti gli USA stanno implementando sanzioni all' Iran che potrebbero rivelarsi un flop, o, se invece fossero implementate come nelle intenzioni, destabilizzerebbero l' economia del petrolio, mettendosi contro un fronte comprendente Cina, Russia e Unione Europea, che vorrebbero aggirare queste sanzioni.

In entrambi i casi Trump, già in difficoltà sulla questione del muro con il Messico, si troverebbe in una condizione ancora più debole.

 Per il momento  gli USA hanno esentato dalle sanzioni Cina, Turchia, India, Italia e altri 4 paesi, ma ad aprile scade l' esenzione e la situazione non pare andare verso il congelamento dell' esistente.

L' escalation bellicosa contro l' Iran è quindi verosimile, i tempi dei passi del prossimo futuro già definiti: febbraio in Polonia, e decisione ad aprile sulle sanzioni.

Il pericolo va segnalato immediatamente,

anche se saremo in pochi a dichiararci contrari a questa operazione pericolosa che vedrà l' Italia di Salvini spalleggiare Trump e contrastare invece l' Unione Europea che cercherà di frenarlo.

Ma anche questa volta sarà giusto opporsi, in controtendenza,  alla follia guerrafondaia.

Tra qualche settimana il quadro sarà più chiaro di oggi, ma potrebbe essere troppo tardi.

Marco Palombo

sabato 12 gennaio 2019

Il manifesto-Modesta proposta per Supercoppa in Arabia Saudita: Magliette con scritta "Stop war in Yemen"


Da tempo la Supercoppa nazionale di calcio si svolge in un Paese lontano. In sostanza il «prodotto» viene venduto al miglior offerente. Fin qui, purtroppo, nulla di nuovo. Ma quest’anno come sede della finale è stata scelta l’Arabia Saudita, governata da sempre da un regime dispotico e odiosamente autoritario. 
Ogni voce dissenziente è brutalmente messa a tacere, come ha dimostrato emblematicamente il caso Khashoggi, le donne sono tenute in una cappa oppressiva e asfissiante, certamente non mitigata dalle ultime timidissime aperture. E infatti in occasione della partita saranno relegate in uno specifico settore. Inoltre è tristemente noto il ruolo svolto dall’Arabia Saudita nel tragico conflitto yemenita, che ha provocato decine di migliaia di morti tra i civili, e gettato il Paese in una catastrofe umanitaria.
Nei giorni scorsi diverse voci si sono levate invitando la Lega calcio e le due società in questione, Juventus e Milan, a rivedere la scelta. Ma l’invito è rimasto lettera morta.
A questo punto l’unica possibilità che il tutto avvenga senza colpo ferire è riposta nei protagonisti che daranno vita all’incontro. Poche domeniche fa alcuni di coloro che scenderanno in campo il 16 hanno espresso solidarietà nei confronti di Koulibaly, vergognosamente fatto oggetto di insulti razzisti durante la partita Inter-Napoli. È troppo augurarsi che la giusta sensibilità mostrata nei confronti del difensore azzurro, si manifesti nuovamente per una causa altrettanto giusta?
Siano i giocatori a individuarne le modalità. A noi farebbe piacere se in occasione del riscaldamento pre-partita, scendessero in campo con magliette in cui fossero riportare scritte come «Free women», e «Stop war in Yemen».
Ma lasciamo a loro l’eventuale scelta. L’importante è che diano un segnale.
Chiediamo troppo?
*** Andrea Billau, Marco Boato, Eliana Bouchard, Anna Bravo, Loris Campetti, Enrico Deaglio, Giovanni De Luna, Donatella Di Cesare, Tommaso Di Francesco, Angelo Ferracuti, Anna Foa, Franca Fossati, Guelfo Guelfi, Bruno Giorgini, Gad Lerner, Franco Lorenzoni, Luigi Manconi, Moni Ovadia, Claudio Piersanti, Massimo Raffaeli, Marino Sinibaldi, Gianni Sofri, Pierluigi Sullo, Guido Viale

lunedì 7 gennaio 2019

Pacifisti contro la finale di Supercoppa in Arabia s., per molte ragioni


Mercoledì 9 gennaio alle 12,30 l’ associazione ecopacifista Sardegna Pulita ha indetto un sit in davanti alla sede centrale della Rai, in Viale Mazzini, Roma. Chiede che non venga trasmessa in diretta la finale di Supercoppa Italiana tra Juventus e Milan in programma il 16 gennaio in Arabia Saudita, a Gedda. Parteciperanno al presidio anche esponenti sardi e romani dei Cobas, la Rete No War Roma e alcuni attivisti delle reti di solidarietà con la Palestina.

Queste associazioni sono impegnate da anni contro il sostegno italiano alla guerra in Yemen della coalizione a guida saudita e, in particolare, Sardegna Pulita è contraria alla vendita alla Arabia saudita di armi prodotte a Domusnovas dalla RWM Italia.

Era scontato che la finale della Supercoppa quest’ anno in Arabia saudita avrebbe suscitato polemiche, anche se la finale di due anni fa in Qatar è passata inosservata e probabilmente i biglietti sono stati venduti con le stesse modalità discriminatorie verso le donne che in questi ultimi giorni hanno suscitato vivaci discussioni.

Ma l’ assassinio del giornalista Khashoggi dell’ ottobre 2018 ha suscitato molta impressione in tutto l’ Occidente, storico alleato dell’ Arabia Saudita. E comprensibilmente i colleghi di Khashoggi sono stati in questa occasione meno indulgenti del solito con la dinastia Saud al potere a Ryad.

Ma se ad ottobre è stato assassinato Khashoggi, nel novembre 2019 in Yemen si è verificato il maggior numero di vittime civili, e nella stragrande maggioranza si tratta di vittime di bombardamenti della coalizione a guida saudita.
I pochi sinceri pacifisti attivi in questi anni nel nostro paese dovrebbero quindi moltiplicare le forze in questi ultimi dieci giorni prima della partita, per approfittare della maggiore attenzione verso Ryad e far conoscere le politiche guerrafondaie saudite a più italiani possibile.

Sarebbe già molto se fosse diffuso a milioni di persone quanto ha scritto Roberto Bongiorni sul Sole24ore del 28 dicembre 2018:
“ L’ Arabia saudita è il primo paese al mondo per spesa militare in rapporto al Pil e per valore di armi pro capite..
...sotto le loro bombe hanno perso la vita, in 4 anni di guerra in Yemen, 5 mila di civili. Secondo l’ ONU, le vittime della guerra sarebbero già 10 mila…..
85 mila bambini sono morti per cause legate alla fame..e 10 milioni di yemeniti sono malnutriti”.

Il nostro paese poi, molto sensibile ultimamente allo strapotere della Germania nell’ Unione Europea, dovrebbe sentirsi umiliato dal fatto che Berlino ad ottobre ha sospeso la vendita di armi ai sauditi, però nello stesso tempo la società tedesca RWM, proprietaria anche della RWM Italia, utilizza il nostro paese per continuare a vendere le sue bombe all’ Arabia. Ma l’ orgoglio italiano in questa occasione è latitante.

E’ assolutamente inaccettabile anche il teatrino dei politici e dei pacifisti di professione sulla stessa vicenda delle bombe prodotte in Sardegna.

I governi PD hanno prima detto che l’ Italia non poteva fare niente per fermare la vendita degli ordigni prodotti a Domusnovas, poi addirittura si è scoperto che facevano pressioni sulla Moby Lines affinché trasportasse le bombe anche nei mesi estivi, quando la compagnia navale era nel momento più intenso della sua attività nel settore passeggeri. Il M5S in quel periodo dichiarava nelle aule parlamentari che “Gentiloni aveva le mani sporche di sangue”, poi una volta al governo sta proseguendo la vendita accompagnandola da dichiarazioni ambigue.

Periodicamente invece pacifisti di professione, che rappresentano associazioni di milioni di persone, denunciano la vendita di armi italiane ai sauditi in guerra. Ma accettano senza fiatare che mozioni scritte da loro slittino per mesi interi negli ordini del giorno delle aule parlamentari e per il momento, anche in occasione di questa discussa finale, stanno zitti. Insomma si mettono alla testa delle proteste e si eclissano nei momenti più favorevoli per il loro successo.

Allora, se non amate che il nostro paese sia complice di guerre orrende, impegnatevi in questi pochi giorni. I risultati saranno in ogni caso superiori a quelli di altri momenti.

Marco Palombo
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giovedì 3 gennaio 2019

La Supercoppa è italiana, le regole allo stadio "saudite". Settori per soli uomini.


Una immagine della guerra che i sauditi conducono in Yemen
Dal Fattoquotidiano di giovedì 3 gennaio

La Supercoppa italiana di calcio si giocherà con le regole saudite. Non in campo, dove i falli, i gol e i fuorigioco resteranno gli stessi della Seria A, ma in tribuna, dove la Lega Calcio ha previsto di vendere biglietti adattandosi alla perfezione ai criteri culturali dell' Arabia Saudita, il paese che il 16 gennaio ospiterà - con una certa generosità, visti i 7 milioni sborsati - la sfida tra Milan e Juventus.

 E allora ecco le regole inusuali per il nostro calcio , come spiega la Lega nel comunicato che annuncia la vendita dei biglietti per la partita: " I settori indicati come "singles" sono riservati agli uomini, i settori indicati come "families" sono misti per uomini e donne. Insomma se un uomo vuole seguire l' incontro con la propria moglie, con la fidanzata o magari con la figlia, deve emigrare su un settore ad hoc, perchè una bella fetta dello stadio è riservata ai maschi e lì le donne non possono mettere piede.

Colpa dell' intransigenza locale e degli affari a cui la Lega non può rinunciare.

D' altra parte, nei mesi scorsi, in molti - tra cui l' Usigrai, il sindacato dei giornalisti della tv pubblica, che trasmetterà la partita - si erano lamentati della scelta di trasferirsi in Arabia, ricordando anche l' uccisione del giornalista Jamal Khashoggi, assassinato mentre si trovava nel consolato saudita a Istanbul. Il silenzio di allora della Lega fa il paio con il comunicato di ieri. certificando una volta di più chi comanda davvero sulla Supercoppa italiana.