venerdì 13 maggio 2016

L'embargo dell'U.E. alla Siria viola la Convenzione di Ginevra ?


Il popolo siriano è indiscutibilmente in un territorio dove si svolge
da anni una sanguinosa guerra. In Siria quindi vale il diritto
internazionale per le situazioni di conflitto armato.

Oltre che immorale dovrebbe essere quindi anche illegale, secondo
questo articolo della Convenzione di Ginevra riportato di seguito,

l'azione dell' Unione europea che impedisce (e probabilmente punisce)
l' invio di medicine, viveri, macchinari utili alla sopravvivenza per
ospedali o strutture civili,

Il tema è da approfondire, io lo posso fare fino ad un certo punto,
per limiti di competenze e di mezzi.
Ricordo che le sanzioni dell' Unione europea scadono a fine mese e
probabilmente saranno rinnovate in questi giorni, un lunedì, giorno
dedicato agli incontri dell' Unione sui temi internazionali.

Marco

Dal I°protoccollo aggiuntivo del 1977 alla Convenzione di Ginevra del 1949

Art. 54 Protezione dei beni indispensabili alla sopravvivenza della
popolazione civile


1. È vietato, come metodo di guerra, far soffrire la fame alle persone civili.

2. È vietato attaccare, distruggere, asportare o mettere fuori uso
beni indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile, quali
le derrate alimentari e le zone agricole che le producono, i raccolti,
il bestiame, le installazioni e riserve di acqua potabile e le opere
di irrigazione, con la deliberata intenzione di privarne, in ragione
del loro valore di sussistenza, la popolazione civile o la Parte
avversaria, quale che sia lo scopo perseguito, si tratti di far
soffrire la fame alle persone civili, di provocare il loro spostamento
o di qualsiasi altro scopo.

3. I divieti previsti nel paragrafo 2 non si applicheranno se i beni
sono utilizzati dalla Parte avversaria:
a)per la sussistenza dei soli membri delle proprie forze armate;b)per
fini diversi da detta sussistenza, come appoggio diretto ad una azione
militare, a condizione, tuttavia, di non intraprendere in nessun caso,
contro detti beni, azioni da cui ci si potrebbe attendere che lascino
alla popolazione civile alimenti e acqua in misura talmente scarsa che
essa sarebbe ridotta alla fame o costretta a spostarsi.
5. Tali beni non dovranno essere oggetto di rappresaglie.

6. Tenuto conto delle esigenze vitali di ciascuna Parte in conflitto
per la difesa del proprio territorio contro l'invasione, deroghe ai
divieti previsti dal paragrafo 2 saranno permesse a una Parte in
conflitto su detto territorio che si trovi sotto il suo controllo se
lo esigono necessità militari imperiose.

Art. 55 Protezione dell'ambiente

mercoledì 11 maggio 2016

Quanto manca al picco della domanda di petrolio ?




Domanda debole, quotazioni del greggio basse e prezzi di estrazione alti rappresentano uno scenario da incubo per l'industria del petrolio, con colossali investimenti inutilizzabili. Non è un caso che gli analisti consiglino di disinvestire e puntare su altri comparti, come le rinnovabili. Un articolo dalla nuova edizione del libro di Gianni Silvestrini, “2 °C".

Quando si parla di prezzi del petrolio ci si concentra spesso sul lato produzione, ma ad influenzare in modo decisivo le quotazioni future del greggio sarà l’andamento della domanda.
I consumi attuali sono inferiori di 5 milioni di barili/giorno (mbg) rispetto alle previsioni della IEA del 2007. La BP prevede un rallentamento della crescita del consumo di combustibili liquidi al 2035, con un incremento del 20% rispetto al 2013.
Cina, India e Medio Oriente sarebbero responsabili di quasi tutto l’incremento della domanda. Nei paesi industrializzati, che hanno visto il picco dei consumi nel 2005, la domanda di combustibili liquidi continuerà a calare. In realtà, diversi segnali fanno ritenere che si tratta di valutazioni ottimistiche e che il picco della domanda di greggio sia invece prossimo.
I dati sul calo dei consumi di petrolio negli Stati Uniti e in Europa degli ultimi anni evidenziano come, oltre agli effetti della crisi, stiano emergendo elementi di cambiamento più strutturali.
La riduzione della mobilità automobilistica in molti paesi è accompagnata dal miglioramento delle prestazioni del parco automobilistico, con una riduzione annua media mondiale dei consumi dei nuovi mezzi del 2,5%. Inoltre, tende a crescere la mobilità elettrica e a metano/gpl.
Per finire, le centrali elettriche e i dissalatori nei paesi arabi utilizzano sempre meno l’olio combustibile. E poi c’è il rallentamento di diverse economie, a iniziare da quella cinese.
La domanda di petrolio potrebbe dunque raggiungere un massimo entro un decennio. E l’accordo sul clima di Parigi rappresenta un’ulteriore spinta al contenimento dei consumi, in particolare se sul medio periodo venisse adottata una carbon tax.
Ma domanda debole, quotazioni del greggio basse e prezzi di estrazione alti rappresentano uno scenario da incubo, con colossali investimenti inutilizzabili. Non è un caso che diversi analisti consiglino alle multinazionali energetiche di disinvestire e di puntare su altri comparti, come quello delle rinnovabili. Un elemento di preoccupazione che si somma al rischio di non potere utilizzare le riserve a causa dei rischi climatici.
I paesi arabi, d’altra parte, hanno costi di estrazione molto bassi, ma i sussidi alla vendita interna dei carburanti (180 miliardi di $ nel 2012 per i paesi Opec) e le spese per la difesa dei pozzi richiederebbero invece prezzi elevati. Secondo le valutazioni dell’Arab Petroleun Investment Corporation, il valore da garantire nel 2013 era salito a 102 $/barile.
Viste le enormi ricchezze accumulate, l’Arabia Saudita può permettersi di tenere basso il prezzo per qualche anno, ma poi dovrà rialzarlo. Intanto, sta riducendo, come del resto molti altri paesi produttori, i sussidi al consumo della benzina. Per far fronte al calo delle entrate petrolifere, alla fine del 2015 i prezzi alla pompa sono aumentati dai precedenti 14,7 a 22 centesimi di euro per litro.
Il rallentamento della domanda sta mettendo in seria difficoltà diverse multinazionali e paesi produttori. Le esplorazioni più a rischio sono già state bloccate, tanto che alla fine del 2015 sono saltati investimenti per 380 miliardi di $ che avrebbero portato nel 2025 ad una produzione aggiuntiva di 2,9 mbg, per la metà da estrazioni in acque profonde.
I prezzi potranno risalire, ma le dinamiche questa volta saranno fortemente condizionate dagli impegni sul clima che tenderanno a rallentare i consumi, grazie agli investimenti su efficienza e rinnovabili, e che influenzeranno anche l’offerta di fossili, con la minaccia del congelamento delle riserve.
Gli impegni sulle emissioni avranno dunque un ruolo calmierante sui prezzi, rendendo più agevole l’introduzione di una carbon tax.

www.duegradi.it è il sito dedicato al libro. L'estratto è stato pubblicato con il consenso della casa editrice.

giovedì 5 maggio 2016

Petrolio: cala la produzione non opec, cresceranno le guerre in M.O.




Secondo Fatih Bhiro, capo economista dell’ Iea, agenzia per l’Energia dell’Ocse, nel 2016 i paesi non Opec produrranno 700.000 b/g (barili al giorno) in meno rispetto al 2015. La produzione di questi paesi è circa il 60% della produzione mondiale, mentre le loro riserve accertate sono attorno al 40% del totale. Alcuni osservatori attribuiscono il calo in corso alla congiuntura dei prezzi, ora non più di 45-50 $/b, meno della metà del giugno 2014, che non permettono di finanziare in modo adeguato la ricerca e l'avvio all' attività di nuovi giacimenti.
I paesi non Opec hanno però sfruttato le loro riserve più di quanto abbiano fatto i paesi Opec, sempre attenti questi ultimi a limitare la produzione delle loro risorse per tenere i prezzi alti e costanti. Allora il calo del greggio estratto dai paesi non Opec potrebbe essere un segnale più grave, la conseguenza del raggiungimento del loro picco massimo della produzione, che da ora in poi calerebbe progressivamente e con continuità. .

L’ Opec fu fondata nel 1960 da Arabia saudita, Venezuela, Kuwait, Indonesia, Iran, Iraq. Successivamente si sono aggiunti Qatar, Emirati arabi, Algeria, Libia, Angola, Nigeria. Questi 12 paesi producono il 40% del petrolio estratto ma hanno il 60% delle riserve mondiali accertate e oltre il 50% delle riserve mondiali sono nel Medio Oriente e Nord Africa divise tra Arabia s. (14%), Iran (10%) Iraq (11%), Libia (3%) e gli altri paesi. I giacimenti mediorientali sono anche meno costosi da sfruttare e sono stati sotto utilizzati, soprattutto negli ultimi 20 anni.

Iraq, Iran e Libia insieme producono meno di 8 mb/g, milioni di barili il giorno, su 95 mb/g totali. Quindi con il 24% delle riserve estraggono meno del 10% della produzione totale e per questo i loro territori acquisteranno nel futuro un’ importanza straordinaria.

La crescita mondiale della produzione di petrolio negli ultimi anni è stata aiutata dall’ uso negli USA della tecnica shale gas che ha permesso agli Stati Uniti di risalire da 8 mb/g (milioni di barili il giorno) prodotti a circa 10 mb/g. Il loro consumo però è di circa 18 mb/g. Il mancato taglio della produzione Opec, voluto da Ryad dalla fine del 2014, e che ha causato il crollo del prezzo del greggio, è stato spiegato da molti osservatori come una guerra saudita alla produzione USA. Ma l’Iea ha ipotizzato per il vicino 2018 il picco produttivo di questa tecnica di estrazione, l’ effetto positivo del petrolio shale gas sarebbe quindi per gli Stati Uniti un recupero effimero oltre che molto costoso.

Senza entrare nel merito dei motivi, in ogni caso non dimostrabili, della strategia saudita, la spada di Damocle del picco petrolifero, teorizzato da Hubbert nel 1953, rimane minacciosa ed è bene tenerla presente quando ci occupiamo delle molte guerre in corso.

La Gran Bretagna, dopo il declino della sua produzione nei mari del Nord, è tornata ad importare greggio e la ripresa del suo interventismo militare in Medio Oriente è legata a questo processo. Anche la Francia, con l’ attuale momento nero della produzione nucleare, ha un interesse impellente a tornare protagonista militare nel Medio oriente e Nord Africa.

La transizione energetica, sicura nei prossimi 20-30 anni, sarebbe stata molto più difficile per l’ Occidente se fossero rimasti al loro posto Saddam Hussein e Gheddafi. Ma anche nella nuova situazione questo passaggio storico sarà durissimo. Basta pensare al ruolo che hanno il Venezuela, secondo paese al mondo per riserve, e Russia, attualmente nei primi 3 produttori mondiali.

Nel frattempo India, Cina e Giappone sono i paesi che negli ultimi tre anni hanno dato il maggior impulso alla fonte solare e, data la loro popolazione complessiva, questa scelta potrebbe cambiare il corso di tutta la transizione energetica.

Nei prossimi anni non sarà incoraggiato lo studio e l’ informazione sul processo della transizione energetica, ineluttabile anche se con modalità imprevedibili. Ma dobbiamo riaccendere il prima possibile i riflettori su questo tema cruciale. Ricordo che in Italia i primi libri con buona diffusione sul picco petrolifero, “La festa è finita” di Richard Heinberg e “La fine del petrolio” di Ugo Bardi, furono pubblicati nel 2004, quando ormai le truppe USA e britanniche erano sul suolo iracheno.

Prima ci sarà una consapevolezza diffusa della difficile crescita futura della produzione petrolifera e prima sarà messa in difficoltà la propaganda di guerra, che con pretesti vari, dal terrorismo all’ esportazione della democrazia, all’ invasione dei migranti, ai diritti umani nella interpretazione di parte delle “democrazie” occidentali, cerca di convincere l’ opinione pubblica che l’Occidente fa le guerre, o le fomenta con modalità variabili, per motivi nobili. Ma non è così.

Aiuterebbe molto l' opposizione alla guerra conoscere le tendenze ormai dimostrate del prossimo processo del declino della produzione petrolifera e sapere maggiori dettagli relativi all’energia delle guerre per il petrolio e gas già scatenate dall’Occidente, dalle tre in Iraq alla Libia, dal golpe in Iran del 1953 al golpe colorato in Ucraina del 2014.


Marco Palombo