domenica 25 settembre 2016

Da Liberazione,quotidiano Prc,2011:"Libia,la scellerata risoluzione ONU che porta alla guerra"

La scellerata risoluzione Onu che porta alla guerra
Editoriale di Fabio Amato su "Liberazione" del 19/03/2011

Il Consiglio di sicurezza dell'Onu si è pronunciato a favore dell'istituzione della No-fly zone sulla Libia e dell'autorizzazione all'uso di non meglio precisati mezzi necessari a prevenire violenze contro i civili. In altri termini, ha autorizzato la guerra.

Il pallido e fino ad oggi insignificante Ban Ki Moon, diventato presidente dell'Onu solo in virtù dei suoi buoni uffici con gli Usa e del suo basso profilo, si è esaltato fino a definire la risoluzione 1973 storica, in quanto sancisce il principio della protezione internazionale della popolazione civile. 
Un principio che vale a corrente alternata. Non ci sembra di ricordare sia evocato quando i cacciabombardieri della Nato fanno stragi di civili in Afghanistan. Altrettanta solerzia non è risultata effettiva quando gli F16 dell'aviazione israeliana radevano al suolo il Libano o Gaza, uccidendo migliaia di civili innocenti.

Si tratta, in realtà, di un precedente ben pericoloso. Sul quale giustamente paesi come la Russia, la Cina, il Brasile, l'India e la Germania hanno espresso più di una riserva. Che si è limitata però ad un'astensione, che lascerà di fatto liberi quei paesi che hanno deciso di bombardare Tripoli e sostituire Gheddafi con le fazioni a lui ostili per un cinico calcolo geopolitico e di convenienze. Sia chiaro a tutti che i diritti umani e le giuste aspirazioni dei giovani libici alla democrazia e a liberarsi dal regime non c'entrano nulla con la decisione di Parigi e Londra, seguite a ruota dal sempre più deludente Obama, di attivare l'intervento militare.
Chi sarà in futuro a decidere quali violenze contri i civili sono accettabili o meno saranno solo e sempre le superpotenze militari imperialiste e occidentali. E lo faranno con il sostegno del sistema di informazione mondiale che selezionerà alla bisogna chi e come andrà bombardato, chi potrà o meno rimanere al potere.
Chi stabilisce, infatti, che si decide di bombardare la Libia, mentre si consente all'Arabia Saudita di inviare truppe per sedare le proteste nel vicino Baherein, mentre si lascia il presidente dittatore da trentadue anni dello Yemen, Abdullah Saleh, sparare da giorni sulla folla che ne chiede a gran voce e da tempo le dimissioni? Si arriva al paradosso che la petromonarchia del Qatar, anch'essa impegnata nel reprimere le proteste del Baherein con il suo esercito, ha allo stesso tempo annunciato che invierà i suoi caccia per la democrazia in Libia.

Tutto ciò dimostra solo come nel caso libico si è da subito tentato di intervenire militarmente per interessi geopolitici.

Quale è infatti la razionalità politica di tale scelta? Semplice. 
Come sempre, ciò che muove gli eserciti non sono le intenzioni umanitarie, ma ben altre ragioni e motivazioni. Seguite il petrolio, il gas e i dollari e troverete la risposta.
Per ciò che riguarda la Francia e la sua frenesia di menar le mani si segua, oltre alla via del petrolio, quella dell'uranio che alimenta le sue centrali nucleari e quelle che vende per il mondo.
Il cessate il fuoco unilaterale dichiarato dal governo libico forse lascia del tempo per cercare di evitare la tragedia di una guerra nel mediterraneo. Temiamo duri poco. Sarà cercato in ogni modo un pretesto per giustificare comunque l'attacco, ora che una parvenza di legittimità internazionale è stata data dalla sciagurata risoluzione 1973.
L'Onu, che dovrebbe prevenire i conflitti fra gli Stati, in questo caso ha varato una decisione che potenzialmente potrebbe allargarlo e diffondere la guerra. Una decisione quindi si storica, ma per stupidità. Una stupidità alla quale, naturalmente, non si sottrae il governo italiano, pronto a dare basi uomini e mezzi all'impresa. In buona compagnia del Pd - già d'altronde in prima fila nelle guerre umanitarie del passato - che condivide apertamente tale scelta. 
Mentre la situazione in Libia stava precipitando, solo alcuni paesi progressisti dell'america latina hanno avanzato, invece di minacce e proclami, una proposta di mediazione, di soluzione politica del conflitto capace di scongiurare la guerra civile e l'intervento esterno. Questa proposta è rimasta colpevolmente abbandonata. Se vi sono ancora degli spiragli per evitare il peggio vanno usati ed agiti fino in fondo. Serve da subito una mobilitazione del popolo della pace per fermare la macchina da guerra che sta scaldando i suoi motori. 
Serve scendere subito in piazza contro la guerra e per chiedere che l'Italia rimanga fuori da questa nuova e sciagurata avventura bellica. Noi ci saremo.

mercoledì 21 settembre 2016

A proposito di Ippocrate, "Croce Rossa colpevole come gli eserciti". Il dibattito su Gandhi e guerre britanniche.




Se giudicata soltanto con il metro della ahimsa (termine indiano che indica “il non nuocere”, usato spesso da G. come sinonimo di nonviolenza n.d.r.) la mia condotta non può essere difesa. Io non faccio distinzione tra chi usa armi mortali e chi svolge i servizi della Croce Rossa. Entrambi sono colpevoli del crimine della guerra”. Così scriveva Gandhi nella autobiografia spiegando la sua partecipazione alle guerre britanniche, dalla guerra anglo-boera in Sudafrica del 1899 alla fine del primo conflitto mondiale nel 1918.

Organizzare un servizio di ambulanze o partecipare impugnando le armi, comporta, in entrambi i casi, collaborare alla guerra ed essere responsabili delle sue atrocità. Questo giudizio era comune al Mahatma e ai pacifisti, soprattutto europei, che lo criticavano per aver organizzato cittadini indiani in sostegno ai conflitti armati dell’ Impero Britannico.

Ma andiamo con ordine.

Gandhi in quattro occasioni sostenne le guerre dell’ Inghilterra.

Il Mahatma organizzò indiani in supporto all’esercito inglese in Sudafrica nel 1899 contro i Boeri e nel 1906 contro la cosiddetta (termine usato da G. Pontara) rivolta degli Zulù, e in due momenti diversi della prima guerra mondiale, nel 1914 e nel 1918.
Addirittura nelle prime due occasioni riteneva che la ragione fosse dalla parte dei Boeri e degli Zulù ma organizzò ugualmente un corpo di barellieri indiani inquadrato nell’ esercito britannico. Nel conflitto mondiale sostenne completamente gli inglesi, promuovendo all’inizio un servizio volontario di assistenza sanitaria, accettato dall’ Inghilterra, e nel 1918 invitando con grande impegno gli indiani ad arruolarsi volontariamente nell’esercito dell’Impero Britannico, ritenuto in quel momento in grande difficoltà.

L’atteggiamento del Mahatma suscitò molte reazioni negative e le perplessità di alcuni suoi collaboratori, di pacifisti europei, cronisti di tutto il mondo e lettori dei suoi giornali, Young India e Harijan.

Padre Ernesto Balducci: Gandhi “Il suddito di Sua Maestà”, fino al 1920.

Inizio segnalando la tesi sulla partecipazione di G. alle guerre inglesi sostenuta da Ernesto Balducci. E’esposta nel suo volume “Gandhi” (1988, Edizioni della pace, una casa editrice fondata dallo stesso Balducci).

Secondo il religioso toscano, Gandhi fino al 1920 pensava che l’ autonomia dell’ India si potesse realizzare all’ interno dell’ impero britannico. In un capitolo di due pagine dal titolo “Il suddito di Sua Maesta’ ”, Padre Ernesto riporta nel suo volume un periodo della autobiografia di Gandhi:

Pensavo che il pregiudizio razziale di cui ero stato testimone in Sudafrica fosse contrario alle tradizioni inglesi e lo ritenevo un sintomo passeggero e circoscritto, perché la mia lealtà per la corona era pari a quella degli stessi inglesi.

Secondo Balducci G. aveva una “ostinata lealtà acritica, che faceva tutt’uno con il suo rigore morale”. Nelle due guerre coloniali inglesi il Mahatma nel 1899 riteneva che la ragione fosse dalla parte dei Boeri mentre nel 1906 aveva dei dubbi sulla rivolta degli Zulù ma non nutriva nessun rancore verso di loro. “Il disprezzo razzistico” degli inglesi nei confronti dei negri e gli spettacoli “disumani” nei quali si trovò coinvolto colpirono molto Gandhi, che, di ritorno dai sei mesi di guerra, fece una scelta radicale: il voto di bramacharya o celibato perpetuo, nei suoi intenti un modo per addossarsi le sofferenze dell’ umanità.

La svolta politica avvenne attorno al 1920 quando il giudice Rowlatt ripropose in due disegni di legge la legislazione di emergenza adottata durante la guerra e ormai scaduta. Iniziò una grande mobilitazione indiana nonviolenta ma, a causa di provocazioni inglesi, scoppiarono presto incidenti che portarono ad un massacro. Rimasero uccisi ben 4.000 indiani. Gandhi ritenne di aver compiuto un errore “grande come l’ Himalaya”: i suoi connazionali lo consideravano molto ma non erano ancora pronti a sostenere un durissimo conflitto nonviolento. Iniziò da allora un lavoro di graduale educazione al Satyagraha, la lotta nonviolenta. Intanto si consolida una egemonia di Gandhi sul Congresso, la maggiore organizzazione politica degli indiani, tuttora in attività, con posizioni ora indirizzate verso una totale indipendenza, pur senza impazienza e da ottenere con mezzi nonviolenti.

Balducci ritiene che fu il metodo gandiano a cambiare la convinzione iniziale del Mahatma sulla possibilità di ottenere l’ indipendenza convincendo gli inglesi e non costringendoli con la lotta, sia pure nonviolenta. Il metodo gandiano presuppone una ipotesi, la fedeltà ai valori di fondo, ma anche l’esperimento con la verità, verificare nel modo più sincero possibile se l’ ipotesi considerata supera la prova sperimentale. Un metodo scientifico che si unisce a valori morali fortissimi.
Il religioso toscano riteneva il metodo gandiano la lezione più importante ed universale lasciata dal Mahatma, valida in ogni luogo e in ogni tempo. Un giudizio che condivido con grande convinzione.

Questo scritto sarà aggiornato nei prossimi giorni, ritengo però che già così, incompleto e in brutta copia,  possa far conoscere notizie interessanti e poco diffuse.

Marco

I dissensi verso l’ impegno di Gandhi in sostegno all’ esercito britannico dal 1899 al 1918.

Le giustificazioni di Gandhi da autobiografie,Pontara e lettere

L’analisi di Giuliano Pontara in Teoria e pratica della nonviolenza
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lunedì 19 settembre 2016

Lista NoNato-Rete NoWar: Perchè non aderiamo ad appello e corteo del 24 settembre per il popolo curdo


Comunicato della Lista Comitato No Guerra No Nato e della Rete No War Roma

PERCHE' NON ADERIAMO ALL'APPELLO ED ALLA MANIFESTAZIONE DEL 24 SETTEMBRE

Pur avendo sostenuto per anni la lotta del popolo curdo, siamo molto preoccupati delle scelte che una parte della sua dirigenza ha imposto in Siria. Queste scelte e le loro conseguenze non sono assolutamente messe in discussione dall’appello per il 24 settembre:

1)     Non viene minimamente condannato il fatto che l'esercito turco ha invaso uno stato indipendente, la Siria, in cui gli stessi Curdi vivono, violandone platealmente la sovranità.
2)     Non viene chiarito che gli stessi Curdi della Siria, ed i loro alleati delle "forze democratiche siriane" (spezzoni di vecchie formazioni jihadiste facenti capo al sedicente Esercito Libero Siriano), hanno per primi essi stessi violato la sovranità del loro paese consegnando nelle mani dell'alleato esercito statunitense una serie di basi su suolo siriano.
3)     Viene taciuto che gli stessi statunitensi si servono di queste basi per attaccare e minacciare l'esercito nazionale siriano che difende l'unità, l'indipendenza e la sovranità del paese, mentre contemporaneamente l'esercito nazionale viene bombardato anche da Israele, che cura anche i feriti di Fateh al-Sham (ex al-Nusra) e dell'ISIS nei propri ospedali..
L'ultimo deliberato bombardamento dell'esercito USA sulle posizioni  dell'esercito siriano a Deir Es Zor, città assediata dalle bande dell'ISIS,  che ha causato decine di morti, favorendo così gli attacchi dell'ISIS, dovrebbe far riflettere sulle reali intenzioni degli USA. Gli Statunitensi stanno anche sabotando la tregua umanitaria concordata con la Russia, non onorando l'impegno preso di costringere le formazioni armate da loro controllate a cessare il fuoco ed a distaccarsi dai terroristi estremisti dell’ex al-Nusra ed ISIS.

Fin dagli anni '90 i neocons USA nei loro documenti indicavano una serie di paesi da distruggere perché non compatibili con i loro sogni di domino mondiale, tra cui la Siria, la Jugoslavia, l'Iraq, l'Iran, la Libia e altri paesi. A partire dall'amministrazione di Bush jr le indicazioni dei neocons sono state adottate ufficialmente come strategia della politica estera statunitense. Di questo ci sono oltre che i fatti, varie testimonianze, a partire da una famosa intervista rilasciata nel 2008 dal generale Wesley Clark.  
Come conseguenza, fin dal 2011 è stata formata una vasta alleanza filo-imperialista con l'intento di distruggere lo stato siriano laico e progressista, uscito dalle lotte anticoloniali, così come già è stato fatto per la Jugoslavia, Libia, Iraq, Ucraina, Somalia, Costa d'Avorio, Sudan.
Di questa alleanza fanno parte USA, UE, NATO, Turchia, Arabia Saudita, Qatar, e bande di mercenari jihadisti terroristi che fanno capo all’ex al-Nusra, ISIS, e presunte formazioni "moderate" legate agli USA.
Il movimento curdo siriano, che dichiara di voler lottare per una Siria democratica, dovrebbe precisare se intende portare avanti le proprie rivendicazioni nell'ambito dello stato laico e progressista siriano, che ha assicurato pieni diritti alle donne, e alle numerose religioni ed etnie presenti nel paese,  o cercare illusoriamente di realizzare le proprie aspirazioni a costo della distruzione della Siria, programmata da tempo dall'imperialismo,  con la creazione di uno staterello fantoccio, stile Kosovo.
Altrettanta chiarezza richiediamo a tutte quelle organizzazioni sedicenti pacifiste e di sinistra, che non mancano occasione di attaccare e demonizzare il governo della Siria, e che oggi trovano un facile alibi nell'adesione all'ambigua manifestazione del 24.
                     
Roma 19/9/2016 
Lista Comitato No Guerra No Nato,   Rete No War Roma
Per adesioni: comitatononato@gmail.com
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mercoledì 14 settembre 2016

Renzi, Pinotti, Gentiloni, basta avventure di guerra ! Giù le mani dalla Libia !


Dopo aver occupato, oppresso e depredato la Libia dal 1911 alla seconda guerra mondiale, dopo averne bruciato i villaggi, avvelenato i pozzi, giustiziato i resistenti, chiuso in campi di concentramento o deportato la popolazione, uccidendone un terzo, l’Italia torna a muovere guerra alla sua ex-colonia. Non contento di avere, con il governo Berlusconi, a fianco di Francia, Stati Uniti, altri paesi della Nato e satrapi del Golfo, trasformato in sanguinario caos un paese un tempo prospero e pacifico, che non minacciava nessuno, il governo Renzi, vassallo di quello Usa, ne esegue l’ordine per una nuova aggressione.

Nascondendosi dietro alla richiesta del regime fantoccio dei Fratelli Musulmani di Tripoli, inventato dall’ONU e capeggiato da Al Serraji, ma privo di qualsiasi legittimità democratica e alla mercè di bande jihadiste, la ministra di Guerra Roberta Pinotti invia, in aggiunta a forze speciali italiane Nato già presenti, 300 militari a Misurata,  supportati da forze navali e aeree, mascherando tale intervento sotto il camice umanitario di alcuni medici e infermieri.
Interviene a gamba tesa in una situazione che vede contrapposti nello scenario libico vari attori dalle diverse protezioni internazionali: dal governo di Tobruk, legittimato dal voto popolare e in passato riconosciuto dalla “comunità internazionale”, a quello islamista di Tripoli, a quelli del tutto fittizio di Al Serraj e alle numerose tribù e relative milizie allineate a diversi referenti esteri.

Ieri come oggi, gli Occidentali che intervengono in Libia lo fanno a detrimento della sovranità, dell’unità e del benessere del popolo libico e nel proprio esclusivo interesse economico. Gli eccessi militaristi della Pinotti e del governo Renzi non conoscono tregua: militari in Iraq con il pretesto di difendere una diga o di addestrare milizie curde; forze speciali in Siria che favoriscono la distruzione e la spartizione di un paese sovrano; spedizione militare in Libia. Tutto sempre con scelta unilaterale, passando sopra il parlamento, a fianco di chi ci dettano gli Usa (che così risparmiano soldi e uomini) in sostituzione di un approccio diplomatico, equilibrato, di pacificazione.

Dobbiamo opporci con tutte le forze a questa ennesima, irresponsabile, iniziativa militare che, come tutte le altre, provocano infiniti lutti e devastazioni e costituiscono autentici crimini di guerra e contro l’umanità

Via dall’Iraq, dalla Siria, dalla Libia, dal’Afghanistan. Rispetto per la sovranità dei popoli. Pace!

Campagna contro l' intervento militare italiano in Libia


martedì 13 settembre 2016

Libia, un NO chiaro e a viso aperto alla guerra mascherata



Dopo l' annuncio dell' invio di 300 militari italiani in Libia per allestire e proteggere un ospedale da campo per le milizie integraliste armate di Misurata che combattono per il governo Serraj, insediato senza alcun voto popolare dalle Nazioni Unite,

è necessario che arrivi forte e chiara la voce di chi si oppone alla guerra,

Nella speranza di favorire un impegno immediato di tutti, ripropongo un comunicato di inizio agosto e di seguito un mio articolo di aprile: "La guerra in Libia un grande affare per Italia ed Eni ?"

Marco

I primi di agosto la Lista NoNato diffuse questo comunicato

No alla guerra in Libia
6 agosto 2016

“Gli aderenti alla lista ComitatoNoNato@googlegroups.com condannano nel modo più deciso la nuova avventura militare scatenata dagli USA in Libia con l’appoggio diretto o indiretto del governo italiano e di altri governi occidentali aderenti alla NATO.

La ministra della Difesa italiana Pinotti ha assicurato che “l’ITALIA FARA’ LA SUA PARTE” e ha preannunciato la probabile concessione delle basi italiane per le operazioni militari.
Questa operazione guerresca viola quindi nuovamente l’articolo 11 della costituzione italiana, già violato pesantemente con la precedente aggressione alla Libia del 2011 che ha distrutto il paese più ricco e sviluppato dell’Africa.

La nuova avventura bellica, scatenata con la motivazione ufficiale della lotta all’ISIS, è in realtà una nuova operazione neocoloniale che si propone tre obiettivi concreti:

1) Una nuova spartizione delle ingenti risorse libiche: gas, petrolio, acqua sotterranea, e la definitiva rapina delle grandi risorse finanziarie libiche depositate nei fondi di investimento internazionali e già “sequestrate” nel 2011 dalle potenze occidentali;

2) Il rafforzamento del cosiddetto governo “unitario” della Libia guidato dal fantoccio SerraJ, sostenuto dalle milizie islamiche di Misurata e dalla “Fratellanza Musulmana”. Questo “governo”, imposto dall’esterno da un gruppo di potenze occidentali con la copertura della solita ambigua risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non è stato mai approvato ed eletto dai Libici e non è riconosciuto dal Parlamento Libico e dal “governo” di Tobruk che controlla tutta la parte orientale della Libia e che ha condannato recisamente ogni intervento militare straniero, comunque motivato.

3) La riapertura di basi militari straniere in Libia che furono chiuse dal governo Gheddafi dopo la proclamazione della repubblica in Libia.

Per eliminare l’ISIS/Daesh, non servono le bombe.  ISIS va estirpato alla radice, attraverso sanzioni severe contro i suoi mandanti. Il ricorso a bombe straniere su Sirte, invece, non farà altro che favorire il reclutamento di nuovi jihadisti e un conflitto senza fine, aumentando il caos già creato con la guerra di aggressione del 2011 e moltiplicando il pericolo di attentati anche in Italia.

Gli italiani contrari alla guerra e a nuove avventure neocoloniali, e sensibili al tema della pace, sono invitati a organizzare forme di protesta — insieme a forme di controinformazione su questi gravi fatti — per dire al governo Renzi: L’Italia si dissoci dai bombardamenti, NO all’uso delle basi italiane e dello spazio aereo italiano.
Lista NO NATO 

Guerra in Libia, un grande affare per l' Italia e per l' Eni ?
di Marco Palombo

24 aprile 2016

pubblicato da

Il pane e le rose
e
Pressenza


Negli ultimi mesi la produzione complessiva di gas e petrolio negli impianti dell’ENI in Libia è attorno a 300/350 mila boe/g (barili olio equivalenti al giorno), il 20% della produzione totale dell’ENI. Al momento dell’ inizio del conflitto armato in Libia, nel primo trimestre del 2011, erano attesi 280 mila boe/g.. Nel 2014 furono in media 239 mila boe/g.

Attualmente sono in funzione gli impianti offshore (piattaforme marine), mentre sulla terra ferma è attivo solo il sito di Wafa, nella Libia occidentale, a qualche centinaio di chilometri dalla costa. Nella stessa porzione di Libia è fermo dal maggio 2015 il campo Elephant, entrato in attività nel 2004. Mentre nell’est del paese i campi sono chiusi dal luglio 2013 per il blocco dei terminal e in precedenza per “proteste delle comunità locali”. Nel 2015 sono stati scoperti anche due “significativi” giacimenti, “la vicinanza di queste nuove scoperte alle infrastrutture esistenti ne renderà possibile il rapido sviluppo”.

I contratti di esplorazione e produzione in corso sono validi fino al 2042 per quanto riguarda i liquidi e fino al 2047 per il gas.*

Da questi dati si vede che la produzione ENI in Libia è già superiore a quella esistente prima del conflitto e lo sarebbe in misura ancor più notevole se entrassero in attività anche solo una parte degli impianti ora fermi, ma sempre integri. Quindi dall’inizio della guerra non abbiamo perso posizioni rispetto agli altri paesi, abbiamo solo ritardato o momentaneamente fermato alcuni nostri progetti.

Intanto da tempo l’attivismo del governo Renzi in Libia è molto intenso, ufficialmente per fermare l’ondata migratoria dalle coste libiche verso l’Italia e per arginare i terroristi dell’ Isis, quantificati in poche migliaia di combattenti in un paese dove per anni hanno agito più di 1.000 milizie armate irregolari.

Il nostro paese è stato l’ultimo ad interrompere i rapporti diplomatici con il governo di ispirazione islamica del General National Congress di Tripoli, i cui esponenti - tra questi l’ex premier Ghwell e l’ex presidente del parlamento Abu Sahmani - ora sono colpiti dalle sanzioni dell’ Unione europea e degli Stati Uniti. Viceversa siamo stati i primi ad inviare il ministro degli esteri a Tripoli ad incontrare il nuovo premier scelto dall’Onu, al-Serraj, quando ancora non era stato riconosciuto come legittimo da nessun parlamentare dell’assemblea di Tobruk, dove ha sede l’altro governo libico che contendeva con le armi la guida del paese al GNC di Tripoli.

Negli stessi giorni il ministro degli Interni Alfano ha incontrato a Roma il suo omologo libico per parlare di immigrazione e il governo italiano ha presentato a Bruxelles il "Migration compact", un piano per gestire le migrazioni in Europa dall’Africa, descritto dai media come simile al recente accordo tra UE e Turchia, con la Libia in un ruolo analogo a quello turco, cioè destinataria di fondi europei.

Inoltre il 15 marzo a Roma, all’ex aeroporto di Centocelle, ora Comando Operativo Interforze, si sono incontrati rappresentanti di 30 paesi per discutere dettagli dell’ annunciato intervento militare in Libia. L’Italia dovrebbe avere il comando della missione e la sede operativa dovrebbe essere proprio all’ex aeroporto di Centocelle. Per finire il generale dell’esercito italiano Serra è attualmente il consigliere militare dell’ incaricato ONU per la Libia, il tedesco Kobler.

La guerra alla Libia è stata, come sostengono molti, una guerra della Francia agli interessi italiani? Anche se questo fosse vero, il governo Renzi sembra aver fatto buon viso a cattivo gioco, e si sarebbe verificata una sorta di eterogenesi dei fini.

Il grande impegno governativo italiano è finalizzato solo ad arginare gli arrivi dei migranti e il terrorismo dell’Isis? Terrorismo che peraltro in Libia è assai difficile da riconoscere all’interno della feroce guerra in corso, dove tutti combattono contro tutti?
Io non ci credo. Viste tutte queste premesse, ritengo legittimo ipotizzare che governo Renzi e Eni, con la diplomazia e i militari, vogliano allargare il già notevole volume di affari in Libia e, con la morte e la distruzione che continuano a segnare il paese africano e che aumenterebbero in caso di presenza militare occidentale, considero questo un atteggiamento immorale e ipocrita.

Tuttavia, difficilmente i media si interesseranno seriamente delle strategie italiane nel paese libico perchè l’Eni, dall’immediato dopoguerra, è sempre stato attivissimo nel campo dell’informazione e comunicazione, e attualmente dedica alla sola comunicazione 200 milioni di euro, secondo l’ex A.D. Scaroni, così da affrontare meglio la concorrenza nel libero mercato dell’energia. Ma il rapporto tra Eni e informazione è un tema enorme che merita un approfondimento specifico. Ne riparleremo.


*La fonte dei dettagli delle attività ENI in Libia è il sito ufficiale della società, www.eni.com

sabato 10 settembre 2016

Tregua in Siria-Lo spot della Botteri.Target: la sinistra superficiale italiana


Le frasi tra virgolette che seguono sono all' interno di una corrispondenza della giornalista RAI Giovanna Botteri dagli USA sull' accordo raggiunto tra Russia e USA per una tregua in Siria. Il servizio, trasmesso in tutti i TG di Rainews24, va in onda ogni ora, nella giornata di oggi sarà trasmesso almeno 10-15 volte.

Ha una frequenza da spot pubblicitario e il target, l' obiettivo da convincere, è la sinistra superficiale italiana.
 Per ora riporto solo le parole, che dovrebbero essere quasi tutte esatte, che ho trascritto dopo aver sentito il servizio alle 7, poi alle 8 , infine, armato di carta e penna, alle 9 di questa mattina. Chi segue la guerra siriana coglierà al volo la manipolazione della realtà di queste parole.

Di seguito il piccolo stralcio dal servizio trasmesso dagli USA.... su un accordo raggiunto a Ginevra.

"...ricordiamo,
la Russia protegge e aiuta militarmente il regime siriano, gli USA in questo momento supportano gruppi dell' opposizione, gruppi non jihadisti, soprattutto i curdi..."

Il quadro dipinto in neanche due righe descrive una situazione assolutamente falsa,

il "soprattutto i curdi" è un falso assoluto,
che gli USA appoggino i curdi più dei altri gruppi della Coalizione dell' opposizione,che si è riunita ultimamente a Londra, è assolutamente impossibile.

"gruppi non jihadisti", anche i servizi della stessa Rainews24 dalla Siria riportano come i gruppi jihadisti siano maggioritari tra chi combatte in Siria contro il governo, è difficile capire come fa la Botteri ad essere così sicura che questi non godano di alcun aiuto proveniente dagli USA

"la Russia protegge e aiuta militarmente il regime..."
la Russia aiuta lo stato siriano ed è favorevole a libere elezioni in Siria. Il nodo tra USA e Russia non è se Assad debba rimanere presidente o meno, la posizione diversa è se Assad può partecipare alle libere elezioni in Siria. Ho molto semplificato ma le mie frasi sono molto più vicine alla verità di quanto viene sostenuto da tutti i media occidentali.