giovedì 1 giugno 2017

Clima-USA. Enormi interessi, non ignoranza di Trump. Gli USA mai hanno ratificato un accordo internazionale sul clima.



Se si usa il clima per far concorrenza
di Jacopo Giliberto
Sole24ore del 1 giugno 2017



La difesa del clima del pianeta è un altro dei temi di confronto fra i grandi sistemi politici ed economici. Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, annuncerà a breve la sua decisione di non accettare l’Accordo di Parigi sul clima. Nel frattempo Europa e Cina si stanno avvicinando proprio sulle scelte energetiche e ambientali. A chi parrà imprevedibile la mossa di Trump bisogna ricordare che mai nessun presidente degli Usa, non Barack Obama nei due mandati, non George Bush, non Bill Clinton, sono mai riusciti a far ratificare un accordo internazionale sul clima. Perfino il Protocollo di Kyoto si arenò nel ’99 sulle secche del voto negativo del Senato.

Nell’aria l’anidride carbonica è in quota ridottissima, lo 0,04%, ma cresce rapidamente: era lo 0,031% negli anni 70. A titolo di confronto un gas raro come l’argo è presente allo 0,9%. Ma l’anidride carbonica, cioè biossido di carbonio, cioè in formula bruta la CO2, ha la proprietà di trattenere il calore irraggiato dal sole, e quindi di scaldare l’atmosfera spostando il punto di equilibrio verso una temperatura più calda. La CO2 si sviluppa soprattutto dai processi di combustione naturale (eruzioni, incendi di foreste), biologica (la respirazione di piante e animali, fra i quali anche noi) e combustione artificiale (centrali elettriche, ciminiere, motori e così via).
Un mondo più caldo non significa l’estinzione della vita sul pianeta, questo no, ma significa comunque un mondo diverso da come lo conosciamo: i mari più alti, la Siberia e il Canada verdeggianti, deserti senza fine nelle zone tropicali, la scomparsa di alcune specie viventi e la comparsa di altre specie che oggi non possiamo nemmeno immaginare.
Nell’Italia delle frane un clima diverso fa presagire piogge più rare ma con tempeste più furiose, uno spostamento delle colture meridionali verso l’Alta Italia e comparsa di aree aride nel Mezzogiorno. E i bassopiani padani del Veneto, dell’Emilia e della Romagna, finirebbero sotto il mare, Venezia compresa.

Da anni si discute come contenere la CO2. Prima il protocollo di Kyoto e, dal dicembre 2015, l’Accordo firmato a Parigi durante il summit Onu definito Cop21. L’intesa di Parigi aveva condiviso tra tutti i Paesi l’obiettivo di impedire il riscaldamento dell’atmosfera. L’Accordo di Parigi aveva una grande spinta di principio (dice che cosa ottenere) ma zero applicabilità (non dice come ottenere l’obiettivo). E qui si giocano le diverse politiche internazionali.
In apparenza, la prevedibile decisione di Trump spinge la Cina ad avvicinarsi all’Europa in una politica climatica condivisa, lasciando gli Usa in un dorato isolamento politico.
Nella sostanza, però, le politiche climatiche degli Usa continuerebbero abbastanza allineate con quelle di Obama e predecessori: il clima del globo è importante ma deve essere difeso con strumenti nazionali, non con accordi multilaterali come quello dell’Onu.
Le strategie Usa per combattere le emissioni ci sono, hanno un peso importante, ma si fermano ai confini nazionali e si basano sugli aspetti economici e applicativi senza darsi princìpi universali su cui si fondano gli accordi europei e dell’Onu. Per esempio Obama per spingere una politica climatica ha indebolito il ruolo del carbone e promosso il ricorso al metano di produzione nazionale (lo shale gas) intervenendo sulle normative tecniche dell’agenzia ambientale Epa. E ancora sull’Epa è intervenuto anche Trump.

Il segretario di Stato di Donald Trump è Rex Tillerson, il quale fino a pochi mesi fa era a capo della compagnia petrolifera Exxon Mobil. Tillerson è un sostenitore convinto delle politiche climatiche, ma esige politiche climatiche basate sui fatti, sulle scelte del mercato, sulle azioni virtuose compiute dai consumatori e dagli azionisti. È Tillerson uno dei promotori di una carbon tax che, adottata in modo uniforme in tutti i Paesi, potrebbe annullare i divari di competitività creati dalle politiche climatiche. Gli Usa non vogliono che le decisioni sul clima siano usate come leva per creare disparità sui mercati.

Ed ecco uno dei temi di scontro. L’uso delle politiche climatiche — cioè energetiche, e cioè industriali — per spostare la competitività dei diversi sistemi economici. Ed ecco l’avvicinamento tra Europa e Cina nelle politiche climatiche. La Cina, con un Pil pro capite inferiore di 5 volte a quello Usa e di 3,5 volte a quello tedesco, ha investito nel 2015 il doppio degli Usa nelle tecnologie pulite (110 miliardi di dollari contro i 56 degli Stati Uniti) e ha raggiunto un tasso di “decarbonizzazione” del 4%, il doppio dei Paesi del G7. La Cina vuole essere nello stesso tempo la locomotiva dell’economia mondiale e la locomotiva della decarbonizzazione.





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