martedì 25 novembre 2014

La domanda che avrei voluto fare a Loretta Napoleoni ma mi è stata "stoppata" da Amedeo Ricucci


“Nel Medio Oriente c’è la tendenza alla disgregazione degli stati nazionali ma questo non incide più negativamente sulla produzione petrolifera, anzi spesso favorisce l’ incremento della stessa”

Lunedì 24 novembre l’ economista Loretta Napoleoni presentava alla Libreria Feltrinelli della Galleria Sordi, proprio davanti a Palazzo Chigi, il suo ultimo libro sull’ Isis. L’ incontro è stato introdotto da Amedeo Ricucci, giornalista Rai rapito dall’ Isis nell’ aprile 2013. Dopo alcune domande poste dal giornalista è stato il pubblico a intervenire ed anch’ io ho fatto una domanda.  In sostanza ho chiesto a Loretta Napoleoni.

“La disgregazione degli stati nazionali in Medio Oriente è una tendenza, o rischio, su cui concordano  tutti gli osservatori. La Libia è attualmente divisa tra due governi, uno sostenuto da Egitto l’ altro da Qatar e Turchia, l’ Iraq è diviso tra Kurdistan iracheno, la zona controllata dall’ Isis, la parte ancora sotto il governo centrale di Baghdad. La Siria è divisa tra quello che controlla ancora Assad, il territorio curdo siriano e la zona  occupata dalle milizie antiAssad, Isis e altre formazioni.
Però, in questa situazione frammentata, la produzione di petrolio continua senza troppe scosse, anzi in Libia nel 2014, anno che ha visto il paese conteso tra due governi, la produzione è aumentata ed è tornata vicina al milione di barili il giorno”.

Ma, non appena ho accennato a questa stima sulla produzione petrolifera libica, Amedeo Ricucci mi ha interrotto ed ha affermato che in Libia c’è l’ anarchia e non è vero che la produzione è aumentata. A questo punto, come in altri momenti della presentazione del libro, c’è stato un vivace scambio di battute. Io ho replicato che anche l’ AspoItalia, associazione per lo studio del picco petrolifero, sezione italiana, mi aveva confermato il dato. In effetti in uno scambio di commenti un esponente dell’ Aspo che cura il sito web dell’ associazione aveva confermato l’ aumento della produzione libica nel 2014 e, comunque, ero sicuro di aver letto più volte di questo aumento di produzione nell’ ultimo anno.

Uscito dall’ incontro, ho ricercato su internet dati sulla produzione petrolifera libica negli ultimi tempi ed ho avuto conferma del trend nel 2014. Ho letto anche altri particolari sulle modalità che  hanno portato la Libia a tornare, dopo la guerra e il crollo del 2011, nel 2013 ad una produzione attorno al milione di barili il giorno, subire poi  un nuovo crollo nel primo trimestre del 2014, tornando  a 200.000 barili/giornalieri, e risalire gradualmente  fino a 900 mila b/g  proprio nei mesi del 2014 in cui lo scontro tra le due principali fazioni si radicalizzava.

Intanto segnalo questa mia domanda che non ha avuto risposta da Loretta Napoleoni perchè Amedeo Ricucci mi ha contestato un dato vero.

Ma questo episodio mi ha convinto anche che questa sia una questione cruciale, cioè che:

“C’è la tendenza alla disgregazione degli stati nazionali e questo non incide più sulla produzione petrolifera, anzi spesso favorisce l’ incremento della stessa”.

Mi riprometto di approfondire ulteriormente il tema, ma lo voglio segnalare immediatamente. Perchè volevo farlo lunedì e mi è stato impedito.


Marco Palombo
attivista contro la guerra

venerdì 7 novembre 2014

Un commento di Alfonso Navarra al mio pezzo sul 2007



La sinistra cd radicale in Italia dovrebbe "rifondarsi" innanzitutto depurandosi dal vecchio sottoceto politico "poltronaro".
Siccome - per fare un solo esempio - RifCom non riesce a scrollare dalla segreteria l'ex ministro del lavoro Ferrero, e a dissolvere la sua "cordata", sarebbe allora forse compito dei movimenti, per il tramite degli attivisti con interessi politici complessivi, prendere con intelligenza le distanze da questi zombies politici, che trasformano in materia putrefatta tutto ciò che toccano.
In realtà siamo sempre a fare i portatori d'acqua per costoro, nelle elezioni che designano i rappresentanti istituzionali.

L'ultimo nostro errore - lo possiamo ora dire? - è stato la Lista TSIPRAS che ha eletto due giornalisti di Repubblica (Spinelli e Maltese) e una rifondarola (Fiorenza).
Ora stiamo correndo - è la logica delle cose - verso nuove elezioni politiche anticipate.
Possiamo aspettarci una mitragliata di appelli che inviteranno all'unità dietro il solito personaggio-leader che deve fare da foglia di fico a coprire una passione che da tempo non c'è più travolta dagli appetiti di "dittarelle" che sono interessate solo a parassitare un po' di risorse distribuite dal sistema politico ai mestieranti della rappresentanza.

Landini ha capito - credo - che insieme a costoro non si va da nessuna parte e fa bene a tenersi stretta la FIOM per tentare di scalare la CGIL.
In Italia purtroppo abbiamo ancora bisogno di sindacati che - con o senza bandiere rosse - sappiano semplicemente fare il loro mestiere...
Possiamo uscire da questa gabbia in cui noi stessi ci siamo rinchiusi?
Sì lo credo. Podemos. Ma dovremmo ascoltare più i giovani "indignati" (che si riallacciano al grande vecchio Hessel) che non chi si attacca alle patacche di vecchie simbologie che significano qualcosa di indeterminato solo per ultimi giapponesi che hanno perso ogni rapporto con la contemporaneità.
 
 

Un commento di Nella Ginatempo al mio pezzo sul 2007

Caro Marco, grazie per questa dettagliata ricostruzione. Mi hai fatto ricordare tante cose che avevo dimenticato.
Quali lezioni trarre da questa storia ? Come è stato possibile che un grande movimento si sia squagliato come neve al sole ? 

 E quello che si trae dalla tua ricostruzione è la tenacia di alcuni pezzi del movimento che cercano di riorganizzarsi e di continuare le iniziative nonostante la crisi politica del pacifismo dovuta  alle scelte del "governo amico". Quest'ultimo aveva prodotto molte nefaste conseguenze: il voto favorevole alla guerra in Afghanistan e alla base Dal Molin, condiviso da Rifondazione al governo e giustificato dalle maggiori associazioni vicine al centrosinistra come ARCI e CGIL. A sua volta  questi processi travolgono la precaria unità durata alcuni anni nel movimento dei social forum dove attorno al NO ALLA GUERRA SENZA SE E SENZA MA si erano incontrati sia moderati che radicali.  L'asservimento della sinistra italiana alla NATO diventa ormai insostenibile per i settori radicali del movimento, così Bastaguerra, social forum nazionale, si svuota perchè si svuotano i vari social forum dopo le spaccature tra associazioni pro governo e quelle anti governo. I partiti come Rifondazione e comunisti Italiani escono di scena dalle sedi del movimento perchè hanno tradito il loro ruolo di rappresentanti del NO ALLA GUERRA e vivono una crisi verticale di consenso. 

 I pezzi che resistono sulla scena politica dopo la crisi dei social forum producono alcune iniziative rilevanti tra cui soprattutto la manifestazione contro Bush e le carovane contro la guerra legate alla legge di iniziativa popolare contro le basi militari. Iniziative svolte senza e contro i partiti di governo, senza e contro le associazioni amiche del governo tra cui i sindacati confederali. Alla fine questi percorsi porteranno alla costituzione del Patto permanente contro la guerra che si rivelò all'inizio una buona scelta organizzativa, foriera di potenziali sviluppi.

 Ma purtroppo le divisioni interne tra i vari gruppetti e grupponi politici che la componevano condussero al naufragio questa esperinza, viziata da politicismo e autoreferenzialità dei vari componenti: differenti fazioni trozkiste con differenti rapporti con Rifondazione, rivalità tra Cobas e Disobbedienti, contrasti tra Cobas e altrisindacati di base con la rete dei comunisti, gruppettarismo esasperato. Credo ch una futura auspicabile rifondazione dei movimenti dovrebbe partire da una anlisi degli errori compiuti e dei successi che, nonostante tutto, la partecipazione popolare continuò a produrre ancora per qualche tempo, fino ad esaurire la prorpia spinta per mancanza di un punto di riferimento nazionale organizzato e per il crollo di molte speranze.

giovedì 6 novembre 2014

2007, contro le guerre senza la sinistra istituzionale

2007, contro le guerre senza la sinistra istituzionale
di Marco Palombo

Negli ultimi anni molti hanno parlato di scomparsa del pacifismo italiano, passato dalla enorme mobilitazione del 2003 contro la guerra in Iraq all' assenza completa durante i bombardamenti italiani in Libia.

In realtà tra il 2003 e il 2011 ci sono stati dei passaggi intermedi che proverò a ricordare affinchè da quelle mobilitazioni si possano ricavare idee per ricostruire un movimento nazionale contro le guerre. Credo infatti che una parte della sinistra storica protagonista del 2003 sia ormai legata alle strategie di Nato e UE e non più disponibile a iniziative che disturbino le due istituzioni internazionali.

A questo proposito è interessante ricostruire il 2007. In quei dodici mesi ci sono stati episodi che hanno rappresentato una cesura netta tra due fasi molto diverse del movimento pacifista. Gli appuntamenti di quell' anno sono stati molti e quindi sarò schematico e sintetico, sperando che queste righe siano solo l'inizio di una discussione più ampia.

Il 17 febbraio a Vicenza si svolge una manifestazione nazionale contro la costruzione della nuova base USA Dal Molin. La questura stima che abbiano sfilato 80.000 persone. Contribuiscono alla grande partecipazione anche Prc e CGIL che organizzano numerosi pulman da tutta Italia.

Il giorno seguente a Vicenza si riuniscono anche i primi firmatari di un appello per il ritiro dei militari italiani dall' Afghanistan. Le settanta persone presenti si danno un nuovo appuntamento a Firenze per il 3 marzo, da questo momento si chiameranno rete Semprecontrolaguerra perchè, nonostante il governo amico, la sinistra faceva scelte di guerra e questo movimento cercava una propria autonomia politica.

Il 21 febbraio abbiamo il voto al Senato su una mozione di politica estera presentata da Anna Finocchiaro, il documento ha come tema centrale la partecipazione alla guerra in Afghanistan. Non è la legge per il rifinanziamento per le missioni militari all' estero che avrebbe potuto contare anche sul voto del centrodestra, ma una mozione politica e il centrodestra vota contro. Mancano però anche alcuni voti alla maggioranza, tra questi quelli del senatore Turigliatto (Prc) e Fernando Rossi (PdCI ma già in procinto di uscire dal gruppo parlamentare) che al momento del voto escono dall' aula, di fatto astenendosi. Il risultato della votazione in aula vede 158 voti favorevoli, 135 contrari e 24 astensioni, sommate poi ai voti contrari. Prodi da le dimissioni, Ministro degli Esteri era Massimo D'Alema.

Il 3 marzo a Firenze si riunisce la rete Semprecontrolaguerra. Il giorno dopo nella città toscana si svolge anche un incontro della rete Disarmiamoli al quale partecipano alcuni attivisti della rete Semprecontrolaguerra. Nei due appuntamenti si lancia la manifestazione nazionale nel quarto anniversario dell' inizio della guerra all'Iraq.

Il 17 marzo si svolge la manifestazione a Roma contro le guerre in Iraq e Afghanistan. La Giornata mondiale contro le guerre è stata lanciata dal Forum Mondiale di Nairobi per il quarto anniversario dell' inizio della guerra all' Iraq, 20 marzo 2003. Partecipano al corteo almeno 10.000 persone senza nessuna presenza della sinistra istituzionale. Alla fine della manifestazione, in Piazza Navona, il Partito Umanista disegna un enorme simbolo della pace formato da centinaia di persone.

Un video con i servizi sulla manifestazione di TG1, TG2 e TG3.

15 aprile. Un' assemblea indetta a Bologna dalle reti Semprecontrolaguerra, Disarmiamoli e Fermiamo chi scherza con il fuoco atomico, lancia la carovana contro la guerra. Tre camper partiranno da diversi punti d' Italia e si ritroveranno a Roma il 2 giugno in una manifestazione davanti a Castel Sant'Angelo che si propone come alternativa alla tradizionale parata militare del 2 giugno ai Fori Imperiali. La carovana vuole lanciare la legge di iniziativa popolare contro le basi militari in Italia. L.I.P. Che raccoglierà 70.000 firme e sarà presentata in Parlamento nel 2008 senza essere però mai discussa fino ad oggi.

Intanto il 9 giugno è prevista una visita a Roma di George Bush. Un appello convoca una manifestazione nazionale che si concluderà in Piazza Navona, i primi firmatari sono le associazioni:
Action, Attac-Italia, Sinistra critica, Bastaguerra, rete Semprecontrolaguerra, Disarmiamoli, Cub, Cobas, Global meeting Network (almeno 30 centri sociali e tute le sedi italiane di Ya Basta), Partito Comunista dei lavoratori, Partito Umanista, Rivista Erre, Rete dei comunisti, UniRiot (Roma, Bologna, Napoli, Torino) e molti altri collettivi.
Le prime firme individuali all'appello sono di:Cinzia Bottene, Olol Jackson (Presidio permanente No Dal Molin), Sandro Bianchi, Giorgio Cremaschi, Mauro Bulgarelli, Franco Turigliatto, Fernando Rossi (senatori), Vauro, Tommaso Di Francesco, Manlio Dinucci, Luigi Pasi, Margherita Recaldini (Sdl intecategoriale),Nella Ginatempo e Melo Franchina (Bastaguerra), Doretta Cocchi (Bastaguerra Firenze).

Per la stessa giornata Fiom e Prc, insieme all' associazionismo vicino all' allora centrosinistra, convocano una manifestazione-presidio in Piazza del Popolo: “Con l' altra America contro tutte le guerre di Bush”. Qualcuno vorrebbe un' iniziativa unitaria e viene lanciato un terzo appello in questa direzione. Primi firmatari: Lidia Menapace, Alex Zanotelli, Haidy Giuliani, Franca Rame, Gianni Minà, Giannini.

Ma le due iniziative si svolgono distinte e 100.000 manifestanti sfilano da Piazza della Repubblica a Piazza Navona, mentre in Piazza del Popolo, convocate dalla sinistra che appoggia il governo Prodi, si concentrano solo 1.000 persone.

Qui una galleria di foto, proposta da Repubblica.it, delle due manifestazioni

Il 25 novembre un' assemblea a Roma convocata da Reti e movimenti No War discute delle iniziative future. Nasce il Patto permanente contro la guerra che unisce: reti contro la guerra, partiti della sinistra che non appoggiano il governo Prodi, sindacati di base, comitati territoriali contro le basi militari.

L'anno si conclude con una nuova grande manifestazione a Vicenza il 15 dicembre. Molto inferiore nei numeri a quella del 17 febbraio (ma parteciparono comunque alcune decine di migliaia di manifestanti), era ben visibile una forte presenza della comunità locale e degli ambienti cattolici. Nel corteo è presente anche il Prc e questo suscita qualche polemica visto che il partito continua a sostenere il governo Prodi ed a votare tutte le sue scelte.

Nel 2008 si conclude la raccolta di firme per la L.I.P: sulle basi militari e 70.000 adesioni certificate vengono consegnate alla Camera dei Deputati.

Nell' aprile 2008 le elezioni politiche vedono la scomparsa dal Parlamento nazionale della sinistra radicale che con la lista Sinistra Arcobaleno, composta da Prc, PdCI, Verdi, Sinistra democratica (ex Ds non entrati nel Pd), non raggiunge il 4% dei voti. Molti rimangono convinti che la causa principale di questa sconfitta sia stato l' atteggiamento tenuto nei due anni di Governo Prodi su guerre e politica estera.

sabato 1 novembre 2014

M.Correggia-Una storica rivolta nel segno di Sankara?

Risultati immagini per sankara
da  www.ilmanifesto.info

Una storica rivolta nel segno di Sankara?
—  Marinella Correggia, 1.11.2014
Burkina Faso. Voci dalla piazza che insorge

Il Bur­kina Faso festeg­gia la par­tenza di Blaise Com­paoré. Ma torna a cam­mi­nare al ritmo di Tho­mas San­kara – a 27 anni dal suo assas­si­nio — oppure corre il rischio di essere un’altra «pri­ma­vera» mani­po­lata? L’intensa espe­rienza rivo­lu­zio­na­ria san­ka­ri­sta fu inter­rotta nel 1987 con un san­gui­noso colpo di Stato, ordito pro­prio dal pre­si­dente appena fug­gito in Costa d’Avorio, con con­ni­venze di potenze regio­nali e occidentali.

A Oua­ga­dou­gou, Samsk Le Jah, musi­ci­sta, con­dut­tore radio­fo­nico, è uno dei lea­der della pro­te­sta. Per lui non c’è dub­bio: «Gli ideali di Tho­mas sono al cen­tro del pro­cesso: la dignità, il lavoro sulle coscienze, il coin­vol­gi­mento di tutti…». Il movi­mento di Samsk, «Balai citoyen» (scopa dei cit­ta­dini) è mobi­li­tato da oltre un anno, ma ha alle spalle un lungo periodo di edu­ca­zione e sen­si­bi­liz­za­zione — soprat­tutto dei gio­vani – per il quale Samsk e gli altri hanno rischiato la vita. Adesso occor­rono vigi­lanza e con­trollo continui.

Il «Balai citoyen» in un comu­ni­cato di ieri — che si con­clude con «la Patria o la morte, abbiamo vinto» — chiede di evi­tare i sac­cheggi e le distru­zioni di strut­ture civili, ed esorta le «popo­la­zioni degne del Faso a rima­nere vigi­lanti nel periodo di tran­si­zione che si apre, affin­ché la dolo­rosa vit­to­ria non sia con­fi­scata da poli­tici o mili­tari di parte». Samsk spiega che «non è un colpo di Stato mili­tare»: se l’esercito non si fosse assunto le pro­prie respon­sa­bi­lità, la città sarebbe caduta nel caos. Il capo di Stato di tran­si­zione scelto dai mili­tari, il colon­nello Isaac Ziba, ha dichia­rato che è stato il popolo a fare la rivo­lu­zione e l’esercito non la scipperà.

Ma come con­tra­stare le ine­vi­ta­bili inge­renze esterne? L’obiettivo uni­fi­cante dei mani­fe­stanti è stato far cadere il pre­si­dente. Finora li hanno lasciati fare. Ma l’opposizione par­ti­tica più citata non è certo quella dei par­titi san­ka­ri­sti (ne sono nati tanti nei decenni) ma quella di Zéphi­rin Dia­bré dell’Upc (Union pour le pro­grès et le chan­ge­ment), la fazione ben accetta alla Francia.

Ne è cosciente Alas­sane Dou­lou­gou, che vive da tempo in Cam­pa­nia dove fa il media­tore cul­tu­rale, oltre che il musi­ci­sta e l’attore: «Certo che c’è da temere. San­kara ha pro­vato sulla sua pelle cosa vuol dire ribel­larsi alla potenza colo­niale. Com­paoré, ora sca­ri­cato, è stato per decenni l’alfiere degli inte­ressi di Parigi nell’area. Altro che media­tore di pace, tutti sanno che era un pom­piere piro­mane! C’è stato il suo zam­pino nei con­flitti in Sierra Leone, Togo, Costa d’Avorio dove appog­giò Ouat­tara, Togo, Cen­tra­frica». Alas­sane sogna per il suo paese «una vera rivo­lu­zione, sennò che vuol dire demo­cra­zia? Biso­gna ricreare uno Stato con il con­senso di tutti e biso­gna fare come i latinoamericani.

San­kara era amico di Fidel e del Nica­ra­gua. Cha­vez venne dopo, ma più volte ha citato il lea­der del paese degli inte­gri». In piazza – nei prin­ci­pali cen­tri del Bur­kina Faso — di certo «ci sono ragazzi come quel dicias­set­tenne che nel 2007 sulla tomba di Tho­mas ci venne a dire pian­gendo che aveva capito e che nel suo remoto vil­lag­gio non avrebbe mai più inneg­giato a Compaoré».

A pro­po­sito: che ne è del mondo con­ta­dino, delle mag­gio­ri­ta­rie cam­pa­gne, che la rivo­lu­zione degli anni 1980 mise al cen­tro, per essere però stron­cata in mezzo al guado, troppo pre­sto? «Pur­troppo Com­paoré e il suo governo hanno con­tato sulla mise­ria delle cam­pa­gne, dispen­sando pic­coli favori, lavo­retti. Occor­rerà tempo», spiega ancora Alas­sane.
Da Oua­ga­dou­gou, Samsk ci pre­cisa il con­te­nuto sociale che deve avere la rivo­lu­zione– «La nostra Carta degli obiet­tivi mette le que­stioni sociali al cen­tro: sono i popoli che fanno le rivo­lu­zioni, e se i popoli non sono in buone con­di­zioni la rivo­lu­zione rimane una speranza.

Quindi occor­re­ranno riforme in tutti i campi. Pochi ric­chi si sono acca­par­rati tante terre. Salute e istru­zione sono state sabo­tate. Non si sa dove andava il denaro rica­vato dalle espor­ta­zioni minerarie…»